Il sole stava scendendo pigro oltre l'orizzonte, con gli ultimi raggi languidi accarezzava il paesaggio e tutto ciò che riusciva a raggiungere. Stava coccolando anche Mark, seduto su una poltrona nella camera d'ospedale, la testa abbandonata su una spalla, un braccio oltre il bracciolo morbido. Stava dormendo un sonno inquieto da almeno due ore, ma solo lui lo sapeva. Jay lo stava fissando sempre da due ore, ma lei vedeva la stanchezza in persona addormentata su quel mezzo-letto di fortuna. Nell'ultima settimana si erano parlati seriamente solo una volta, durante un litigio come pochi ce n'erano stati tra di loro, il giorno dopo l'addio di Damien. Per il resto avevano entrambi affinato le loro capacità di interpretazione dei segnali fisici per evitare di doversi parlare troppo. Dopo l'infernale discussione, Mark era mancato per due giorni, poteva essere rimasto a casa come poteva aver provato a cercare lavoro o un posto dove far stare Damien. Il lavoro sicuramente non lo aveva trovato, o non sarebbe stato lì in quel momento. Sulle altre due opzioni Jay non avrebbe saputo esprimersi, ma sperava con tutto il cuore che il ragazzo avesse già fatto le valigie da casa dello zio. Ad ogni modo quello che probabilmente aveva fatto tornare l'uomo era stata la richiesta dello psicologo di essere presente agli incontri con lei. Sì, era venuto già altre volte quel Niemman e no, non lo aveva gradito. Aveva insistito a voler parlare di Damien, del putiferio che si era scatenato allo Schepherd, di cosa ne pensasse dell'istituto e se aveva intenzione di tornarci. Certo che non voleva tornarci, non avrebbe potuto mettere piede sul suolo di quel posto senza essere fissata come un dipinto contemporaneo incomprensibile. Né lei avrebbe potuto trattenere l'impellente impulso di rispondere a tutti con sguardi colmi di odio. Poco importava che la sua causa avesse vinto al processo e che Evan Hanson fosse stato licenziato o che Katrin Lind avesse preso il volo in tempo due secondi sui suoi trespoli da tredici centimetri. Nulla sarebbe stato uguale, quindi perché sarebbe dovuta tornare? E perché avevano dato una licenza a quello psicologo se aveva bisogno di porre delle stupide domande per capire cosa ne pensasse una ragazza distrutta fino al midollo? Non era abbastanza chiaro cosa provasse? Evidentemente no. Nessuno pareva capirla, nemmeno suo zio era più così perspicace, ormai. L'unico che potesse salvarsi era Sam, e solamente perché lui di domande non ne faceva affatto.
Proprio in quel momento, l'infermiere fece il suo ingresso con un vassoio, su cui un trasparente bicchiere di acqua si ergeva dritto e scintillante. Se non vedeva nient'altro era perché il bordo del vassoio nascondeva le pillole che avrebbe dovuto prendere.
Jay sospirò e si lasciò andare a un timido sorriso di circostanza, si sentiva in dovere di rispondere a quello caldo e gioioso di Sam.
«Sei sveglia, Jay.» La salutò il ragazzo.
Che spirito di osservazione, constatò la paziente. Ultimamente si sentiva così odiosa, così insopportabile e fastidiosa, e lo aveva confessato anche al dottor Niemman, nonostante non amasse parlargli molto. «Perché credi ti venga da comportarti così?» Le aveva chiesto. Lei non aveva risposto. Non era stata in grado di inventarsi neanche una piccola bugia. Non lo sapeva, non sapeva più nulla da un po' di tempo a quella parte.
«Sembra proprio di sì,» commentò lei cordiale, il sarcasmo tenuto stretto stretto tra i denti per non farlo scappare.
Sam poggiò il vassoio sul piccolo tavolino, l'unico nella stanza. Prese il bicchiere e le pillole in una mano, si diresse verso il suo letto, ma come Jay si era ormai abituata, lui volse la testa altrove per trovare motivo di conversazione. Il suo sguardo si posò sull'uomo addormentato in poltrona.
«Dev'essere proprio stanco, poverino. Io non riuscirei a riposare in una posizione così scomoda.» Il sorriso era ancora stampato sul giovane volto. Jay aveva già fatto il suo dovere di paziente diligente inghiottendo tutto, ma l'infermiere era ancora perso nel suo mondo. «Immagino tu sia contenta di avere una persona accanto a te.» Fece una studiata pausa, doveva darle il tempo di assimilare le sue parole. «Io mi sentirei davvero fortunato. Visito molte persone al giorno, poche hanno un parente o qualcuno caro così presente.» Continuò a parlare mentre riponeva il bicchiere vuoto, tirava le tende e sistemava le ciabatte accanto al letto della ragazza. Di norma Jay avrebbe commentato in modo scortese, con un "nessuno glielo ha chiesto" o un "che cosa vuoi in realtà" oppure un egoista "non sono fatti miei la vita degli altri, ho già la mia". Ma le cordiali constatazioni di Sam avevano sempre implicitamente richiesto qualcosa in più.
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Irish coffee and northern poppies
Ficción GeneralUna fredda cittadina finlandese. Un papavero emigrato e un boccale di birra irlandese. Una storia turbolenta di vite normali, talvolta complicate, di fiducia messa alla prova, di legami difficili da saldare e di sentimenti creduti spenti per sempre...