Capitolo 33 ✔

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Ci ero caduta nuovamente. Nonostante mi fossi ripromessa di non lasciargliela vinta tanto facilmente mi ero ritrovata poco dopo immersa in un suo abbraccio.

Erano stati i suoi occhi a farmi cedere, fronde incupite dal grigiore notturno di un animo tormentato dal rimorso, così mi erano apparsi o, forse, era stato soltanto il mio desiderio di averlo vicino a spingermi a mollare la mano al mio orgoglio. Perché io l'avevo ben inteso che senza di lui al mio fianco il mondo perdeva un po' di luce, l'avevo capito che la sua presenza nella mia vita era importante malgrado gli sbagli e mi ripetevo, quando il cervello entrava in funzione, che non potevo permettergli di avere così tanto ascendete su di me ma poi il cuore prendeva il sopravvento e io non sapevo più contrastarlo quel suo sorriso mascalzone.

Alex sembrava non volermi mollare, mi aveva stretto a sé come si fa con le cose belle, quelle che si conquistano con la fatica mentre il desiderio di averle aumenta a dismisura; mi aveva tenuto stretta come si fa con le cose importanti, quelle che comprendi lo siano solo nei momenti in cui le vedi allontanarsi, quelle che non sempre riesci a riavere indietro e quando accade fai di tutto per non lasciarle più andare.

E allora tu fallo! Proteggimi come fossi la tua cosa bella!

Lo guardavo guidare la mia auto mentre pensavo quelle cose e il cielo aranciato a causa di un sole calante rendeva i suoi tratti uno spettacolo che non mi sarei mai rifiutata di guardare, nonostante li conoscessi a memoria.

Eravamo in viaggio verso casa, la moto aveva deciso di lasciarla dai miei, non che avesse altra scelta dato che mia madre non mi avrebbe mai permesso di salire sulla sua Yamaha.

Tom, prima di salutarci, ci aveva strappato di bocca la promessa di tornare la domenica successiva per riprenderla e di portare con noi anche sua figlia. Alex stava per accennare a Edoardo ma si azzittì, trattenendo un rantolo di dolore, quando gli pizzicai il tricipite mentre sorridevo e annuivo.

Den non li aveva ancora avvisati che aveva permesso a un ragazzo di farsi largo nel suo cuore, era sempre molto riservata con loro quando si trattava della sua vita sentimentale, in realtà su questo eravamo simili perciò non mi spiegavo come le fosse saltato in mente di far venire Alex a casa nostra ma, in fondo, le ero grata perché solo con un gesto così lontano da lui avrebbe potuto farmi capire che ci teneva davvero a me.

Avevamo trascorso il pomeriggio insieme ai miei, una volta tornati a casa e appurato che ogni oggetto fosse al proprio posto e non gliene avessi tirato nessuno dietro, avevano iniziato a fargli il terzo grado- per conoscerlo meglio, dicevano - e lui aveva risposto sempre senza alcuna traccia di fastidio negli occhi e con un sorriso sulle labbra, un sorriso però che non svelava nessun segno della sfrontatezza che era solito mostrare a chi non lo conosceva. Si era rivelato a loro per ciò che era davvero o almeno aveva provato a non nascondersi totalmente.

Lo avevo capito che era stato difficile, lui che ci si crogiolava in quell'armatura fatta di insolenza e sfacciataggine, lui che preferiva star sulle palle al mondo pur di non rimanere ferito si stava facendo conoscere senza maschere. Lo stava facendo per farmi capire che potevo fidarmi e io ci confidavo davvero in noi, in quella storia agli inizi ma che già aveva catturato ogni anfratto della mia anima.

«Sai...» mi richiamò all'attenzione abbassando lo stereo dopo un lungo tratto di tragitto fatto senza parlare, ma era quel silenzio forgiato dalla quiete e non dal disagio, quel silenzio che faceva bene e che non dava tormento. «Hai davvero una bella famiglia...» disse infine con le labbra appena incurvate in un'espressione che conteneva in sé tanta soddisfazione quanta malinconia e io un po' mi ci persi tra quelle folte ciglia nere con la voglia di scoprirli i suoi pensieri più nascosti.

«Lo so...» sussurrai appena ripensando ai miei genitori, perché anche se non avevo il sangue di Tom a scorrermi nelle vene era quell'uomo che consideravo mio padre. Perché era stato lui a insegnarmi ad andare in bicicletta senza rotelle, quando Den già mi sfrecciava a fianco con la sua mountain-bike; era stato lui a interrogarmi a sorpresa sulle tabelline e ad ammonirmi con lo sguardo quando mi trovava impreparata ed era sempre stato lui ad ascoltare i desideri della me bambina e a renderli reali laddove poteva - gli unicorni erano decisamente fuori dalla sua portata. Non era una questione di geni ma di amore e Tom mi aveva sempre guardata e sostenuta come solo un padre poteva fare.

Hug Me - Siamo Chi Siamo #1 (Conclusa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora