Quella notte gli incubi di Kate erano tornati, sempre uguali, sempre con gli stessi flash di immagini, le stesse sensazioni di paura e dolore, le stesse voci, le stesse urla.
Si era svegliata di nuovo di soprassalto nella notte che in realtà era più mattina presto, perchè sentiva già cinguettare gli uccellini fuori dalle finestre: le piaceva quel suono di vita nel buio della sua stanza di ospedale.
Aveva rinunciato a chiamare un'infermiera per dormire, un po' per l'orario, un po' perchè pian piano si sentì sopraffatta dalla nausea. Pensò che forse la sera prima aveva mangiato qualcosa di troppo pesante, ma si diede della stupida da sola pochi istanti dopo. Era lui che manifestava la sua presenza, nel caso lei facesse finta di nulla o si volesse dimenticare che era lì. Si rilassò o almeno ci provò, mettendosi l'anima in pace che per i prossimi tempi sarebbe stato così. Aveva già deciso quindi?
La mattina si svolse ormai con la stessa routine, si alzò, fece qualche passo, evitò di fare colazione perchè altrimenti credeva avrebbe vomitato qualsiasi cosa avesse messo sotto i denti. Jim era passato come sempre a salutarla, l'infermiera a medicarla poi erano arrivati più medici del solito per accertarsi delle sue condizioni. La avvisarono che nei giorni successivi avrebbe dovuto fare degli esami per controllare che tutto procedesse bene. Per lei per il bambino. Conobbe quella mattina il ginecologo che l'aveva seguita che la voleva tranquillizzare sulle sue condizioni leggendo l'inquietudine nel viso di Kate. Le aveva ripetuto più volte che quello che era successo era quasi un miracolo, che anche lui stentava a crederci, viste le sue condizioni, quando lo avevano chiamato. Seguiva tutto quello che le veniva detto con attenzione, cercando di capire dalle loro parole cosa le era successo di preciso, visto che nessuno ancora glielo aveva detto e lei non aveva nemmeno il coraggio di chiederlo, perennemente sospesa tra la voglia e la paura di sapere.
Quando i medici uscirono si mise seduta sul suo letto nonostante i dolori. Da lì poteva osservare meglio la sua stanza. Da quando avevano portato via tutti i macchinari era decisamente più accogliente. Si allungò fino al comodino per prendere la collanina con l'anello sia sua madre, la intrecciò tra le dita stringendola forte. Avrebbe avuto bisogno di tutta la forza e la serenità che lei avrebbe saputo darle, con il suo amore e i suoi consigli. I fiori nel vaso erano di qualche giorno prima ed avevano perso parte della loro freschezza: segnavano tristemente il tempo che era trascorso da quella, unica, giornata trascorsa con Castle. C'erano sempre anche le loro fedi lì sopra. Le prese in mano per la prima volta e mentre le osservava aveva cominciato a far scorrere un dito lungo il loro contorno. Trovava qualcosa di inspiegabilmente forte in quei due cerchi metallici: erano più di due anelli, più di due gioielli, avevano un'energia particolare, sentiva tutta la solennità della promessa che simboleggiavano e ne era intimorita. Non aveva mai pensato al matrimonio ma di una cosa era certa, lei era una persona da una volta sola nella vita e se aveva detto di sì a Richard Castle era perchè ne era profondamente convinta e quella fede era il simbolo dell'importanza dei suoi sentimenti e del suo impegno verso di lui. Sempre. E forse lei tenendole in mano e non avendole osservate attentamente non si era accorta che quel "Always" era inciso all'interno.
Nel tardo pomeriggio arrivò il dottor Burke a far visita a Kate, che ormai non sperava nemmeno più nell'arrivo di Castle. Si era chiesta per tutto il giorno dove fosse e perchè non si faceva vedere, ma la risposta la sapeva: era per colpa sua, per quello che gli aveva detto, dimenticandosi che lui in tutta questa situazione era emotivamente coinvolto tanto quanto lei e lui i suoi sentimenti li ricordava tutti e lei li aveva maltrattati.
Mentre il dottor Burke era seduto sulla poltrona e la osservava, anche lei stava studiando il dottore, un po' come faceva con tutte le persone che non conosceva e che vedeva, o rivedeva, per la prima volta. Era una persona rassicurante, questo fu il suo primo pensiero.
- Ho bisogno di avere delle risposte - La voce di Kate era risoluta ma tranquilla.
- Io non le posso dare delle risposte, Kate. Al massimo la posso aiutare a porsi le giuste domande alle quali dovrà rispondere da sola.
- Come posso rispondermi se non so niente di me?
- Non è vero che non sa niente di se stessa. Non ricorda un periodo della sua vita.
- Tutti mi dicono che sono una persona diversa da quella che credo di essere. Io stessa vedendomi nelle foto, nei video, leggendo quello che scrivevo, sentendo quello che raccontano le persone non mi riconosco, non sono io, io non mi comporto così.
- È vero, lei non si comportava così, ma questo non vuol dire che non lo avrebbe potuto fare, se solo avesse voluto. Le piace quella persona che vede e che le raccontano? Cosa ha di diverso da lei?
- Sembra una persona felice e innamorata.
- Lei non lo è? Non dico adesso, ma quella lei che è nella sua memoria, non era una persona felice? Non si innamorava?
- Non lo so ma credo di no. Mi ero innamorata, forse, una volta. Ma sono stata male e non voglio più soffrire. Non più.
- Non pensa che valga la pena rischiare di soffrire per vivere felici ed innamorarsi?
- Il dolore per la perdita poi è troppo grande da sopportare. Avevo sempre pensato che non sarei mai potuta andare avanti nella mia vita se non avessi reso giustizia a mia madre. Ora mi dicono che l'ho fatto, ma io non lo ricordo ed è come se non fosse successo. Come faccio ad andare avanti?
- Quindi lei non vuole essere felice perchè ha paura di soffrire? Per questo nasconde le sue emozioni?
- Non le nascondo, cerco di proteggermi, per non farmi fare del male.
- Pensa che la donna che vede nelle foto avesse paura di soffrire?
- Non lo so.
- Kate, lei ha paura di quella donna?
- Sì.
- Perchè?
- Quella Kate ha tanto da perdere. Un marito, una nuova famiglia.
- C'è una cosa che vi collega però... un bambino, vero Kate?
- Già... un bambino...
- Cosa prova per questo bambino?
- Non lo so. È una cosa così grande... A volte ci penso e non mi sembra nemmeno che sia mio. È il bambino di quella Kate, non il mio. Poi ho fatto un sogno e non so se era qualcosa di reale che mi era successo o solo delle immagini senza senso ma io stavo male e c'era anche Castle e poi c'era il bambino ed avevo paura perchè non riuscivo a raggiungerlo e Castle mi parlava e io non lo capivo... - Si stava agitando nel ricordare quel sogno, si portò una mano al petto, lì dove sentiva l'origine di tutto il suo dolore. Il dottor Burke la interruppe, le diede dell'acqua da bere e lei si tranquillizzò.
- Con calma Kate. Cominciamo dall'inizio, che cosa ha sognato di preciso?
- Non era qualcosa di chiaro. Erano delle immagini, delle sensazioni. Dolore al petto, freddo. Ero sdraiata sull'erba, avevo le mani con dei guanti bianchi sporchi di sangue. Castle mi parlava ma io non capivo. Poi era tutto buio e la sua voce continuava, aveva paura anche lui ma non capivo quello che mi diceva, non lo capivo.
- Le ricorda qualcosa tutto questo?
- No, non lo so... Dovrebbe? - Non le rispose.
- Cosa altro c'era nel sogno?
- C'ero sempre io, a terra, in una stanza e qualcuno mi stringeva la mano ed io chiamavo Castle. C'era tanto sangue a terra e sul quel sangue c'era un neonato che rideva e poi piangeva ed io volevo prenderlo ma non ci riuscivo ed avevo paura. - Kate cominciò a piangere - Avevo paura per il bambino, perchè era solo. Non posso lasciarlo solo.
- Non lo lascerà solo, Kate. Lei non lascerà solo il suo bambino.
- Non voglio che soffra come me. - Il dottor Burke annuì, le prese una mano per cercare di rassicurarla.
- Ha paura che il suo bambino soffra come lei per sua madre? - Kate annuì. Era già quasi morta, con il suo lavoro poteva capitarle ancora. Cosa ne sarebbe stato di quel bambino? Avrebbe messo al mondo un altro bambino che rischiava di soffrire come lei perchè un giorno qualcuno gli avrebbe detto che avevano ucciso anche la sua mamma? Non sarebbe stato giusto, nessun bambino lo avrebbe meritato. - Per paura di soffrire, non può nascondere dietro al suo muro oltre che la possibilità di essere felice, anche i suoi ricordi. Se non vuole ricordare, non ci riuscirà mai. Se ha paura di quella Kate che vede perchè lei è felice, la terrà sempre lontana da se. E non è giusto per lei, per le persone che la amano e nemmeno per il bambino.
La conversazione di Kate con il dottor Burke era durata più di quanto si aspettassero entrambi. Beckett era stanca e svuotata ma era riuscita a dirsi cose che faticava ad ammettere: aveva paura di ricordare. Ebbe la sensazione più di una volta che Burke sapesse esattamente di cosa lei stesse parlando, come se quei discorsi li avessero già fatti e pensò che probabilmente era così. Si chiesa cosa l'avesse spinta ad andare in terapia e chiedere aiuto per riuscire ad abbattere i muri che la proteggevano. Qualunque cosa fosse stata era stata molto forte, l'aveva cambiata profondamente.
Era anche certa che lui sapesse con assoluta certezza cosa rappresentava il suo sogno ma che volutamente non glielo aveva detto per spingerla a cercare ricordi nella sua mente. Se era così voleva dire che lei quelle sensazioni le aveva vissute, che quel terrore che aveva sentito lo aveva realmente provato e che Castle era lì con lei, perchè era lui l'unica figura reale che sognava in mezzo alla sua angoscia.
Aveva mangiato ancora una volta da sola. Luke anche quella sera aveva portato la cena solo per lei.
Benché sola si gustò quel filetto di branzino con le verdure grigliate ed anche la vellutata di verdure: alimenti sani e nutrienti come consigliato dai medici. Era certa, invece, che il tortino al cioccolato era uno degli strappi alla regola suggeriti da Castle.
Suo padre la chiamò, era dovuto andare fuori città per un caso urgente e si sarebbe trattenuto un paio di giorni. Era passato un altro giorno e Castle non si era fatto nè vedere nè sentire. Le venne anche il dubbio che potesse non stare bene, in fondo anche lui era stato ferito insieme a lei e quei giorni per starle vicino si era sicuramente affaticato molto. Si stava preoccupando per lui?
Quando venne l'infermiera Kate provò ad alzarsi di nuovo e fece qualche passo ancora nella sua stanza, qualcuno in più rispetto alla mattina, le sembrava una gran cosa. Si mise di nuovo a letto e controllò l'ora. Erano le 20:00 passate, si sentiva stanca e assonnata, ma non voleva dormire. Aveva paura che come avesse chiuso gli occhi sarebbero tornate quelle immagini e quelle sensazioni che ormai vedeva ogni volta, tanto che si stava quasi abituando da trovarle familiari, senza che però vedesse qualche dettaglio aggiuntivo, qualcosa che le facesse capire di più. Prese il suo libro, avrebbe letto almeno fino a quando non fosse stata sicura di essere esausta. L'occhio gli cadde sul retro di copertina con la faccia sorridente di Castle. Afferrò il cellulare e cercò il suo numero.
"Se non hai da fare, domani puoi passare in ospedale? Vorrei parlarti. 'Notte KB"
Schiacciò su invio. La risposta non tardò ad arrivare.
"A domani. R."
Rimase interdetta a leggere quel messaggio. Scorse i messaggi trovando quelli più vecchi ed erano tutti di altro tenore. Si chiese cosa potesse pretendere, era ovvio che scrivesse a sua moglie in modo diverso di come scriveva a lei. Però le dispiaceva.
Fu tentata da mandargli un altro messaggio, lo provò anche a scrivere più volte ma poi desistette. Lo avrebbe rivisto la mattina dopo, non era tanto tempo infondo.
- Dai papà, andiamo adesso.
Castle era con il cellulare in mano, aveva appena inviato la sua risposta a Kate, camminava nervosamente per il corridoio. Voleva aspettare ancora qualche istante nel caso le scrivesse ancora.
- Papà? - Alexis era seduta e lo stava aspettando. Le aveva promesso che sarebbero andati a cena insieme quella sera, non si erano visti molto in quel periodo e quando si erano visti non erano riusciti ad avere il loro solito rapporto. Alexis percepiva che in suo padre c'era qualcosa di diverso, una preoccupazione e un'ansia diversa dal solito. Certo, prima era preoccupato per la situazione di Kate e adesso per la sua amnesia, ma era certa che non fosse solo quello. Lo vedeva più spento, all'erta. Quello che aveva passato non era stato certo facile, gli avevano sparato insieme a sua moglie, eppure non era la sua prima disavventura "seria". Non lo ricordava così nemmeno quando era tornato dopo essere sparito per due mesi senza memoria e con varie cicatrici sul corpo. Era preoccupata per lui.
Castle, dal canto suo, sapeva di aver un atteggiamento forse anche troppo duro con la figlia, ma non capiva come mai nessuno riuscisse comprenderlo fino in fondo, lo aveva detto anche a Burke. Nessuno aveva capito la sua angoscia per non essere riuscito a tenere al sicuro sua moglie, la sua famiglia, dentro la loro casa. Nè la paura di perderla che giorno dopo giorno si amplificava e lo consumava e poi, adesso, il suo smarrimento nel non avere più la sua Kate, la sua àncora, la donna che aveva cambiato la sua vita. Lui era grato a sua figlia e a sua madre per essersi sempre interessate delle sue condizioni, di essergli stato vicino quando era stato ricoverato ma si chiedeva come mai non riuscissero a comprendere che la sua vera preoccupazione era sua moglie e che per stare bene aveva bisogno di lei.
Si era ritrovato a pensare più volte, in quei lunghi giorni solo al capezzale di Kate se la sua famiglia avesse mai compreso realmente fino in fondo quanto fosse forte il rapporto tra lui e sua moglie, a volte gli sembrava che in realtà nessuno fosse in grado di capirlo tranne loro due, solo loro due sapevano quanto erano indispensabili l'uno per l'altra ed adesso, invece, lo sapeva solo lui.
C'era, poi, il discorso del bambino che lo turbava, avrebbe dovuto dirlo ad Alexis ma voleva prima parlarne con Kate per chiederle il permesso per dirlo a sua figlia.
Non arrivarono altri messaggi, diede la mano ad Alexis che si alzò dalla sedia nel quale lo aveva aspettato. La abbracciò e insieme uscirono dall'ospedale.
- Papà...
- Dimmi piccola
- Non credo ti faccia bene stare tutto il giorno fuori dalla stanza di Kate
- Lo so Alexis, ma non posso stare in nessun altro posto.
- Papà, spero che un giorno potrò dire la stessa cosa della persona della quale sono innamorata.
- Te lo auguro, piccola mia, vorrà dire che sarà la persona giusta e che io molto a malincuore dovrò lasciarti andare da lui.
- Vedrai che Kate ritroverà la memoria, non può non ricordarsi di te, sei indimenticabile!
- Grazie pumpkin.
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Always, Again
FanfictionDal primo capitolo: "Un mese. 31 giorni. 744 ore. 44640 minuti. Controllava l'orologio e proprio a quest'ora un mese prima stavano tornando a casa, Kate lo salutava con il suo sorriso più raggiante andando in camera, mentre lui avrebbe cucinato...