SETTE

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- Dottor Burke? Sono Richard Castle. Avrei bisogno di parlare con lei.
Il dottore aveva percepito l'urgenza nelle sue parole e gli aveva detto che aveva un po' di tempo libero quello stesso giorno, durante l'ora di pranzo, se per lui non era un problema. Castle lo raggiunse al suo studio e si accomodò sulla poltrona davanti a lui.
- È la stessa? - chiese Rick appena seduto, facendo scorrere le mani sui braccioli in pelle, mentre il dottore lo guardava - è la stessa poltrona di quando veniva Kate?
Burke sorrise.
- È importante per lei questo particolare, Rick?
- No... Stavo solo cercando di capire come si era sentita qui, su questa grande poltrona a parlare di se, in quei giorni dopo che le avevano sparato.
- Non è la stessa, ma non è una poltrona che cambia la sostanza delle cose. Kate era più o meno nella sua stessa situazione di adesso. Lei è qui, con me, a parlare di se stesso poco tempo dopo che le hanno sparato. Come si sente Rick?
Fu sorpreso dalle parole di Burke. Lui non era lì per parlare di questo. Lui voleva parlargli di Kate, di come poteva riuscire ad interagire con lei, chiedergli un consiglio su cosa era meglio fare, perché doveva perdere tempo a parlare di come stava lui? Non era importante adesso.
- Io sono preoccupato, per Kate. Ha saputo del bambino da un'infermiera, mi ha aggredito, mi ha cacciato via. Glielo dovevo dire io, non mi hanno dato tempo, non lo doveva sapere così. - Parlò senza riprendere mai fiato, Burke lo ascoltava senza interromperlo. Annotava che, ogni cosa che Rick diceva, era sempre rivolta a Kate. Lui non era mai il protagonista di se stesso.
- Di cosa è preoccupato?
- Che Kate non si ricordi più di noi e che questa nuova o vecchia lei non voglia darci una possibilità, che non voglia buttare giù il suo muro, di nuovo.
- Lei come sta, Rick? - provò a chiederglielo di nuovo. Rick sembrò sprofondare ancora di più nella poltrona. Si accorse che in quelle settimane tutti gli avevano detto cosa fare e cosa non fare per il suo bene. Nessuno però gli aveva mai chiesto come stava.
- Come uno che ha rischiato di morire insieme a sua moglie, dentro casa sua.
- Sarebbe?
- Male. Fisicamente, mentalmente. Ho fatto rifare tutta la cucina, fino a ieri non ero più rientrato a casa. Quando l'ho fatto era già cambiato tutto. Pavimento, pareti, i mobili dovevano ancora arrivare. Ma se guardavo lì, vedevo quello che c'era prima. Vedevo noi due a terra, il sangue, Kate che respirava sempre più lentamente, le nostre mai strette fino alla fine. Lo vedo sempre. Ogni volta che chiudo gli occhi. Ero convinto che quando Kate si fosse svegliata sarebbe stato diverso, che avremmo potuto ricominciare una vita diversa insieme, che ci saremmo guariti a vicenda pensando al nostro bambino, al nostro futuro - Rick si interruppe, faceva fatica a parlare adesso sentiva un nodo in gola che gli rendeva difficile anche deglutire.
- E invece?
- Mi ritrovo solo. A combattere per due. Appena saputa la notizia mi sono detto, ok Rick devi solo ricominciare tutto da capo con Kate, ma è sempre lei, lo hai già fatto, puoi farlo di nuovo. Ora non lo so.
- Cosa sta facendo con lei?
- Cerco di comportarmi come facevo con la Beckett di allora. Non voglio metterle pressioni.
- Per questo ha tolto la fede? - Aveva visto il segno sulla sua mano, che testimoniava la mancanza.
- Già, lei si era sentita a disagio vedendola. Le ho lasciate a lei.
- Ha lasciato tutto nelle sue mani, quindi. Perché?
- Non voglio metterle pressioni, gliel'ho detto.
- Solo per questo?
- Ho paura che mi rifiuti.
- Cosa le ha raccontato di voi due?
- Che è mia moglie, che siamo sposati, che ci siamo conosciuti perchè lavoravamo a dei casi insieme.
- Solo fatti, quindi.
- Cosa altro dovrei dirle?
- I suoi sentimenti. Li dava per scontati? Lei non li conosce.
- Sì beh, davo per scontato che se eravamo sposati vuol dire che l'amavo, che la amo.
- Ma non glielo ha detto.
- No.
- Perché?
- Perché quando l'ho fatto e lei non era pronta è sparita per mesi e poi l'ho quasi persa. È buffo vero? Lo sapeva e faceva finta di non ricordarsi mentre ora non lo ricorda veramente.
- Deve darle tempo Rick e non scoraggiarsi. Deve assimilare le notizie e la situazione. Lei meglio di chiunque altro dovrebbe sapere che non è facile risvegliarsi senza un pezzo della propria vita. E non parliamo di qualche mese. Ma deve anche darsi tempo. Non deve avere paura di mostrarsi debole, nemmeno con lei. Anche lei è ferito, in ogni senso. Anche lei ha bisogno di essere curato e curarsi. Negarlo non le farà bene. Lasciare Kate fuori dalle sue paure forse la proteggerà ma la allontanerà dalla realtà.

- Katie! - Jim Beckett era entrato in camera della figlia dopo che aveva bussato due volte senza ottenere una risposta. Pensava che dormisse, invece era rannicchiata su un fianco, torturando un lembo della federa. Non piangeva, ma aveva sicuramente pianto. Lo vedeva dagli occhi e dal cuscino umido. - Non volevamo lo sapessi così! - si era seduto sul bordo del letto e le accarezzava i capelli. Lei non lo guardava, fissava un punto indefinito nel pavimento. Sul tavolo dall'altra parte della stanza c'erano ancora i caffè e i fiori che aveva portato Rick, come tutte le mattine e due vassoi di cibo intatti, segno che non aveva mangiato.
- Lo sapevi anche tu. Lo sapevate tutti? Ero io l'unica a non sapere di essere incinta? Avevate anche fatto una festa mentre ero in coma per caso? - non aveva un tono arrabbiato. Inespressivo piuttosto. Non lasciava trapelare nessun tipo di sentimento.
- Non lo sapeva nessuno Katie. Rick lo aveva detto solo a me, nel caso a lui fosse accaduto qualcosa ed io avessi dovuto prendere delle decisioni... per te. - Faticò a dirle quelle parole, cariche di tetri significati in nessun modo rassicuranti. Ora era passato ma solo ripensarci lo faceva stare male. Kate sembrò non comprendere nemmeno l'evidenza di un fatto pratico come quello raccontato dal padre. Semplicemente non accettava il fatto che per proteggerla nessuno le avesse detto subito una cosa che riguardava così profondamente la sua vita. Più dell'essere sposata o di qualsiasi altra cosa. Avevano deciso per lei quando era giusto che lo sapesse, secondo loro, lasciandola all'oscuro anche se solo per poco tempo di una cosa così importante. Per lei, invece, era la prima cosa che avrebbero dovuto dirle. Qualcosa tipo "Hai perso 7 anni di memoria e sei incinta". Sentendo il suo discorso anche solo mentalmente si trovò ridicola da sola, eppure avrebbe voluto veramente qualcosa del genere, magari lo shock le avrebbe fatto tornare la memoria subito.
- Katie, Rick non lo ha detto nemmeno a sua figlia. Capisci?
- No papà, non capisco. Non capisco e non ricordo. Non so nulla.
- Perché non hai mangiato? Non ti fa bene e nemmeno al bambino.
- È questo il problema? Che se non mangio non fa bene al bambino?
- Katie... Non puoi stare senza mangiare. Ti devi riprendere. - fece finta di non cogliere il riferimento al bambino. Si alzò per prendere uno dei vassoi e notò subito la provenienza, non stupendosi particolarmente conoscendo Castle. Kate si girò cercando di mettersi seduta, non voleva far vedere a suo padre che aveva bisogno di aiuto e si sforzò più che poteva. Si stupì nel pensare che Castle si sarebbe accorto di quanto stava faticando e che l'avrebbe aiutata. Da dove le venivano quei pensieri? Da quello che avevano vissuto il giorno precedente, quando lui aveva fatto proprio così, o era un ricordo del suo inconscio?
Mangiò, alla fine, quasi tutto. Aveva più appetito di quanto volesse ammettere anche a se stessa e quel cibo che le faceva arrivare Castle era veramente buono.
- Perché lo hai mandato via senza neanche dargli il tempo di spiegare?
- Perché mi ha mentito, tu avevi detto che di lui mi potevo fidare e lui invece ha tradito la mia fiducia non dicendomi nulla di una cosa così importante che riguarda me.
- Riguarda voi. - la corresse.
- Io... Non so cosa voglio fare.
- Katie, pensa bene a quello che vuoi fare. Ma fai attenzione a non fare qualcosa della quale potresti pentirti per tutta la vita, appena ritroverai la memoria.
- E se non la ritrovassi più? E se questi anni fossero spariti per sempre? Cosa dovrei fare in quel caso?
- Non è una decisione che spetta a me. Io ti dico solo di considerare tutti gli aspetti.
- Papà, Castle ha detto che prima del nostro ferimento non lo sapevamo. Secondo te è possibile che io lo sapessi e non gli abbia detto nulla per qualche motivo?
- Per quello che hai fatto, per come ti sei comportata in quei giorni, lo escludo. Non ti saresti mai esposta a certi pericoli, ne sono sicuro. E non saresti riuscita a tenere nascosta una notizia del genere a tuo marito.
Quelle parole la rassicurarono almeno in parte. Il pensiero di credere di stare per morire sapendo di essere incinta e senza aver detto niente a suo marito le aveva fatto provare angoscia per quella lei sconosciuta, come se il pensiero di stare per morire non dovesse essere già abbastanza terrificante di suo.

Jim vide l'anello di sua moglie sul comodino di Kate.
- Ti ha detto Rick che ce l'hai fatta?
- Sì mi ha detto qualcosa, senza troppi particolari.
- Sei stata testarda Katie, come sempre, hai rischiato la tua vita e la tua carriera più volte, ma alla fine ce l'hai fatta. Tua madre è orgogliosa di te.
- Vorrei fosse qui. Soprattutto adesso.
Erano molte le occasioni in cui aveva sentito la mancanza della madre, non c'era giorno per quel che ricordava, che non avesse percepito forte la sua assenza: c'era sempre qualcosa nel suo quotidiano che le riportava la memoria a prima di quella notte che la segnò per sempre: un profumo, una scena, una frase... Trovava Johanna in ogni madre che si prendeva cura amorevolmente dei propri figli ogni volta che andava al parco a correre, la vedeva in ogni persona che si batteva per la giustizia andando avanti nonostante le difficoltà, in ogni donna che guardava il marito con amore e dolcezza.
Si chiedeva sempre se lei fosse stata abbastanza per renderla fiera, se faceva veramente tutto quello che poteva e che era giusto fare. Le avevano detto che in questi anni aveva combattuto per ottenere quella giustizia che avevano negato a sua madre per troppo tempo e trovava profondamente ingiusto non potersi ricordare le sensazioni provate in quel momento. Si chiedeva se era arrivato veramente quel senso di sollievo che aveva sempre sperato di ottenere. Che cosa aveva provato nell'uccidere il suo assassino o nel trovarsi davanti al mandante del suo omicidio? Non riusciva ad immaginarlo.

Guardò suo padre, stanco sulla poltrona, anche lui perso nei suoi pensieri come lei: era sicura che stessero pensando alla stessa persona. Era pomeriggio inoltrato, gli disse di andare a casa. Poteva stare da sola per un po', anzi ne aveva bisogno.
Jim la capì. Non che lui non fosse apprensivo nei confronti della figlia, ma al contrario di Rick, capiva la sua necessità di solitudine per elaborare tutto quello che le stava accadendo.
- Non dubitarne Katie, la tua mamma è fiera di te.

Una volta sola provò a rialzarsi, ce la doveva fare, anche usando quel coso, almeno per ora. Riuscì non senza fatica a rimettersi in piedi, ma le era sembrato più facile che la mattina. Desistette però dal camminare.
Prese il telefono, avrebbe voluto chiamare Castle, almeno per scusarsi. Forse sarebbe stato meglio mandargli un messaggio, ma non sapeva cosa scrivergli per non dare un'idea sbagliata dei suoi intenti. Ci pensò troppo ed alla fine cambiò idea. Alla fine prese il libro di Storm e lo lesse fino a notte fonda, non voleva pensare a nulla per un po': sapeva che il giorno dopo tutto si sarebbe ripresentato, ma per qualche ora voleva essere solo quella che credeva di essere, non la donna che dicevano gli altri, cercando la sua personale consolazione tra le pagine del suo scrittore preferito, tralasciando il fatto che era anche suo marito. Come tanti anni prima, ancora adesso i suoi libri la aiutavano a stare meglio, a non pensare ai suoi problemi. Se avesse creduto ai segni del destino, questo doveva necessariamente esserlo. Ma lei non ci credeva. Forse.

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