Capitolo 2 ✔

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Arrivammo al palazzo che ospitava il nostro appartamento con circa dieci minuti di ritardo. La colazione e le chiacchiere che questa ne scaturì ci avevano fatto perdere la cognizione del tempo; fortunatamente, però, con la metro riuscimmo a recuperarlo.

Ad accoglierci, proprio davanti all'ingresso, c'era Veronica, l'agente immobiliare dall'accecante chioma rossa con la quale Tommaso si era accordato per l'acquisto dell'immobile che sarebbe divenuto la nostra nuova dimora. Indossava un tailleur nero che le fasciava la vita snella e non sembrava affaticata nonostante si ergesse su dei vertiginosi tacchi dal color nude smaltato. «Ragazze, ben arrivate!» Ci accolse con un sorriso smagliante, tenendo una cartellina sottobraccio e, nell'altra mano, una valigetta in pelle nera.

«Guardala come ride... – Sussurrò, la mia amica. – Ci credo, con tutti i soldi che le ha fatto guadagnare mio padre, anch'io non riuscirei a togliermi quel ghigno dalla faccia!» aggiunse poi e dovetti tapparmi la bocca con una mano per sopraffare la risata che stava nascendo sul mio viso in conseguenza alle sue affermazioni. Den era così: senza mezze misure, un fiume in piena che trascinava con sé tutto ciò che finiva lungo il suo percorso, e tu non avevi altra scelta se non quella di lasciarti trasportare dalla sua corrente.

Stringemmo la mano alla donna e ci presentammo visto che non eravamo mai entrate in contatto prima di allora e, subito dopo aver esaurito quei convenevoli che l'educazione ci imponeva di eseguire, questa ci invitò all'interno dello stabile per poterci mostrare la casa. Io e Den, benché dovessimo viverci, non l'avevamo mai vista, si era occupato di tutto suo padre mentre noi, ignare, selezionavamo a destra e a manca gli affitti più convenienti.

Rimase sorpresa quando iniziammo a saltellare sul posto prese dall'euforia del momento; sicuramente non era abituata a seguire delle ragazzine come noi e forse si aspettava anche la presenza di uno dei nostri genitori ma, a discapito di tutto, fu rassicurante vederla sorridere difronte al nostro entusiasmo. Non sapevo se ridesse con noi o di noi ma il fatto che non si fosse spaventata, scappando a gambe levate, era già un buon punto di partenza.

Restai in silenzio durante la lenta salita dell'ascensore che ci avrebbe condotto al quarto ed ultimo piano di quella palazzina, l'adrenalina aveva lasciato il posto all'ansia nata dalla consapevolezza che, una volta entrata nell'appartamento, tutto ciò che era stato fino ad allora solo un desiderio si sarebbe trasformato in realtà e iniziando a sentire il peso di quel cambiamento le gambe tremarono per un istante, sopraffatte dal timore di non essere davvero pronta ad affrontarlo.

La porta blindata era chiusa a doppia mandata e stonava un pochino con le rifiniture di fine anni Cinquanta appartenenti alla struttura; fu un pensiero, quello, che nacque e morì nel momento stesso in cui l'accesso dell'appartamento si spalancò dinanzi a noi e un profumo di frutti di bosco invase le mie narici.

Grazie allo specchio appeso sopra al mobiletto, posto proprio difronte all'entrata, potemmo osservare le nostre espressioni elettrizzate e, allo stesso tempo intimorite all'idea di scoprire quella che da quel momento sarebbe diventata il nostro rifugio. «Questo specchio deve sparire... non sarà piacevole vedere le nostre facce al rientro da una notte di baldoria» commentò Den con un filo di voce, trovando il totale consenso da parte mia. Non era mai una buona cosa, per una ragazza, rientrare in casa e vedere come prima cosa le proprie occhiaie, il trucco colato o l'espressione distrutta sul proprio volto.

«Venite, vi mostro stanza per stanza e, se avete dubbi o perplessità, non esitate a espormeli.» Era molto gentile, pacata nei suoi movimenti tanto quanto nelle spiegazioni, per nulla forzata. Non mi aspettavo che ci trattasse in malo modo ma mi fece piacere notare la sua attenzione alle nostre reazioni, vederla gioire con noi quasi fosse una terza inquilina.

Iniziammo dalla zona giorno, dove trovammo una cucina rosa cipria con penisola la quale si affacciava sul salotto che avevamo raggiunto dal corridoio dell'ingresso. Una portafinestra illuminava la stanza in penombra e restai senza parole quando notai la cupola di San Pietro svettare in lontananza tra le palazzine circostanti. Non credevo si riuscisse a vedere fin da lì e m'immaginai fare colazione mentre ammiravo uno di quelli che tutti, compresa me, consideravano un simbolo della città eterna.

Hug Me - Siamo Chi Siamo #1 (Conclusa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora