Capitolo 39 ✔

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Fu un incubo udire la sveglia suonare, fu ancora più difficile riuscire a trovare la forza di uscire da sotto la montagna di coperte che mi seppelliva. Avevo dormito poco e avevo dormito male, mi girava la testa e le borse che mi marchiavano gli occhi non aiutarono a riprendermi.

Quasi mi spaventai, guardandomi allo specchio: gli occhi socchiusi, le palpebre gonfie e sul viso ancora i segni del mascara colato. Mi sciacquai la faccia e, strusciando i piedi, mi trascinai in cucina.

Den era seduta di spalle, teneva tra le mani una tazza fumante di latte e caffè e si voltò solo un attimo, il tempo di capire chi la stava raggiungendo.

Non disse nulla ma ci avrei messo la mano sul fuoco che stesse seguendo i miei movimenti, me li sentivo addosso quei suoi occhi assonnati ma al contempo curiosi.

«Come sta Alex?» Mi chiese una volta accomodatami accanto a lei.

La guardai di sottecchi e portai la tazza alle labbra con fare disinteressato. «Non ne ho idea, chiedilo a lui...» mi limitai a dire sorseggiando il mio latte macchiato tanto bollente da ustionarmi la lingua.

«Non mi dire che avete litigato?» Pareva sorpresa e, in effetti, lo sarei stata anche io al suo posto. Quale persona insensibile avrebbe discusso con il proprio ragazzo il giorno della ricorrenza della morte della madre? Quale si sarebbe infuriata di un suo allontanamento? Quale persona non avrebbe capito?

Ed ecco a voi: Mia, la peggior fidanzata del secolo!

Dopo un lungo sospiro, accennai un sì con la testa e Den mi accarezzò la schiena, premurosa e attenta come solo lei sapeva essere. «Me lo dici cos'è successo?»

Le raccontai brevemente quel che era accaduto circa quattro o cinque ore prima, del suo messaggio inaspettato e della mia risposta inacidita, del fatto che avesse spento il telefono senza neanche provare a scrivermi nulla e di come io avevo rotto il mio.

Den scosse la testa, abbandonò l'isola della cucina e si avvicinò a un cassetto del mobile soggiorno da cui ne estrasse un Samsung vecchio modello. «Non è nulla di che ma per il momento può esserti utile.» disse facendolo scivolare sul marmo bianco. La ringraziai con un sorriso tirato e iniziai a girarmelo tra le mani. «Mia... se più farti sentire meglio, anche io mi sarei arrabbiata. Questo non significa, però, che non possiate chiarire o che tu debba sentirti un mostro. Alex ci tiene a te e tu tieni a lui, questo è chiaro a tutti tranne che a voi a volte.»

«Che cosa devo fare?» domandai in un lamento nascondendo il viso tra le braccia e premendo la fronte sul piano dell'isola.

«In questo momento vai a fare una doccia che non ti si può guardare, poi a lavoro e quando finisci il turno lo raggiungi, gli dai il tuo regalo e chiarite...» Sembrava così semplice, detto da lei, che quasi mi risollevò il morale.

Battei i palmi sulla lastra di marmo gelata e, con nuova forza, abbandonai lo sgabello sul quale ero seduta. «Hai ragione, farò così!»

Ci stringemmo in un abbraccio veloce ma carico di affetto e mi avviai nuovamente verso il bagno. «Ma non scrivergli, lascialo un po' sulle spine...» la sentii urlare mentre riponeva le stoviglie della colazione nel lavello e mi venne da sorridere perché lei lo trovava sempre il modo di punirlo, anche quando quella a esagerare ero io.

Quel giorno avrei lavorato fino alle diciassette e trenta, sarebbe stato faticoso riuscire a non scrivere ad Alex ma, all'ora della pausa pranzo, capii che per lui non era stato affatto difficile fingere che non esistessi. Io mi ero tartassata il cervello per tutta la mattina, cercando qualunque scusa per poterlo sentire e imponendomi poi di non farlo. Chissà cosa aveva fatto lui, sicuramente si era dimenticato di avere una fidanzata.

Hug Me - Siamo Chi Siamo #1 (Conclusa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora