Beckett non sapeva perché gli aveva chiesto di restare, si diceva mentalmente perché le era sempre piaciuto come scrittore ed era un'occasione per conoscerlo un po' di più, per studiarlo. Suo padre le aveva detto quanto lui fosse importante nella sua vita ma lei non riusciva a capire come lui era potuto entrarci. Ok, la seguiva nei suoi casi, però perché questo era diventato importante? Lei lo osservava e lui ne era consapevole e la lasciava fare. In altre occasioni le avrebbe fatto le più pungenti battute che gli venivano in mente adesso no, era giusto che lei prendesse confidenza con lui, imparasse di nuovo a conoscerlo e riconoscerlo. Kate percepiva che lui provava un forte sentimento nei suoi confronti, lo capiva da come la guardava, dalla dolcezza dei suoi movimenti per qualsiasi cosa avesse bisogno, come quando gli aveva cortesemente chiesto un bicchiere d'acqua e lui glielo aveva portato per poi aiutarla a bere, sorreggendola delicatamente e scusandosi immediatamente per quel tocco che a lui era venuto così naturale da non accorgersi che aveva pericolosamente invaso il suo spazio. Kate fu sorpresa ma non indisposta da quella premura verso di lei e si stupì di se stessa, a nessuno dei suoi amici avrebbe permesso una simile confidenza, figuriamoci ad un estraneo che conosceva appena, oltretutto con una pessima fama.
- E quindi sono capitano adesso?
- Sì, capitano Beckett.
- Esposito e Ryan non mi hanno detto nulla.
- Aspettavamo di parlare con il tuo medico per sapere come comportarci - le disse serio ed anche lei ora era più seria.
Era arrivato il momento di sapere di più. Su di lei, su di lui, perché era lì, perché erano lì, insieme, due perfetti estranei, per quel che ricordava lei, che però sembravano legati inesorabilmente. Percepiva questo legame e la destabilizzava, lei non voleva legami. Erano pericolosi, facevano male, si rimaneva scottati, sempre, e lei non voleva più soffrire, le sembrava già abbastanza il dolore fisico che stava sentendo per permettere ad un altro tipo di dolore di ferirla intimamente, ancora una volta.
- Castle, mio padre mi ha detto che posso fidarmi di te.
- Puoi farlo sempre, Beckett.
- Ho bisogno di risposte. Perché sono qui e perché tu sei qui con me? Cosa c'è tra noi?
- Ti hanno sparato, o meglio ci hanno sparato.
- Lavoravamo ad un caso?
- No, eravamo a casa. A casa nostra. Noi... noi siamo sposati, Kate. - Le disse con la voce tremante, mostrandole la sua mano sinistra con la fede. Si rese conto in quel momento, in quel momento, che stava comunicando a sua moglie che erano sposati, perchè lei non lo ricordava ed era più difficile di quanto pensasse. Non ricordava che era sua moglie, di cosa avevano passato per arrivare quel giorno a pronunciare quel sì, non ricordava cosa si erano promessi nè le emozioni di quel giorno che erano, invece, indelebili nella sua memoria, quelle parole alle quali si era aggrappato ogni volta che erano stati separati. Lei guardò la sua mano e non vide nulla. Castle si affrettò a cercare nella tasca della giacca e prese la fede di Kate. Gliel'avevano consegnata, insieme agli altri suoi effetti personali, appena si era risvegliato. Era stato Jim ad insistere che tutto fosse dato a lui, era suo marito. Da allora Rick la portava sempre con se, aspettando con ansia il momento in cui avrebbe potuto rimetterla nell'unico posto dove doveva stare, all'anulare sinistro di sua moglie. Adesso, però, in quella situazione gli sembrava così difficile fare quel gesto, forse anche inopportuno. Teneva l'anello tra le sue dita e guardava Kate, guardava i suoi occhi preoccupati e confusi, persi nell'osservare con terrore quel cerchio metallico che tra le dita grandi di Castle sembrava ancora più piccolo e fragile, come se premendolo avrebbe potuto schiacciarlo e distruggerlo. Rick, invece, lo teneva appena tra pollice e indice, con un tocco così leggero che aveva quasi paura che gli potesse scivolare. Indeciso su cosa fare, la appoggiò sul comodino, togliendo il caffè ormai freddo e quel che restava della brioche, buttandoli nel cestino. Non voleva farle alcun tipo di pressione, lei voleva sapere, lui le aveva detto come stavano le cose. Non pretendeva che solo perché sapeva che si erano sposati, lei, non ricordandosi nulla, si fosse comportata come la sua Kate, perché Beckett non l'avrebbe mai fatto.
Kate seguì i movimenti di Castle, quasi ipnotizzata da quell'anello, lo osservò posarlo vicino a lei e soffermò ancora lo sguardo su quell'oggetto così piccolo ma così importante.
Era sposata.
Era sposata con Castle.
Katherine Beckett era sposata con Richard Castle.
Se lo ripeteva in mentalmente senza riuscire a commentare la cosa. Per un attimo pensò che stesse scherzando, ma la faccia di Rick era troppo seria per essere uno scherzo.
Si chiedeva come fosse possibile dimenticarsi di tutto, dimenticarsi di amare una persona tanto da poterla sposare, tutto quello che c'era stato tra loro, quello che provava per lui. Lo guardava, adesso. Era un uomo affascinante nell'aspetto e nei modi, aveva una bella voce, due profondi occhi azzurri che la guardavano adoranti. Si sarebbe potuta innamorare di lui? Sì, forse lo avrebbe potuto fare, ma non lo ricordava. Non ricordava nulla e lui era lì, silenzioso, ad osservare ogni suo più piccolo movimento, ogni mutamento nella sua espressione, attento a non fare nessuna mossa sbagliata.
Si sentì a disagio, molto a disagio.
Aveva capito che la relazione tra loro era qualcosa al di là di una semplice amicizia e un rapporto lavorativo, ma non avrebbe mai pensato di essere sposata. Aveva davanti una persona per lei estranea, che era suo marito, che la guardava come non l'aveva mai guardata nessun uomo prima d'ora. Non riusciva a sostenere quello sguardo e percepì chiaramente, in quel momento, la sua situazione, come se quella vissuta fino ad ora, fosse stata solo una presentazione cortese con uno sconosciuto informato sulla sua vita, tanto da portarle esattamente il caffè che voleva, la sua brioche preferita ed il libro che voleva leggere. Questo però lo avrebbe potuto fare chiunque, ma guardarla così no.
In quello sguardo c'era tutto il tempo che lei non ricordava e lui sì, c'era la vita che aveva dimenticato.
Riuscì solo a sussurrargli uno "Scusami Castle" tra i singhiozzi che non poté trattenere. Non aveva mai immaginato che dimenticarsi qualcosa della sua vita, delle sue emozioni, potesse essere così frustrante, per anni aveva sperato di dimenticare quello che era accaduto, di non ricordarsi del dolore, del senso di vuoto, avrebbe voluto cancellare quei ricordi dalla sua mente. Adesso, invece, quei ricordi erano sempre lì, vividi, che facevano male nello stesso modo, ma aveva cancellato, ne era sicura, qualcosa di importante. Sentiva le lacrime scendere sul suo viso ed il petto farle male, fece qualche respiro più profondo a cercare aria e di calmarsi, senza grandi risultati.
Castle la guardava preoccupato, non sapeva come aiutarla, avrebbe voluto stringerla a se, come faceva sempre, sapeva che nascondendo il volto nel suo petto, respirando il suo profumo, la sua Kate si calmava, mentre lui le accarezzava i capelli. Ma lei no, aveva paura che potesse reagire male, farla stare peggio. Le prese la mano, la strinse tra le sue. Era più piccola e magra di quanto ricordasse. Lei si voltò istintivamente verso di lui, senza riuscire a smettere di piangere, portandosi l'altra mano sul petto, allarmandolo ancora di più. Si sentiva avvolgere e stritolare da una morsa gelida intorno al petto che le impediva di fare qualsiasi cosa ed il cuore pulsare così forte che poteva percepirlo in tutto il petto, fino a farle male.
