Capitolo 8 ✔

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Uscii dal Centro Commerciale con il cuore in gola e un senso d'angoscia a chiudermi lo stomaco. Era notte ormai e un leggero venticello si scontrò con il mio viso accaldato increspando appena la mia pelle; ripresi fiato e mi guardai intorno, il parcheggio era grande, quasi completamente vuoto e io non sapevo cosa fare.

Mi sentivo una cretina ad essere fuggita in quel modo – come se non avessi mai baciato un ragazzo in vita mia – eppure in quel momento era l'unica cosa che sentivo di fare. Avevo bisogno di distaccarmi da lui, di allontanarmi da quello sguardo smarrito che vagava su di me alla ricerca di una risposta a quella domanda che non aveva avuto il coraggio di porgermi. Perché mi ero comportata in quel modo?

Mi indispettiva il fatto che avesse dato per scontato un mio coinvolgimento ma, al contempo, io stessa ritenevo esagerata quella reazione. Sarebbe bastato scostarmi, dirgli che non volevo, che aveva sbagliato a credere che tra di noi sarebbe potuto accadere qualcosa solo perché avevo dato qualche accenno di divertimento durante il gioco che aveva organizzato.

Mi sentivo in imbarazzo, per tutta la situazione che quella mia azione avventata avrebbe comportato. Come avrei mai potuto rincontrare i suoi occhi e fingere che nulla di ciò fosse accaduto? Che giustificazione avrei dato a Laura semmai fosse venuta a conoscenza della serata? E poi, come caspita avrei fatto a tornare a casa?

Erano passate le ventidue già da un po' e prendere la metro da sola, a quell'ora, m'intimoriva. In più un piccolo problemino: avevo lasciato il telefono su uno degli sgabelli all'interno del laboratorio e non era minimamente considerata l'idea di tornare indietro a prenderlo. Non ero pronta a vederlo, bruciava dentro il senso di disagio e dovevo far spegnere quei tizzoni ardenti prima di poterlo affrontare, anche perché ero sicura mi avrebbe ricoperto di quesiti ai quali neanche io ero in grado di dare una risposta convincente.

Non potevo chiamare Den e passare al telefono con lei il tempo del viaggio e non volevo tornare indietro, quindi non ebbi altra scelta che farmi coraggio e raggiungere la fermata pregando di trovare qualche signora alla quale sedermi accanto.

Mi strinsi nella mia giacca e camminai velocemente in direzione della mia meta, con il grembiule sporco di zucchero ancora allacciato alla vita e la coda spettinata. Le auto mi sfrecciavano accanto con un andamento più veloce rispetto a quello giornaliero e io tenevo lo sguardo basso così da evitare qualsiasi contatto visivo; forse era esagerato ma di cose se ne sentivano tante e io ero sempre stata sensibile ai servizi passati al telegiornale.

Nella mia testa rivivevo, come un video che ripeteva la stessa scena, il momento dello schiaffo. Provavo a immaginare la sua faccia nell'attimo esatto in cui la mia mano aveva colpito il suo viso, non avevo potuto scorgerlo dato che ero ancora bendata, e sotto un certo punto di vista preferivo fosse andata così. Mi chiedevo cosa avesse pensato di me, se avrebbe detto a suo padre di non prendermi a lavorare in pasticceria dopo il periodo di prova ma, più di tutto, mi domandavo come io, che non avevo mai fatto del male nemmeno a una mosca, che odiavo la violenza sotto ogni forma, mi fossi ritrovata a schiaffeggiarlo in quel modo.

Mi fermai davanti all'entrata della metro e restai qualche minuto a osservarne l'interno. Pareva non esserci nessuno e se da una parte questo mi arrecava sollievo, dall'altra mi angosciava maggiormente. Era una di quelle situazioni dove qualsiasi scelta fatta avrebbe potuto essere quella errata ed io sostavo lì, sotto la grande "M" bianca dallo sfondo rosso, a decidere cosa fare.

Avrei dovuto attendere il tempo di tre fermate prima di risalire dal sottosuolo e camminare per circa dieci minuti per arrivare a casa. Cosa mai vuoi che succeda? Mi dissi per incoraggiarmi a entrare ma, appena accennai un primo passo, il suono di un clacson mi fece sobbalzare sul posto, accelerando i battiti cardiaci.

Hug Me - Siamo Chi Siamo #1 (Conclusa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora