Il ragazzo si sorprese quando una lacrima ghiacciata gli rotolò impacciata giù per il pendio di una guancia, ma d'altronde a vederla così disperata, era normale annerirsi nell'animo. Sentì di dover fare qualcosa, di cercare di riparare all'errore, così raccolse un po' di neve pulita e la livellò finché non fu una sfera quasi perfetta. Si avvicinò a lei cautamente per darle il tempo di accorgersi di lui. Così fu: mentre si girava per piegarsi verso il suolo e raccogliere altra neve in un rito diventato meccanico, lo vide. E lo disprezzò. Timoroso di quello sguardo omicida, le porse piano la sua palla, come un'offerta di pace, come a volere rimediare. Jay afferrò la sfera di ghiaccio, la strinse in mano con tutta la forza che ebbe in corpo e, infine, la scagliò contro il suo grande petto con potenza. Quella si frantumò sulla felpa e iniziò subito a sciogliersi per via del calore del corpo. Damien ne fu così colpito da non avere avuto il tempo di realizzare che lei era già sparita. L'aveva lasciato lì, in mezzo al paesaggio ostile e neutro con quella macchia di neve addosso, sparsa in numerosi pezzettini tanto freddi da essere quasi laceranti.
Dopo quell'episodio, i due ragazzi non si parlarono più, divennero distanti e formali uno nei confronti dell'altra ancora più di prima. Segretamente però, ne risentirono entrambi senza capire il perché.
Un'altra giornata volta al termine, un'altra notte scombussolata stava per iniziare. Jay era già a letto, stava leggendo come al solito; la cosa inusuale era che non ne capiva il contenuto. Damien, invece, era ancora in bagno a lavarsi i denti. Finì presto, aveva una grandissima voglia di andare a dormire; sapeva che non ci sarebbe riuscito, ma era talmente spossato psicologicamente, che gli bastava anche solo sdraiarsi al buio. Ultimamente aveva preso l'abitudine di fissare le stelle sulla parte di soffitto della compagna, era la sua nuova medicina contro il cattivo umore. Si perdeva in quella manciata di lucine, si immaginava l'intero soffitto pieno di esse, a volte riusciva a vedere persino il cielo vero, quello di un blu tanto scuro da sembrare nero. Gli ricordava le notti estive in Irlanda, quelle che passava da sua nonna, quelle in cui le fiamme degli incubi erano così ardenti da spingerlo ad uscire fuori e accamparsi sotto le stelle. Da quando i suoi nonni erano morti e la loro proprietà e la casa erano state vendute per radere tutto al suolo per la costruzione di un grosso hotel, Damien si era chiuso in se stesso più del solito. Poiché i suoi genitori non gli avevano permesso di rimanere nella capanna che aveva costruito con il nonno su in collina, aveva deciso che nemmeno loro avrebbero più avuto il permesso di parlare con lui. Alcuni l'avevano preso come un capriccio, altri pensavano fosse colpa della lunga lista di avvenimenti successi in poco tempo: la morte dei nonni preferiti, la perdita del suo angolo di Paradiso, il nuovo matrimonio della madre e i continui spostamenti di lavoro del padre. Tutto vero, ma ciò per cui Damien si era più infastidito, era stata la mancata attenzione di qualsiasi parente o amico per le sue opinioni. Aveva litigato spesso con la madre, con i fratelli. Odiava dover rimanere con loro solo perché, in qualità di madre, lei avesse più diritto del padre alla sua custodia. Non che volesse bene a uno dei due in particolare, però si trovava meglio in ambiente maschile. Purtroppo, l'ultimo litigio con suo padre li aveva separati ancora di più, così ora non si trovava bene nemmeno con lui. Orgogliosi e testardi come erano entrambi, nessuno dei due aveva voluto desistere dalle proprie posizioni: il padre aveva insistito a volergli pagare gli studi, il figlio, considerata l'età, aveva affermato di potersela cavare anche da solo. Fortunatamente un accordo era stato raggiunto: il padre avrebbe provveduto ai suoi doveri, ma non avrebbe dovuto farsi vedere neanche una volta.
«È stato voluto?» il ragazzo si era perso nei propri pensieri e si era totalmente scordato della presenza della corvina. Si prese qualche attimo per risvegliarsi al presente e capire la domanda rivoltagli. Non sapendo se si riferisse alle cicatrici o al comportamento avuto in mensa, optò per una risposta più indefinita.
«Non ha importanza.» disse con un filo di voce.
«Perché?»
«Perché ormai è passato.»
STAI LEGGENDO
Irish coffee and northern poppies
General FictionUna fredda cittadina finlandese. Un papavero emigrato e un boccale di birra irlandese. Una storia turbolenta di vite normali, talvolta complicate, di fiducia messa alla prova, di legami difficili da saldare e di sentimenti creduti spenti per sempre...