- Beckett, calmati. Non hai niente di cui scusarti con me. Credimi. Va tutto bene, ascoltami. Va. Tutto. Bene. - Parlava lentamente, accompagnando con movimenti della testa le sue parole cadenzate, cercando di imprimere, in quel modo, un ritmo più normale al respiro affannato di lei e sembrò funzionare.
- Ok Beckett? Va tutto bene - le disse ancora mentre lei fece solo un cenno di assenso. - Stai male? Chiamo qualcuno? - Scosse la testa, non voleva altri medici intorno, non adesso. Aveva ragione lui, doveva solo calmarsi. Fissava le sue mani che tenevano la sua, e non riusciva a togliere lo sguardo dalla fede di lui.
Rick aspettò che si calmasse e poi la sciolse dalla sua presa, mentre lei seguiva con lo sguardo il movimento delle sue mani. Senza rifletterci troppo fece una cosa che non avrebbe mai immaginato di fare, si sfilò l'anello e lo mise vicino a quello di lei sotto lo sguardo stupito di Kate.
- Nessuna pressione Beckett. Non c'è fretta. Quando sarai pronta, quando vorrai tu, ok? Non cambia niente per me. - Le accarezzò la testa mentre lei annuì ancora, sentendosi inconsapevolmente sollevata. Forse aveva chiesto troppo a se stessa nel voler sapere di più della sua vita, forse non era ancora pronta.
In quel momento bussarono alla porta e subito dopo entrò un'infermiera che portava a Kate il pranzo.
- Come va oggi signora Castle? Ha fame? - Beckett sgranò gli occhi e guardò Rick che non riuscì a nascondere un sorriso, ma poi tornò subito serio.
- Veramente non molta, anzi ho anche un po' di nausea.
- Oh ma è normale nel suo stato - l'infermiera fu fulminata dallo sguardo di Castle e si interruppe subito - con le medicine che sta prendendo e dopo quello che le è successo... - cercò di riprendersi, mentre sistemava il vassoio davanti a lei. - Se ha bisogno di qualcosa e suo marito deve andare, ci chiami pure - Si sarebbe mai abituata che Richard Castle era suo marito e che per il resto del mondo, tranne che per lei, era la signora Castle?
- Non si preoccupi, rimarrò io con lei, non c'è altro posto dove devo stare. - Parlava con l'infermiera ma fissava Kate, non poteva e non voleva dirle di più, ma voleva farle capire quanto per lui fosse importante.
L'aiutò a sistemarsi, questa volta chiedendole prima il permesso, posizionandole meglio i cuscini dietro la schiena e alzando lo schienale del letto, chiedendole almeno dieci volte mentre faceva quelle semplici operazioni se andava bene e se stava comoda.
- Sei sempre così premuroso ed attento con me? - Gli chiese Kate sorridendo cercando di allentare la tensione che si era creata prima che le portassero il pranzo
- Solo quando tu me lo permetti quindi molto meno di quanto vorrei. - Rispose con tono canzonatorio mentre toglieva i coperchi dai piatti sul vassoio osservando il cibo con faccia alquanto schifata. - Mi ero quasi dimenticato quanto si mangia male in ospedale... Sta venendo la nausea anche e me...
- Non sei di aiuto così Castle eh! Per niente! - Rise Kate muovendo con il cucchiaio la minestra nel suo piatto e Rick rise a sua volta, felice di sentire per la prima volta dopo troppo tempo, la risata gioiosa di sua moglie.
L'aiutò anche a mangiare, un po'. Non riuscì a forzarla più di tanto anche se ne aveva bisogno, perchè gli risultava oggettivamente difficile convincerla a mangiare quelle cose. A quel problema avrebbe pensato dopo.
Quando uscì dalla sua stanza, dopo che lei si era addormentata e lui le aveva delicatamente baciato i capelli prendendosi quel contatto ancora proibito quando era sveglia, respirò profondamente, era stato più difficile di quanto si era immaginato. Gli sembrava di essere un alcolista in una distilleria che si sforzava in tutti i modi di non cedere alla tentazione di bere. Ecco, questo era stato per lui cercare di starle lontana, una lotta continua delle sua forza di volontà contro il suo istinto, della ragione contro il suo cuore. Aveva passato le ultime settimane a sognare il momento in cui l'avrebbe potuta abbracciare, in cui l'avrebbe baciata di nuovo ed invece si trovava a chiederle il permesso per aiutarla a sistemare i cuscini e a tremare per la reazione che avrebbe avuto se le avesse stretto la mano.
Non pensava che fosse facile, non lo aveva mai creduto da quando gli avevano detto la sua situazione. Però non così. Guardò la sua mano e sull'anulare si vedeva ancora il segno di dove aveva tenuto la fede, senza averla mai tolta nell'ultimo anno e mezzo ed ora era vuota. Era vero, per lui non cambiava niente di quello che provava per lei, però gli sembrava così strano vedere la sua mano senza quell'anello simbolico. Lo aveva fatto per lei, si ripeteva, solo per lei. Ed era una cosa temporanea. Le avrebbero rimesse, insieme, quando lei si sarebbe sentita pronta.
Uscì dall'ospedale e nonostante la fatica ed il dolore che cominciava a sentire, era sempre convalescente anche lui, anche se non voleva ricordarlo nemmeno a se stesso, fece qualche passo all'aria aperta, fino ad arrivare a quel parco che aveva casualmente scoperto lì vicino. Aveva bisogno di un po' di aria, di togliersi dalle narici l'odore di ospedale e disinfettante e le fredde luci al neon. Per fortuna almeno l'arredamento delle camere non era così ospedaliero, se non fosse stato per i macchinari ed il letto elettrico, poteva sembrare un hotel più che decente, con i mobili in legno e le rifiniture colorate, la poltroncina in pelle e le pareti di un confortevole color avorio, non troppo vistoso, ma decisamente più familiare ed amichevole di quel verde pallido tendente al grigio di dove erano prima.
Kate aveva reagito peggio di quanto pensava alla notizia che erano sposati. Stava avendo un attacco di panico, se ne era accorto. Di certo non la cosa migliore che le possa capitare adesso. Rick, però, doveva darle ancora la notizia che era ancor più destabilizzante, doveva dirgli del bambino. Lo era stato anche per lui, quando glielo avevano detto, figuriamoci cosa sarebbe stato per lei, sapere di aspettare un figlio da qualcuno che fino al giorno prima nemmeno sapeva di conoscere. Era qualcosa che avrebbe sconvolto la vita di chiunque nel suo stato, figuriamoci di chi, come lei, non aveva alcun ricordo di come potesse essere accaduto.
Castle lo amava già quel bambino, incondizionatamente così come amava la donna che glielo avrebbe donato. Voleva solo che stessero bene entrambi, nulla di più. Non era poi tanto no? Dopo tutto quello che il destino gli aveva preso, almeno questo glielo doveva, vivere felice con sua moglie e suo figlio, non avevano pagato un conto già troppo salato al mondo in tutti quegli anni?
Invece no, sembrava che anche questo fosse troppo anche se era una cosa così normale. Tremava alla reazione che Kate potesse avere e, dopo che l'aveva vista così turbata per averle detto che era sua moglie, tremava anche all'idea di cosa avrebbe deciso di fare, perchè lui, adesso, stava considerando tutte le ipotesi anche quelle più negative, quelle che lo terrorizzavano di più.
Doveva parlare con qualcuno, doveva avere il parere di un esperto, di chi gli consigliasse come comportarsi. Gli venne in mente il nome di una sola persona che già conosceva sia lui che Kate e tutto quello che aveva passato negli anni, i suoi traumi fisici ed emotivi: il dottor Burke.
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Always, Again
FanfictionDal primo capitolo: "Un mese. 31 giorni. 744 ore. 44640 minuti. Controllava l'orologio e proprio a quest'ora un mese prima stavano tornando a casa, Kate lo salutava con il suo sorriso più raggiante andando in camera, mentre lui avrebbe cucinato...