Kate fu silenziosa per il resto del giorno. Presi dalle carte del fascicolo sulla morte di Johanna non pranzarono e la sera Castle dovette insistere più volte per convincere sua moglie a fare un pasto come si deve. Cenarono in silenzio con Martha ed Alexis che si adeguarono a quel clima inusuale per la loro casa. Salutarono comunque Kate con affetto prima che andasse nella sua stanza: sarebbero entrambe partite il giorno dopo.
Castle passò gran parte della serata e della notte a passeggiare davanti alla porta della loro camera. La sentiva piangere e dovette combattere furiosamente contro se stesso per non entrare. Ma non voleva invadere né il suo spazio né il suo dolore. Si affidò al buon senso di Kate: se fosse stata male l'avrebbe chiamato.
Provò ad andare a dormire al piano superiore, capì ben presto che gli era impossibile farlo. Rimase sul divano, anche quella sera, dormì meglio di quanto potesse pensare.
Il giorno dopo non andò meglio. Kate uscì dalla camera solo per mangiare. Si scusò con lui cordialmente, ma gli disse che voleva stare da sola, niente di più. Ne aveva bisogno per rimettere insieme i pezzi di quel puzzle che aveva scoperto il giorno prima. Si impose di non essere preoccupato per lei. Le chiese se avesse problemi a rimanere a casa da sola, perché lui doveva uscire per delle questioni importanti. Non si oppose, anzi gliene fu grata, dicendogli che non doveva limitare la sua vita a farle da babysitter. Si sentì ferito da quelle parole, se veramente lo pensava non aveva capito nulla di lui.
Castle uscì anche se a malincuore, ma sapeva che la ripresa di Beckett passava anche dai quei piccoli passi di separazione per riprendere autonomia, fisica e morale, così non sarebbe stata costretta a stare chiusa in camera per non vedere nessuno, magari una volta sola avrebbe avuto la curiosità di sbirciare un po' in giro, con il suo sesto senso da detective sempre in cerca di indizi. Rick si autoconvinse di questo per sentirsi più sollevato, ma in realtà non avrebbe voluto passare un minuto lontano da lei e quando l'idea di Kate sola, nella loro casa, indifesa e disarmata prese possesso della sua mente era troppo tardi perché era già uscito, non poteva tornare indietro, avrebbe fatto la figura dell'idiota e lei l'avrebbe presa male. Doveva solo conviverci per il resto del pomeriggio e scacciare certe immagini dalla sua mente per non impazzire.
Passò al distretto a ringraziare personalmente Esposito e ad aggiornarlo sulla salute e sulla reazione, non buona, di Kate. Pensò che forse le aveva fatto fare il passo più lungo della gamba ma l'ispanico, che da sempre era per i modi più diretti, gli disse che secondo lui aveva fatto bene che doveva smettere di tenere Beckett sotto una campana di vetro e scuoterla per farla tornare quella di prima. Parlava facile lui, ma doveva ammettere che non sempre si era sbagliato, come quando l'aveva letteralmente obbligata a prendere in mano il fucile con il quale le avevano sparato. Non era sicuro però che in questa situazione la terapia d'urto avrebbe funzionato, e poi c'erano anche altri fattori da considerare del quale lui non era a conoscenza: il bambino, ad esempio.Era rientrato più tardi di quanto pensasse, aveva ordinato per entrambi del cinese, era tanto che non lo mangiavano, le piaceva, sperava di farle cosa gradita. Kate mangiò poco, meno degli standard che Rick aveva previsto fossero necessari per la sua salute e per il bambino, ma lei non sembrò in vena di accettare né critiche né consigli. Spilluzzicò un po' di riso e del pollo in agrodolce non toccando niente delle tante altre cose che Castle aveva preso per loro. Lui ci restò molto male, lei lo capì ma non cambiò il suo atteggiamento. Lo salutò dicendo che tornava in camera e doveva stare sola.
Castle passò un'altra notte tra la sua nuova camera ed il divano. La mattina seguente la situazione era identica e Rick cominciava a non riuscire a trattenere il suo malumore. Quando Kate uscì di camera non nella solita tenuta da casa, ma vestita di tutto punto Castle fu ancora più arrabbiato nel capire che stava uscendo senza dirle nulla. Gli disse semplicemente che aveva chiamato un taxi per andare da Burke, aveva preso un appuntamento il giorno precedente. La vide uscire ancora malferma sulle sue gambe, ma con l'orgoglio di chi voleva farcela da sola. Uscì anche lui, solo perché stare lì dentro da solo era ancora impossibile e quando tornò il loft era sempre vuoto. Approfittò per chiamare Jim e chiedergli se aveva avuto modo di parlare con Kate. Era l'unico con il quale riusciva a confidarsi ed anche lui condivideva le sue paure per la chiusura della figlia negli ultimi giorni. Tentò comunque di rassicurare Rick, dicendogli che non era colpa sua e che era stato giusto raccontarle la verità sulla madre.
Quando Kate tornò al loft Rick notò che era molto provata, non solo fisicamente. Aveva bussato e si era fatta venire ad aprire la porta, nonostante avesse le chiavi e questo particolare non sfuggì allo scrittore che se ne dispiacque molto.
Kate andò in camera e notò sul cuscino una tessera di un puzzle. Sembrava uno di quei puzzle da bambini con i pezzi molto grandi. Guardò il disegno assomigliava ad una parte di un cartone animato, ma non ne era sicura, non capiva il senso, l'unica cosa della quale era certa era che non fosse finita lì per caso, ce l'aveva messa Castle e la indispettiva non poco che era entrato nella sua camera quando lei non c'era. Cosa voleva fare, spiarla? Cercare indizi su quello che aveva fatto?
Rick bussò alla sua porta e lei non aprì e non gli disse nulla.
- Kate, ho preparato la cena. - La sua voce dolce e accondiscendente sembrò infastidirla ancora di più. Lui era arrabbiato, l'aveva capito già dalla mattina, però faceva di tutto per trattenersi. - Se non vuoi venire di là, ti preparo un vassoio e lo puoi portare in camera, ma non puoi stare senza mangiare.
Il buon senso era tutto dalla parte di lui e lei si stava comportando come una bambina capricciosa, se ne rendeva conto. Mentre stava ancora decidendo cosa fare lo sentì bussare di nuovo, questa volta si alzò e gli aprì. Era in piedi sulla porta e le porgeva un vassoio colmo di cibo.
- Ti dispiace se vengo a mangiare di là? - Gli disse con lo sguardo basso perché si vergognava per come si era comportata durante gli ultimi giorni.
- No, no... ok ... ora... ora preparo.
Lo seguì, lui apparecchiò la tavola per due, velocemente ma sempre con un tocco di raffinata eleganza. Le tovagliette color avorio, dello stesso colore del rigo sul piatto di ceramica bianca, i bicchieri di cristallo le posate di design. La invitò a sedersi e prese posto davanti a lui, che le servì quanto preparato poco prima. Piatti semplici e leggeri, ma nutrienti e gustosi, sembrava avesse fatto un corso di cucina per donne incinte, e forse lo aveva fatto veramente per quel che ne poteva sapere lei.
Aveva appena finito di mangiare la sua abbondante porzione di zucchine gratinate al formaggio quando parlando interruppe la smania di Rick di riempirle di nuovo il piatto di qualcosa di diverso.
- Ho avuto paura, Castle.
Lui a quelle parole sparecchiò velocemente la tavola, dandosi mentalmente il tempo di assimilare quello che lei aveva appena detto. Paura di cosa? A che si riferiva? Era per quello che aveva letto? Per Bracken? Non c'era scritto nel fascicolo che era morto? Quando il tavolo era sgombro si sedette di nuovo davanti a lei, le mani appoggiate sul tavolo a dissimulare una certa calma che non aveva e le fece un cenno con la testa per continuare. Era pronto. O forse no. Ma non era importante.
- Ho avuto paura di dipendere da te.
Era questo? Non c'entrava nulla la storia di sua madre e di Bracken?
- Cosa? - Le chiese Castle stupito e per niente sollevato.
- Da quando mi sono svegliata, tu sei stato sempre con me. Hai provveduto a tutto quello di cui avevo bisogno. Ed io senza conoscerti mi sono affidata a te per qualsiasi cosa.
- Kate io non potrei fare altrimenti.
- Io non posso dipendere totalmente da una persona, non me lo posso permettere.
- Certo che puoi farlo! Adesso puoi e devi farlo!
- Io ora non so più chi sono, non so niente di me. Se mi affido totalmente a te, e poi tu non ci sarai più ed fossi di nuovo sola, cosa potrei fare?
- Io ci sarò sempre per te Kate. È per questo che mi hai evitato?
- Dovevo capire.
- Capire cosa?
- Che è già troppo tardi per non dipendere da te. Ti ho sentito queste notti. Passeggiavi qui fuori, dormivi sul divano.
- Non volevo disturbarti.
- Non mi hai disturbato, non dormivo nemmeno io.
- Cosa facevi? Se non sono indiscreto...
- Leggevo. Ho trovato la mia scatola dei tuoi romanzi...
- Già... La tua scatola, sembra la roba di una vera fan.
- Perché lo ero!
- Così finalmente lo ammetti! - Castle era euforico aveva cambiato in un attimo espressione e umore.
- Cosa?
- Che eri una mia fan! Cioè, non una che leggeva semplicemente i miei libri, ma una fan!
- Non lo sapevi?
- L'ho sempre sospettato, anzi più che sospettato, però non me lo avevi mai detto apertamente!
- Ah... E perché secondo te non te lo avrei mai detto? - Chiese sinceramente stupita di se stessa.
- Beh, per non darmela vinta, perché non volevi che mi pavoneggiassi o ti prendessi in giro, credo. Ma tranquilla non farò niente di tutto questo.
- Vuoi vedere una cosa?
Andarono insieme in camera e Kate aprì la scatola con tutti i suoi libri. Prese la sua copia di Storm Rising e la tenne tra le mani.
- Quando mia madre è morta una delle poche cose che mi evitava di pensare era leggere i tuoi libri. Mi sono stati di grande aiuto in quel periodo. Quando è uscito questo ho fatto più di un'ora di fila per avere un tuo autografo.
- Stai scherzando?
- No.
Aprì il libro e c'era veramente il suo autografo. Non sulla copertina come faceva solitamente di corsa con il nome della sua fan, ma all'interno, sotto il frontespizio come faceva sempre quando doveva scrivere una dedica importante, "Spero che al prossimo libro sorridano anche i tuoi occhi".
Rick lesse la frase e rimase stupito di se stesso. Erano molto rari i casi in cui faceva delle dediche personali, probabilmente, anche se non la ricordava e non rammentava nulla di quel frangente, qualcosa doveva averlo colpito di lei e sapeva esattamente cosa. La tristezza del suo sguardo che si scontrava con il suo meraviglioso sorriso. Quante volte aveva visto quel mix letale che lo aveva fatto innamorare giorno dopo giorno?
- Non sono più venuta a farmi autografare nessun altro libro. Forse era stupido, ma pensavo che ti saresti ricordato ed avresti visto che ancora i miei occhi non sorridevano. Mi sono illusa che quando hai scritto quella dedica tu l'avevi pensata proprio per me e mi ci sono aggrappata a quel pensiero per tanto tempo. Poi ho capito che scrivevi dediche a tutte, ma mi è stata di aiuto, sul serio.
- Non scrivevo dediche a tutte.
Castle non sapeva cosa altro dire, era sorpreso da quella rivelazione dopo tanti anni, non aveva mai preso i suoi libri o curiosato tra le sue cose, non poteva saperlo. Forse se lo avesse scoperto in un'altra occasione l'avrebbe veramente presa in giro e si sarebbe pavoneggiato al distretto per giorni, mettendola in imbarazzo, ma ora era diverso, era tutto diverso.
- Alle ultime presentazioni ti sorridevano anche gli occhi. Beh, non venivi a fare la fila per farti autografare i libri, però quando li leggevi in anteprima qui o di là sul divano, eri felice. Anche per questo - prese la copia di Heat Rises - hai fatto la fila per un autografo.
- Non ci conoscevamo già?
- Sì, ma tu mi avevi allontanato per un po' di tempo, io ero molto arrabbiato. Era dopo il funerale di Montgomery. Dopo che ti avevano sparato. Mi avevi escluso dalla tua vita.
- Perchè lo avevo fatto?
- Dovevi risolvere delle cose e dovevi farlo da sola, almeno questo è quello che mi avevi detto. E poi avevi una storia, con un medico, si chiamava Josh. Hai fatto la fila per parlami, di nuovo. Ci siamo chiariti, più o meno e mi hai detto che ti eri lasciata con quel Josh.
- Eri geloso di lui! - Gli disse con fare canzonatorio
- Certo che lo ero! Lui non ti meritava. Non c'era mai quando avevi bisogno di lui. Io sì, ma tu non te ne accorgevi.
- O forse non volevo farlo... - Il suo tono ora era più triste, si conosceva, sapeva che quella probabilmente era la motivazione più veritiera.
- Sì, non volevi farlo. - Replicò sicuro.
- Ho letto Heat Wave. Sai ancora è molto strano vedere su un tuo libro una dedica per me. Una dedica stampata, intendo. Io ti vedo qui tutti i giorni, ti prendi cura di me, parliamo, scherziamo, litighiamo... Sono incinta di tuo figlio... Per me sei Castle, o Rick, quasi mi dimentico chi sei. Poi quando prendo in mano i tuoi libri e vedo la foto dietro e penso a tutto il tempo che ho passato a leggerli, penso a quella persona lì, mi sembra impossibile che sei tu, che sei così diverso da quello che avevo nella mia mente, un playboy milionario che passa la vita da un party all'altro con una donna diversa ogni sera.
- Ero così, prima. Per prima intendo il periodo che ricordi tu, ero quello. Un uomo annoiato che buttava via la sua vita così. Poi sei arrivata tu. - Castle si fermò a guardarla negli occhi, le accarezzò il volto in quel ritrovato contatto che gli era così mancato. Spostò una ciocca dei suoi capelli dietro l'orecchio, in quel gesto che ripeteva spesso, per vedere meglio il suo volto e perchè solitamente dopo era lì che cominciava a baciarla, ma questo dovette trattenersi dal farlo.
- Rick... non posso...
- Sì che puoi Kate. Anzi devi. Devi lasciar andare le tue paure. Io ci sarò. Sempre. Non è una brutta cosa affidarsi a qualcuno.
- Ma dipendere da qualcuno sì, Rick. Non va bene.
- Io dipendo da te.
- Non dire cavolate Castle, tu non dipendi da me.
- Non nel pratico ma per tutto il resto sì. L'hai detto tu, mi hai sentito. Perchè queste notti sono rimasto sul divano? Perchè non potevo dormire al piano superiore sapendoti qui?
- Perchè sei pazzo Castle?
- Se rispondo di te sono banale?
- Per essere uno scrittore sì, molto. Potresti fare di meglio.
- Però sarebbe la verità.
- Stai facendo di tutto per mettermi in difficoltà?
- No, sto facendo di tutto per farti capire che stai sbagliando tutto. Datti una possibilità Kate. Non sarai mai più sola.
- Quando ero davanti alla tomba di mia madre pensavo a quando ero ragazza ed ero preoccupata, lei arrivava, mi metteva una mano sulla spalla e mi diceva che sarebbe andato tutto bene. Pensavo a quanto avevo bisogno di sentirmelo dire e quanto avrei voluto che fosse lì dirmelo, a quanto la vorrei vicino a me in questo momento. Avevo sempre pensato quando ero una ragazza che ancora sognava il futuro che in questo momento avrei avuto mia madre vicino, ad aiutarmi a consigliarmi e sostenermi. E invece lei non c'è ed io sono sola. In quel momento però sei arrivato tu, mi hai messo una mano sulla spalla e mi hai detto che sarebbe andato tutto bene... Io per un attimo ho pensato che fosse veramente lei a toccarmi...
- Vedi Kate - le tolse il libro che ancora aveva tra le mani e le prese tra le sue - quando stavamo organizzando il nostro matrimonio tu mi avevi fatto più o meno lo stesso discorso, quando eri andata a provare un'abito da sposa. Tua madre ti mancherà sempre e in certe occasioni ancora di più. Desidererai averla vicino e la sua mancanza sarà la presenza più forte nel tuo cuore. È normale Kate, è umano. Diventerai mamma e vorresti la tua mamma vicino a te. Anche io prima che nascesse Alexis avrei voluto avere un padre con cui parlare e confrontarmi e da cui prendere esempio. Tu però hai il ricordo di tua madre, di quello che è stata per te e dei suoi insegnamenti. Sono sicuro che lei avrebbe voluto che tu fossi felice e non vivessi con la paura di esserlo.
Rick lasciò le sue mani e frugò in tasca. Tirò fuori una tessera di un puzzle.
- Hai il tuo Kate?
Lei non capì, ma lo prese dal comodino dove lo aveva appoggiato. Lo diede a Rick che lo unì al suo. Venne fuori un pezzo di animale di un cartone animato, incomprensibile stabilire quale o cosa fosse.
- Vedi questi due pezzi - continuò Rick - si incastrano. Tu dirai che non hanno senso, perchè manca tutto il resto e forse è vero. Anche nella tua vita mancano tanti pezzi al puzzle e a te sembra di non capire il significato, proprio come qui. Sono solo due pezzi che si incastrano, ma ti sembra che non formino niente che abbia un senso. - Li divise e rimise nelle mani di Kate il suo pezzo, lui tenne il suo. Lo girò e le disse di fare altrettanto con il suo. In entrambi c'era un segno tracciato con un pennarello rosso. Riprese il pezzo di Kate e lo unì di nuovo al suo. I due pezzi messi insieme, sul retro, formavano un cuore.
- Basta cambiare il punto di osservazione delle cose. Anche due pezzi di un puzzle che sembra che non abbiano nessun significato presi da soli, se si incastrano possono dire tutto, anche senza tutto il resto. Basta vederli in modo diverso.
- Questo puzzle era una cosa importante per noi?
- L'ho comprato oggi. - Gli confessò candidamente - Però se tu vuoi, potrà diventarlo. Potrà diventare importante. Per noi. Possiamo creare dei nuovi ricordi, aspettando quelli vecchi.
Il volto dello scrittore si aprì in un sorriso a sottolineare le sue parole.
- Beckett, vuoi creare nuovi ricordi con me?
- È una proposta inusuale Castle.
- Ti chiederei anche di sposarmi, ma tecnicamente già lo siamo e non credo che tu mi diresti di sì adesso. Creare dei ricordi è più generico.
- Sì, lo è.
- Accetti?
- Accetto.
Si sorrisero entrambi.
- Rick, questo però non vuol dire che noi...
- Lo so Kate. Non vuol dire quello.
- Che ne sai a cosa mi riferivo?
- Lo so. Sono sempre valide le condizioni di quando hai accettato di venire qui.
- Esatto Castle.
- Va bene, Beckett.
STAI LEGGENDO
Always, Again
FanfictionDal primo capitolo: "Un mese. 31 giorni. 744 ore. 44640 minuti. Controllava l'orologio e proprio a quest'ora un mese prima stavano tornando a casa, Kate lo salutava con il suo sorriso più raggiante andando in camera, mentre lui avrebbe cucinato...