Si era illusa che le sarebbe bastato non volerci pensare e farsi vincere dalla stanchezza per riuscire a dormire. Si svegliò, invece, di soprassalto e un'infermiera entrò di corsa nella sua stanza. Non si era nemmeno accorta di aver gridato nel sonno o appena aveva aperto gli occhi. Era tutto così confuso ma sembrava drammaticamente reale.
L'erba sotto di me.
Freddo, tanto freddo e dentro al petto un dolore lancinante.
Le mie mani, guanti bianchi, rosso sangue, blu occhi e cielo.
Urla, grida.
"Kate! Kate! Kate!"
Poi silenzio.
I colori intorno si smorzano.
Dove sono i colori?
Tutto grigio. Tutto buio
Solo la voce di Castle rimbomba ovunque nel silenzio scuro della mente.
Non riesco a muovermi, ad aprire gli occhi.
Non capisco Castle, cosa dici?
La sua voce è confusa, un suono terrorizzato.
Terrore, anche il mio.
Silenzio, di nuovo. Totale.
"Libera! Libera! Biiiiiiiip"
"Resisti Kate!"
Un lampo nel buio.
Dove sono?
Una casa. Risate.
E poi freddo, di nuovo freddo.
Ancora sangue, ancora dolore.
"Castle!"
"Insieme, sempre"
Una mano stringe la mia.
Il bambino? Dov'è il bambino?
E' lì, mi guarda, seduto su una pozza di sangue. Il mio.
Ride e gli sorrido.
Piange.
Non piangere! Non piangere!
Sta bene il bambino? Sta bene?
Non riesco a muovermi, a prenderlo, a toccarlo.
Ho paura.
È solo.
Non può stare solo.
Ho paura.
Paura per me.
Paura per lui.
Respirava a fatica anche dopo aver capito che era solo un sogno, un incubo. L'infermiera la guardava e le stava chiedendo cosa fosse successo, se stava bene, ma Kate non ricambiava il suo sguardo, che sembrava perso lontano oltre la luce del corridoio che invadeva la stanza. Si portò le mani sul ventre, istintivamente. Stava bene? Se lo chiedeva ancora, anche adesso che era sveglia.
Le domande dell'infermiera non cessarono fino a quando non le rispose che era solo un sogno, ma faceva fatica a calmarsi, era evidente che qualcosa l'aveva turbata profondamente.
La donna uscì e ritornò poco dopo con un bicchierino, le disse di bere e rilassarsi. Kate la guardò prima di mandare giù il contenuto.
- Stia tranquilla. Non faranno male al bambino.
Bevve e dopo poco si addormentò di nuovo. Profondamente.
L'infermiera che la svegliò ore dopo era un'altra, meno rassicurante di quella che era stata da lei durante la notte. La medicò e solo questo la rese meno simpatica ai suoi occhi e poi insistette perché si alzasse. Fu una fatica immane ma lo fece, stava dritta, in piedi, appoggiata a quel coso e la guardava con un'espressione di sfida: visto? Ce l'ho fatta. Sono in piedi.
Fece anche qualche passo e le sembrò di aver fatto una delle sue solite lunghe camminate. In piedi osservava la stanza. Sul tavolo c'erano ancora i due bicchieri di caffè e i fiori che Castle le aveva portato la mattina precedente, ormai appassiti, uguali a quelli nel vaso vicino al comodino. Erano gigli, lui lo sapeva, non poteva essere una casualità. L'infermiera notò il suo sguardo attento mentre sistemava la sua camera.
- Suo marito le ha portato tutti i giorni fiori freschi e caffè.
Kate sorrise e si mise seduta sul letto. La sua autonomia limitata era già finita e sentiva il bisogno di stendersi di nuovo, cosa che fece molto lentamente.
Guardò l'orologio, era più tardi di quanto pensasse, non che avesse appuntamenti in agenda, ma era convinta che Castle sarebbe arrivato con il caffè, come le due mattine precedenti, invece non c'era.
Fu felice quando sentì bussare alla porta e non riuscì a nascondere un po' di delusione nel vedere suo padre che se ne accorse e sorrise.
- Pensavi fossi qualcun altro Katie?
Non gli rispose e si morse il labbro, colta in flagrante.
- Lo hai chiamato?
Scosse la testa.
- Io devo andare Katie, mi dispiace. Ho un'udienza in tribunale. Ci vediamo stasera.
- Non ti preoccupare papà, non scappo da qui! - Riuscì a fargli un sorriso dei suoi, di quelli che avevano aiutato Jim a non lasciarsi andare nei momenti peggiori. Le diede un bacio sulla fronte ed andò via.
Una volta sola le immagini confuse del suo incubo notturno tornarono nella sua mente insieme alle stesse sensazioni di paura e dolore. Più passava il tempo, più prendeva coscienza della vita che stava crescendo in lei e questo aumentava la percezione di ogni cosa. La paura era più intensa, il dolore era più forte. C'era un'altra sensazione, però, che si faceva strada dentro di se, anche se la scacciava via, perché non voleva che anche l'illusione diventasse più amara: era la speranza. La vivida speranza che ci fosse una possibilità, anche per lei.
Prese il telefono sfogliò la rubrica e poi lo chiamò.
- Dottor Burke? Sono Katherine Beckett. So che lei mi conosce...
Il dottore fu felice di sentirla, già il fatto che l'aveva chiamato implicava che lei avesse intenzione parlare e conoscendola questo era già un enorme passo avanti. Sarebbe andato lui da lei in ospedale il pomeriggio seguente.
Continuò ad aspettare Castle tutta la mattina, ma quando arrivò Luke, il ragazzo del Four Season che ormai aveva imparato a conoscere, con il suo pranzo e vide un solo vassoio, per lei, capì che Rick non sarebbe venuto.
Aveva trascorso una sola giornata con lui. Solo un giorno. Perché le mancava così tanto la sua presenza? Provò razionalmente a spiegarsi che le mancava perché era sola, perché lui le raccontava parti della sua vita, cosa che non faceva nessun altro. Non che vedesse molta gente, ma nemmeno suo padre le aveva mai detto niente. Sembrava che fosse lui l'unico incaricato di raccontarle il suo passato, perché era uno scrittore narrare storie era il suo mestiere?
No, non era solo per quello che le mancava. Le mancava e basta. Ma non se lo sarebbe detta. Non adesso. Non ancora.
- Ciao splendore! - Lanie era entrata nella stanza con tutta la sua energia. - Quanto pensi di stare ancora lì senza fare nulla?
- Hey ciao! Sono felice di vederti! Vorrei tanto alzarmene ed andare via di qua. Tornare a casa con una tazza di caffè caldo e sprofondare nel mio divano.
Lanie la guardò sorridendo.
- Che c'è? Cosa ho detto? - Chiese Kate alla sua amica
- Niente. Stavo solo pensando che la tua casa ha un divano enorme nel quale puoi sprofondare insieme al tuo scrittore. - Kate la guardò minacciosa. - Tesoro, hai un'idea vecchia della tua casa! La tua casa ora è "wow"!
Kate si rabbuiò. La sua casa non esisteva più. Ora aveva un'altra casa oltre che un'altra vita.
- Non ci avevi pensato tesoro?
- Veramente no...
- Il tuo scrittore dov'è?
- Non lo so.
- Che vuol dire "non lo so"?
- Abbiamo discusso ieri mattina e gli ho detto di andarsene.
- Non ci credo! Castle ti ha ubbidito!
- Lo ha fatto.
- È la prima volta probabilmente Kate, credimi!
Roteò gli occhi pensando che aveva trovato proprio la volta peggiore per darle ascolto.
- Che è successo, come avete fatto a litigare anche qui? - Chiese Lanie preoccupata. Si vedeva che Kate era dispiaciuta della cosa.
- Mi ha tenuta nascosta una cosa.
- Tesoro, hai perso la memoria, penso che ti ha tenuto nascosta più di una cosa.
- Lanie, sono incinta.
Boom! Lo aveva detto. Guardava la faccia di Lanie con gli occhi spalancati e la bocca aperta che la fissava senza dire niente. Lo aveva detto ed era stato un altro passo per renderlo più reale.
- Katherine Beckett se te lo ricordassi ti chiederei perché non mi avevi detto nulla! - Le disse mentre l'abbracciava cogliendola di sorpresa
- Castle dice che non lo sapevo. Tu pensi sia possibile?
- Tesoro credo che lo scrittore abbia assolutamente ragione, stranamente. Come ti senti?
- Non lo so. Non ricordo niente della mia vita, mi ricordo di essere una ragazza e mi trovo donna, moglie e prossimamente madre. Avrò un figlio e non mi ricordo nulla di mio marito. Come dovrei sentirmi secondo te?
- Hai tutto il diritto di sentirti uno schifo, però mio Dio Kate! Un bambino! Diventerai mamma! Immagino Castle sarà felicissimo.
Kate si rabbuiò. Non sapeva come si sentisse Castle, non glielo aveva nemmeno chiesto. Non gli aveva chiesto nulla, non gli aveva fatto nemmeno una domanda. Niente.
- Non so ancora cosa diventerò Lanie... Non so cosa fare. Non so nemmeno cosa ne pensa lui. È tutto così confuso. Vorrei capire cosa provo e non so neanche quello, non se le cose che provo io sono quelle che avrei provato qualche settimana fa, ho paura di farmi del male da sola.
- Dolcezza, parla con Castle, lui sarà al settimo cielo per questo bambino, lui adora i bambini! Mi sembra impossibile che tu non ti ricordi ti lui il vostro legame e la vostra connessione è così forte!
- Non sai quanto vorrei ricordarlo...
Una chiamata interruppe la loro chiacchierata. C'era stato un omicidio ed era richiesta la presenza dell'anatomopatologa. Lanie notò che la Kate si era di nuovo incupita e lesse nel suo volto rabbia e nostalgia. Si raccomandò di non dire a nessuno della novità e di salutargli Esposito, Ryan ed anche il capitano Montgomery. Fu colpita dalle sue parole, glissò dicendo che avrebbe salutato tutti, la abbracciò ed uscì chiudendo bene la porta pensando che sarebbe stato difficilissimo spiegarle tutto.
Castle la prese per un braccio e la portò nel corridoio adiacente.
- Allora? - Le chiese ansioso Rick
- È confusa e spaventata. - Rispose Lanie
- Ti ha detto nulla di me?
- Nulla di specifico Castle, mi ha detto che avete discusso, sembrava dispiaciuta. Credo che le farebbe piacere vederti. Devo scappare ora, c'è stato un omicidio e i ragazzi mi stanno aspettando.
Si salutarono e lui tornò seduto fuori dalla sua stanza, dove era da quella mattina, in attesa che lei lo chiamasse: da quando Jim lo aveva avvisato si era precipitato lì, aveva pensato di entrare da lei, aveva bisogno della sua presenza per respirare di nuovo e la doveva vedere perché doveva essere lui ad accertarsi che stesse bene: nessuno sapeva capire come stava quanto lui. Non era importante che lei non si ricordasse di lui, era lui che la conosceva e che sapeva di cosa avesse bisogno. Qualcuno forse lo metteva in discussione?
Si stava fisicamente forzando per non entrare lì dentro, ma voleva che fosse lei a cercarlo, quando riteneva di essere pronta a vederlo di nuovo, a parlargli. Si mordeva le mani per non andare lì ad aprire quella porta, andare vicino al suo letto e pregarla, anche in ginocchio se fosse stato necessario, di ascoltarlo e di dargli una possibilità di farle conoscere il loro mondo, la loro vita.
Mostrò molto più autocontrollo di quello che pensava di avere e rimase lì con i suoi pensieri. Doveva raccontare a Kate la loro vita, era una storia, in fondo. Era il suo lavoro. Doveva fare una scaletta, scegliere gli eventi più importanti e narrare i fatti. Pensò, però, che era impossibile scegliere quali fossero gli eventi più importanti, perché per lui era tutto importante, ogni singolo caffè bevuto insieme, ogni stretta di mano, ogni abbraccio, ogni carezza non erano certo meno essenziali ai fini della loro storia delle situazioni più considerevoli: ogni gesto era un passo che li aveva uniti e che li faceva camminare nella stessa direzione. Come sarebbe riuscito a spiegarle il valore delle loro dita che si sfioravano tra le sbarre della cella del distretto quando lo aveva arrestato per omicidio? Come avrebbe fatto a farle capire il significato del loro "per sempre", che non era una promessa ma molto di più? Come avrebbe descritto la potenza di un abbraccio nel quale trovare conforto, riparo e ritrovare la propria umanità? Come sarebbe riuscito a trasmetterle i brividi che provava quando le loro dita si intrecciavano e le loro mani si stringevano?
Avrebbe dovuto scrivere un libro solo per lei, forse gli sarebbe venuto meglio mettere tutto nero su bianco tutto piuttosto che parlarle per poi inciampare nei suoi soliti discorsi sconclusionati nei quali volava da un argomento all'altro seguendo la sua fantasia come gli capitava ogni volta che era con lei e la sua mente non era più in grado di seguire un filo logico.
Rimase lì ancora, fino dopo l'ora di cena, quando uscì l'infermiera dal suo turno di visite per comunicargli che aveva mangiato quasi tutto quello che lui le aveva fatto portare, facendosi specificare bene cosa volesse dire quel quasi. Ammise con se stesso che stava esagerando. La donna però, forse sentendosi in colpa per la rivelazione inopportuna del giorno prima, gli disse che l'unica cosa che non aveva mangiato era stato il dolce. Castle ne fu sollevato, ma si appuntò mentalmente che doveva dire al catering che quel dolce non glielo dovevano più portare.
La rabbia che aveva provato il giorno prima per quella donna che lo aveva messo in una situazione così spiacevole era man mano scemata ed ora la ringraziava anche per tenerlo informato su quello che faceva sua moglie. Sorrise quando le disse che l'aveva lasciata in camera a leggere il suo libro. Controllò l'ora, era tardi, cominciava ad aver fame ed essere stanco anche lui. Decise di tornare in hotel pregandola di avvisarlo per qualsiasi cosa fosse successe a Kate, a qualsiasi ora.
Quando entrò nell'ascensore che lo avrebbe portato al piano dove si trovava la sua suite tutto quello che desiderava era chiamare il room service, farsi portare un poco sano cheeseburger con tante patatine, farsi una doccia e poi dormire.
I suoi programmi, invece, furono del tutto rovinati quando entrando in camera trovò le luci accese, la musica ad invadere l'ambiente ed una donna che sorseggiava un martini sdraiata sul divano.
- Madre!
- Richard sono felice che almeno ti ricordi chi sono! - Disse Martha portandosi in una posizione più composta.
- Pessima battuta madre, soprattutto in questo momento. Veramente pessima - disse buttando la giacca su una sedia e sedendosi nella poltrona davanti a lei.
- Perdonami Richard, non era mia intenzione. Volevo solo dire che sono giorni che non ti fai sentire.
- Avevo detto ad Alexis di aggiornarti.
- Lo ha fatto, ma volevo sapere come stai tu!
- Benissimo! Kate non si ricorda che esisto ed ora non vuole nemmeno vedermi. Come dovrei stare, secondo te?
- Oh Richard... - Martha si avvicinò a lui con il suo solito fare melodrammatico.
- Non ora madre... Ma tu come fai ad essere qui? Chi ti ha fatto entrare?
- Bob è un grande amante del teatro ha detto di aver visto molti miei spettacoli, non poteva dirmi di no!
- Chi è Bob?
- Il tuo maggiordomo! Stai qui da quanto? Quasi tre settimane e non conosci il maggiordomo della tua suite?
- Non sto molto tempo qui, a dir la verità, dovresti saperlo. Hai fame? Vuoi farmi compagnia?
- Certo figliolo, volentieri.
Così i suoi propositi di cheeseburger poco sani saltarono ed ordinò una selezione di formaggi francesi e delle insalate per lui e per sua madre. Il tutto ovviamente accompagnato dal ottimo vino d'annata per la gioia di Martha.
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Always, Again
FanfictionDal primo capitolo: "Un mese. 31 giorni. 744 ore. 44640 minuti. Controllava l'orologio e proprio a quest'ora un mese prima stavano tornando a casa, Kate lo salutava con il suo sorriso più raggiante andando in camera, mentre lui avrebbe cucinato...