Capitolo 28 ✔

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Arrivammo a Fregene dopo essere passati per casa mia, aver raccattato al volo un cambio d'abiti, le chiavi della macchina e aver riportato l'auto a Serena e Gio'.

C'eravamo detti poco o nulla durante il viaggio, ma la mano di Alex aveva abbandonato la mia gamba solo quando occorreva cambiare marcia.

Non avevo ben chiaro cosa gli fosse preso, sembrava gelosia quella che l'aveva mosso al locare eppure sentivo che mi mancava qualcosa, un tassello fondamentale alla comprensione dei suoi atteggiamenti, dei suoi pensieri. Non glielo chiesi però, non volevo essere invadente e sapevo per certo che l'avrebbe sviata quella domanda, perché a lui piaceva rivestirsi di scudi così accecanti da fartelo voltare lo sguardo, da impedirti di guardare oltre. Io ormai lo avevo capito e mi muovevo di conseguenza.

Scendemmo dall'auto nel momento stesso in cui udii il cancello chiudersi dietro di noi, il vento soffiava prepotente smuovendomi i capelli davanti al viso e trascinando con sé salsedine e granelli di sabbia. Seguii Alex fino alla porta d'ingresso dove rimasi immobile per qualche istante una volta che venne spalancata.

In quella casa predominava il bianco, dal divano in pelle alle pareti, ai mobili satinati, veniva spezzato solo con una spruzzata d'azzurro qui e là grazie ad oggetti a tema marino o nautico come il timone appeso al muro con all'interno uno specchio o una scaletta creata da tre fari di altezze diverse. Era la classica casa adibita per le vacanze estive: essenziale, semplice ma che sapeva lasciarti senza parole.

Alex, il quale aveva fatto il giro delle stanze al pian terreno per controllare che fosse tutto a posto, rientrando nel salotto, che si trovava proprio dinanzi all'ingresso, e trovandomi esattamente dove mi aveva lasciata, sorrise. «Ti piace?» Non ci voleva molto a capire che ne ero rimasta incantata, me lo dicevano tutti che avevo gli occhi che parlavano soprattutto in occasioni come quelle dove lo stupore si mescolava alla curiosità con una facilità disarmante.

«Da morire!» affermai con un filo di voce, piegando le labbra in un sorriso appagato.

Si guardò intorno anche lui, come se la vedesse per la prima volta, e poi incanalò tutta l'aria che gli era possibile. Fu facile scorgere quel velo di malinconia inumidirgli la pupilla e far risaltare quel verde dell'iride in cui era facile che mi perdessi. «L'ha arredata mia madre. Johnny – la casa è sua – l'ha rimessa solo un po' a nuovo.» Scosse la testa un attimo dopo e mi raggiunse senza darmi modo di capire se avanzare o meno quelle domande che mi si erano accartocciate sulla punta della lingua. Aveva deciso lui per me, ma mi ci stavo quasi abituando a quel suo modo di fare.

Con una mano afferrò la borsa che aveva lasciato cadere all'ingresso mentre con l'altra arpionò il mio braccio e feci appena in tempo a chiudere la porta dietro di me prima di vedermi trascinare lungo le scale che conducevano al secondo e ultimo piano della casa.

Sorpassammo quattro porte chiuse prima di fermaci davanti all'ultima e ritrovarci, un attimo dopo, all'interno di una stanza non molto grande ma decisamente confortevole. Un'enorme finestra rettangolare, all'interno della quale potevi anche sederci, si affacciava sulla strada e se chiudevi gli occhi e ti concentravi abbastanza da non considerare la confusione fatta dalle auto che passavano lì sotto riuscivi anche a sentire il rumore delle onde in lontananza. Un letto a baldacchino, con delle tende velate legate sui quattro lati occupava gran parte dello spazio e due ante di legno, con lamelle fisse, nascondevano un armadio a muro.

«Questa è la camera di Johnny?» domandai incuriosita, era troppo bella per essere una stanza a uso degli ospiti.

«Vuoi scherzare?!» Alex rise e lasciò cadere la borsa con il mio cambio e il pigiama con gli unicorni su una poltroncina in vimini accanto al letto. «La camera di mio zio è off-limits, la chiude a chiave perché non si fida neanche di me...»

Hug Me - Siamo Chi Siamo #1 (Conclusa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora