Lanie aveva insistito per riaccompagnarla a casa, ma Kate si fece lasciare vicino al distretto. Voleva camminare un po', poi avrebbe preso un taxi.
Erano rimaste in silenzio dopo quella discussione. Si erano parlate ancora solo per decidere chi avrebbe pagato (alla fine la spuntò Lanie) e per dove Kate voleva essere lasciata. Non una parola in più e, se per Kate il silenzio era normale, lo era molto meno per la sua amica. Lanie però aveva finito le parole, non sapeva proprio più cosa dire per smuoverla, perché Kate era diventata granitica, ancora di più di quando avevano cominciato a parlare. Sembrava che più esprimeva ad alta voce concetti e pensieri, più questi le facessero prendere forza e cementassero le sue decisioni. Doveva essere il contrario, secondo Lanie, ma Beckett più dubbi aveva, più rinsaldava le sue convinzioni per non essere smossa.Kate si era resa conto che c'era stato un momento preciso in cui aveva smesso di voler ricordare ed era quando si era innamorata veramente, profondamente, di Castle.
Non aveva capito quanto realmente lo amasse fino a quella mattina, da Lanie. A terra durante la sua crisi di panico, voleva lui, lo voleva con tutte le sue forze, perché sapeva che Castle l'avrebbe aiutata, sollevata, alleviato il suo dolore. Poi era riuscita in quello che non credeva possibile. Riuscire a riprendere possesso di se anche da sola, senza di lui, ma quando il respiro era tornato regolare e il cuore batteva più lentamente, il suo bisogno di lui non era diminuito, non si era attutito il senso di mancanza ed il vuoto della sua non presenza.
Quella mattina si era accorta, nel momento in cui non aveva più bisogno di lui in senso pratico, che invece ne aveva ancora di più perché lo amava. Era semplice in fondo. Lo amava. Se lo era negato per settimane, ma era così.
Le riveniva in mente quella frase fatta per riempire i diari adolescenziali "Non ti amo perché ho bisogno di te ma ho bisogno di te perché ti amo." e pensò, in quel momento, di essere veramente in regressione verso la sua adolescenza e si rivedeva totalmente in quella frase. Aveva capito che quel sentimento che provava per Castle non era amore nato dal bisogno, ma era il bisogno fortissimo di lui che nasceva dall'amore. Lui c'era sempre stato per lei, per tutto. Si era fatto carico dei suoi problemi, delle sue crisi con una soluzione a tutto e questo l'aveva fatta andare nel panico e non capire il confine delle cose. Ma oggi non c'era e per la prima volta aveva dovuto camminare da sola e, passo dopo passo, aveva capito che lo poteva fare, ce la poteva fare da sola, perché era forte. Ma voleva che lui le fosse vicino, perché con lui era meglio, non era necessario che ci fosse, ma era dannatamente meglio quando lui era con lei. Avrebbe superato con la stessa forza di volontà tutte le altre crisi che di sicuro sarebbero arrivare, ma farlo nel calore del suo abbraccio, con i loro respiri sincronizzati e la sua voce che le ripeteva che sarebbe andato tutto bene, non era l'unico modo per stare bene, ma era sicuramente il migliore che conosceva.
Aveva capito, in quelle notti da sola, quanto la sua presenza le fosse necessaria per dormire bene: non perchè era straordinariamente comodo dormire su di lui, avvolta dalle sue braccia, ma perché il ritmo del suo cuore che batteva era diventato un balsamo calmante per il suo animo inquieto, i movimenti del suo torace erano una dolce culla ed il suo respiro tra i capelli un soffio di vita che la faceva sentire viva a sua volta.
Nel non riuscire a parlargli al telefono le era chiaro come non potesse fare a meno del contatto fisico e visivo con lui. La sua voce era suadente e irresistibile, ma lei aveva bisogno di vedere i suoi occhi quando le parlava, di sentire la sua pelle sotto le sue mani, di prendere le mani di Castle e tenerle. Strette. Sempre. Si scoprì fisica come non lo era mai stata. Non come rapporti intimi, ma proprio come bisogno della sua fisicità e del contatto, quella che era una caratteristica propria di Castle da sempre: ora valeva anche per lei. Lo doveva sentire fisicamente, non per telefono. Allora aveva preferito i messaggi. Per non struggersi sentendo la sua voce e non potendogli esprimere fisicamente quello che non riusciva a comunicargli con le parole che erano ancora troppo difficili da pronunciare.Pensò a quante volte aveva detto "Ti Amo" nella sua vita, quante ne ricordasse.
Si ricordava di Luke, quel ragazzino del college, la sua prima cotta e quel "Ti Amo" adolescenziale pieno di tutte le speranze del mondo, come solo l'amore a 16 anni può essere, o quello che si immagina sia amore, ma erano parole troppo grandi per quell'età. Poi c'era stato Will, sì, a lui lo aveva detto e forse era la prima volta che sentiva che quelle parole potessero avere un senso, almeno fino a quel momento.
Ma non era una che lo diceva spesso, lo faceva raramente, era più un tipo da "Anche io", era meno impegnativo. Non ricordava di averlo detto ad altre sue fiamme per lei quelle due parole nel corso del tempo avevano assunto un senso importante che non doveva essere svenduto, non erano parole da dire solo presi dalla foga dell'amplesso a che frequentava per qualche tempo. Ti amo erano una promessa ed un impegno e lei non aveva mai voluto promettere nulla a nessuno dopo Will e nemmeno impegnarsi perché tutto questo richiedeva sacrificio e dedizione e lei non era sicura di volerli dare a nessuno se non al suo lavoro. Sapeva che aveva scelto spesso di buttarsi in relazioni vuote solo per calmare per un certo tempo un senso di vuoto che umanamente sentiva, ma poi, inesorabilmente si stancava perchè sapeva che non era quello che voleva, ma non sapeva nemmeno volere di più.
Forse lo aveva detto a quel Josh ma certo non poteva andare a chiederglielo anche se l'idea le balenò in testa, in uno dei suoi attimi di irrazionale follia.
"Ti Amo" erano parole importanti, non da svendere. Implicavano qualcosa di profondo e un impegno ad amare, che era molto più difficile che innamorarsi. Dopo Will si era ripromessa che "Ti Amo" lo avrebbe riservato solo per una persona veramente importante, una per la quale valeva la pena impegnarsi e sacrificarsi per costruire insieme qualcosa di importante. Castle aveva capito che poteva essere tutto questo.

STAI LEGGENDO
Always, Again
FanfictionDal primo capitolo: "Un mese. 31 giorni. 744 ore. 44640 minuti. Controllava l'orologio e proprio a quest'ora un mese prima stavano tornando a casa, Kate lo salutava con il suo sorriso più raggiante andando in camera, mentre lui avrebbe cucinato...