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     A quel punto la ragazza si sentì costretta a ricordare e raccontare. 

«Si è avvicinato e mi ha chiesto se mi è mancato, ma da come puzzava il suo alito dubito fosse cosciente di cosa stesse dicendo. Poi si è arrabbiato e ha detto altre idiozie.» Tentò di concludere in fretta, senza andare troppo in profondità alla questione.

Ma le parole taglienti erano ancora ben vivide nella sua mente.  - "Non sei più l'unica che mi ignora. E non sarai più l'unica stronza in città." -  Ovviamente non aveva capito a cosa lui si stesse riferendo.

«Più precisamente, signorina? Quali idiozie?» Domandò l'uomo, che ormai conosceva quasi tutte le modalità della nipote usate per sviare argomenti a cui non amava rispondere.

«"Non sei più l'unica che mi ignora. E non sarai più l'unica stronza in città."» Recitò lei a memoria. Notò che lo zio andò sovrappensiero.

«Chiaro, anche il padre ora lo ignora: partirà per l'Italia. Ma... "non sei più l'unica stronza", ha detto così?» Parlò tra sé e sé, chiedendo poi conferma a Jay.

«In città.» Completò lei annuendo.

«Ah, quindi no, non può essere il padre.» Si prese poi altri due secondi per riflettere, dopo di che si informò del seguito.

«E basta, gli ho detto di andarsene e Sam l'ha buttato fuori.» Terminò calma, sorridendo appena alla seconda parte di frase.

«Era nervoso, chiaro. E ovviamente tu gli hai tolto lo sgabello da sotto i piedi e dato la spinta finale.» Jay gli ricordò con un'occhiataccia quanto odiasse quando parlava per metafore.

«Io non ho fatto niente. Era già ridotto così di suo, Mark.» Sibilò furiosa, ma con una debole intenzione di scagionarsi da qualsiasi accusa.

«E allora lo lasciamo andare alla deriva? Non è carino, Jay, non si fa.» Ammonì come se avesse di fronte una bambina dispettosa. «Se ha anche ripreso con l'alcool sta quasi per toccare il fondo e io non gli permetterò di arrivarci. Stasera vado a trovarlo.» Prima di questa decisione, Mark aveva notato uno spasmo tra le sopracciglia della ragazza che aveva tradito curiosità; era stato breve, ma lo aveva colto.

Chiedergli quanto le ha raccontato. - Si appuntò mentalmente l'uomo in vista dell'incontro di quella sera.

«Puoi fare quello che ti pare. Io non ne voglio sapere.» Jay lo distolse dai suoi pensieri, ma non fu questo a far arrabbiare l'uomo.

«Brava, Jay Nielsen! È questo lo spirito giusto! I miei complimenti.» E si mise ad applaudire sonoramente scandendo ogni battito di palmi. Si rese conto di non ricordarsi quando l'avesse guardata con così tanto odio l'ultima volta. Lasciò perdere il sarcasmo e si arrese per l'ennesima volta. Era fatta così, che poteva farci? Con fare sconsolato la annunciò a bassa voce, ritenendola troppo insubordinata per i suoi gusti in quel momento: «me ne vado da Damien adesso.» Aveva deciso di anticipare la visita al ragazzo pensando che allontanarsi da lei subito impedisse a entrambi di farsi ulteriore male a vicenda. Dopotutto, non era ciò che voleva, rifletté.

Jay lo fissò andarsene senza alcuna emozione; non si era ancora resa conto di quello che aveva scatenato, ma probabilmente non voleva nemmeno diventarne cosciente.

La voce euforica dall'altra parte del telefono risuonava chiara e pulita, merito forse anche del fatto che il pullman fosse quasi vuoto. Il preside Nickins stava parlando da cinque minuti senza essere mai stato interrotto. Non che Mark avesse avuto molta voglia di intervenire; sperava che riempirsi la testa della voce di qualcun altro lo aiutasse a distendere i nervi.

«E ti dico, penso se la sia cavata alla grande quel Niemman. Come sempre, Herman non mi ha tradito: aveva detto che era bravo e guarda qua!» Esclamò il preside riferendosi al suo amico avvocato che mesi prima gli aveva consigliato di prendere anche uno psicologo per quel caso, dal momento che poteva essercene bisogno.

Irish coffee and northern poppiesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora