Fischiettando allegramente, con un regalo perfettamente impacchettato sotto il braccio destro, Mark stava facendo ritorno dalla nipote. Era fiero di aver preso una decisione buona, per una volta, e sorrideva all'idea di sfidare la ragazza a Scrabble. Un classico, aveva pensato al negozio, ma era certo le sarebbe piaciuto.
Il suo buonumore si spense quando vide una figura familiare, scura in viso e con lo sguardo basso, attraversare il parcheggio pieno per metà di automobili e dirigersi verso la strada. Sembrava stesse andando via dall'ospedale.
Che sia stato da Jay? - E ancora prima di darsi il tempo di pensare a qualsiasi cosa di male potesse essere successa lì dentro, lo raggiunse in fretta. Richiamò la sua attenzione chiamandolo per nome. Quando il ragazzo si voltò parve non riconoscerlo immediatamente, poi si sorprese. Distolse lo sguardo più in fretta che poté e sperò di non essere stato notato mentre sbatteva nervosamente le palpebre. A nulla gli servì: l'uomo lo raggiunse prima che la patina lucida sugli occhi si evaporasse. Al vederlo in quello stato, Mark si cruciò.
«Ma che diavolo...?» Si chiese ad alta voce sconcertato. «Che ti è successo, ragazzo?» Domandò infine a Damien.
«Ciao a te, Mark.» Rispose con voce debole e un sorriso ancora più fiacco.
Vedendo che non pareva aver intenzione di proseguire e illuminarlo, Mark incalzò. «Dove sei sparito, McSly?» Non era mai "idiota"o "birbante" o "scansafatiche"; qualsiasi fosse l'occasione in cui volesse apostrofarlo, lo chiamava sempre per cognome. E Damien lo sapeva.
«Non ha importanza. Me ne vado.»
«Che scemenze stai dicendo? Te ne vai dove?» Continuò l'uomo sempre più sconcertato.
«Via.» Fu più breve di un soffio. Mark, forse per la prima volta dall'arrivo della nipote cinque anni addietro, rimase veramente in silenzio. Un silenzio pesante che gli ammutolì anche la mente; rimase lì, immobile, le mani in tasca, le sopracciglia inarcate in segno di incredulità e gli occhi fissi su quella faccia lentigginosa e sofferta che gli stava di fronte. Damien non poté che sentirsi in dovere di dare spiegazioni.
«Ho incontrato mio padre, Mark.» Pronunciò sconsolato. Non ottenne alcun commento in risposta, ma l'uomo reagì fisicamente rilassando il corpo rimasto in tensione fino a quel momento. Sembrava dire "Ho capito tutto. È tutto chiaro. Ho compreso", poiché gli aveva raccontato qualcosa sui suoi trascorsi passati con il genitore. Quando continuò con il racconto di quello che era successo e finché ebbe terminato concludendo con la decisione presa di recente, la metamorfosi del viso dell'amico era giunta a termine. Aveva tradito incomprensione e fraintendimento, poi frustrazione e sorpresa. Ora aveva i muscoli congelati in un'espressione di tormento e riflessione. Dopo qualche attimo di pausa proruppe in un «non si può fare», accentuando con un cenno negativo del capo. «Non ora, non esiste», aggiunse ancora più deciso sperando di convincere il ragazzo.
Damien pensava che l'ex-bidello si volesse opporre e volle subito interromperlo.
«Mark...»
«No, senti a me, ragazzo...», iniziò con tono perentorio da non ignorare, «...stai da me per un po', su in campagna a Haara. Finché troverai lavoro e un posto dove stare.» Rassicurò con un tono più morbido alla fine. «Poi potrai prendere su la tua roba e andare per conto tuo.» Nessuna risposta. «Che ne dici?» Altri secondi di silenzio.
«Dico che non mi permetterai mai di fare altrimenti.» Rispose aggiungendo anche un debole sorriso di timidezza e gratitudine.
«E bravo ragazzo!» Esclamò l'uomo, che lo prese sotto il braccio libero e si mise a scompigliargli i capelli. Gli consegnò poi le chiavi della proprietà e si salutarono.
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Irish coffee and northern poppies
Ficción GeneralUna fredda cittadina finlandese. Un papavero emigrato e un boccale di birra irlandese. Una storia turbolenta di vite normali, talvolta complicate, di fiducia messa alla prova, di legami difficili da saldare e di sentimenti creduti spenti per sempre...