Prima di tornare in ospedale aveva chiamato anche il suo amico Philip, il Food & Beverage Manager dell'hotel dove risiedeva ormai da qualche settimana. Si era fatto dare dall'ospedale tutte le indicazioni su quello che Kate doveva mangiare in quei giorni e le aveva girate a lui, insieme alle sue aggiunte su quelli che erano i suoi cibi preferiti. Avrebbero pensato loro a preparare i pasti a sua moglie e a portarglieli agli orari stabiliti. In ospedale non erano stati inizialmente troppo entusiasti di questa sua trovata, ma dopo che aveva parlato con uno degli amministratori delegati e promesso una generosa donazione, non c'era stato nessun impedimento alla sua richiesta. Ormai non si stupiva più di come con i soldi si potesse comprare tutto, o quasi, perchè se fosse così, avrebbe speso il suo intero patrimonio per comprare un po' di serenità per lui e Kate, per vivere quella vita normale che aveva sempre sognato per loro e che, fino ad ora, non avevano mai avuto, se non per qualche raro momento che intervallava una situazione critica ad un'atra. Non poteva arrendersi al fatto che il loro destino sarebbe stato quello per sempre.
Aveva parlato con Burke per molto più tempo di quanto pensava. Voleva chiedergli soprattutto di Kate, aveva finito per parlare per lo più di se stesso, di come si sentiva e delle sue paure. Ne aveva bisogno, gli sembrava che nessuno dei suoi amici o parenti riuscisse a capirlo. Aveva passato un mese a preoccuparsi delle condizioni di sua moglie che non riprendeva conoscenza, ma tutti si preoccupavano solo delle sue ferite fisiche, senza capire che quello che lo faceva stare male realmente era la situazione di Kate. Il dottore, infine, gli aveva detto che se voleva poteva andare nel suo studio per parlarne in maniera più approfondita, oppure potevano vedersi da lui. Castle lo ringraziò ma tornò al punto centrale di tutti i suoi problemi: Kate. Come doveva fare? Burke gli disse quello che forse già sapeva, che non c'era un modo migliore di un altro e nessuno sapeva come realmente avrebbe potuto reagire, ma di ricordarsi che, sebbene lei non ricordasse coscientemente gli ultimi anni della sua vita, se non aveva subito lesioni come gli avevano detto, nel suo inconscio erano presenti le stesse paure che l'avevano sempre attanagliata, solo che non ne era consapevole, ma l'attacco di panico che gli aveva descritto, era un sintomo. Gli consigliò, infine, di parlare con lei e di dirle che se voleva, potevano incontrarsi, ma doveva essere una cosa che nasceva da lei, lui non poteva imporre la sua presenza e nemmeno Castle forzarla a parlare con qualcuno.
Aveva poi chiamato un taxi e si era fatto accompagnare al loft. Non c'era più rientrato, non aveva con se nemmeno le chiavi e sperava che ci fosse qualcuno, aveva agito d'impulso, senza avvisare nè Alexis nè Martha. Bussò alla porta, attese e poi gli aprì un uomo. Era biondo, robusto, capelli a spazzola, sporco di vernice e segatura. Era uno degli operai che stavano ristrutturando la sua cucina. L'uomo lo guardò con circospezione. Si presentò, disse di essere Richard Castle, il proprietario di casa, ma aveva dimenticato le chiavi. Il suo sorriso ed il suo charme non riuscirono a conquistare l'uomo che non aveva nessuna intenzione di farlo entrare e lui sentiva di star perdendo troppo tempo sulla soglia di casa sua, tempo che avrebbe volentieri dedicato a Kate. Proprio mentre stava per chiamare Edward, il suo architetto, sentì dei passi più leggeri scendere le scale, si sporse con la testa verso l'interno e vide sua figlia.
- Mi sembrava di aver sentito la tua voce papà! Dai entra! - Alexis fece cenno all'operaio di spostarsi per far entrare suo padre.
Mosse i primi passi incerti dentro la casa e fissò la zona della cucina. Non c'erano ancora i mobili, ma il pavimento era nuovo, le mura ridipinte e poteva vedere sul muro le tracce di dove sarebbero stati collocati i nuovi.
- Sta venendo bene, che ne dici? - Chiese ad Alexis.
- Credo di sì, se per te è importante.
- Lo è, moltissimo. - Chiuse il discorso, pentendosi della domanda. Evidentemente non riuscivano a capirlo.
- Come mai sei qui? Kate sta bene?
- L'ho lasciata riposare, è ancora debole. Sono venuto a prendere alcune sue cose, dei vestiti e altre cose che penso le farà piacere avere.
- Ci voleva Kate per farti tornare a casa! - Alexis non si rese conto di quello che aveva detto fino a quando lo sguardo di Rick non la fulminò. Non si era mai sentita guardare da suo padre in quel modo. - Scusa papà... - ma da Castle nessuna risposta mentre andava in camera.
Prese una borsa e dentro ci mise alcuni cambi per Kate, il suo cellulare e poi aprì il suo cassetto per cercare qualcosa di più importante. Si sentiva a disagio a frugare tra le cose di sua moglie, non era sua abitudine invadere la sua privacy. Non voleva curiosare più del dovuto, ma quando vide il cartoncino di un bicchiere di caffè ripiegato ebbe un tuffo al cuore. Non sapeva che lei lo avesse tenuto tutto quel tempo, non sapeva fosse lì. Erano i primi tempi che stavano insieme, quando ancora al distretto non lo sapeva nessuno e loro si dovevano comportare come sempre, da buoni amici, nulla più. Un giorno, mentre lui era seduto alla sua scrivania e lei compilava i soliti rapporti di fine caso, prese il cartoncino del caffè che le aveva portato la mattina e scrisse dentro "I love you". Ricordava ancora il suo sorriso imbarazzato quando lo aveva visto, gli occhi bassi e come era diventata rossa. Lei lo nascose nella borsa, preoccupata che qualcuno potesse sbirciare anche lì. Adorava farla imbarazzare così.
Andò oltre, trovò la scatola che cercava, l'aprì e prese il suo prezioso contenuto. Lo mise in tasca e richiuse senza indugiare oltre in altre cose cariche di ricordi.
- Papà, posso accompagnarti? Pensi che potrò salutare Kate?
- Va bene andiamo, glielo chiederò.
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Always, Again
FanfictionDal primo capitolo: "Un mese. 31 giorni. 744 ore. 44640 minuti. Controllava l'orologio e proprio a quest'ora un mese prima stavano tornando a casa, Kate lo salutava con il suo sorriso più raggiante andando in camera, mentre lui avrebbe cucinato...