Capitolo 21 ✔

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Alex

Rimasi paralizzato nel momento in cui la sentii urlare in preda al panico. Stava piangendo... stava piangendo per colpa mia e batteva le mani sulle ante dell'armadio affinché io le aprissi.

Non me la sarei mai aspettata una reazione del genere, sapevo non amasse il buio ma non immaginavo le creasse tale effetto. Era terrorizzata, come se fosse certa che qualcuno potesse farle del male, come se io potessi farle del male.

Mi sentii catapultato in un film dell'orrore, uno di quelli dove l'amico del protagonista sta per morire e lui non può far nulla per salvarlo; peggio, ne è stato la causa.

Credevo sarebbe stato divertente chiuderla lì dentro; già me la immaginavo l'espressione contrariata sul suo viso e le minacce senza fondamenta che avrebbero solo reso il tutto ancor più esilarante. La immaginavo ricordarmi quanto poco mi sopportasse, sottolineare una mancanza di serietà che era parte di me da tempo immemore ormai e cedere a qualche mio docile ricatto solo con l'intento di liberarsi, ché poi l'avrebbe rispettato quell'accordo perché lei non sapeva fare altrimenti.

Invece, nulla di quello che avevo ipotizzato si era rivelato, anzi, sentivo lo sgomento nella sua voce tremante, in quei colpi assestati con frenesia, nelle preghiere scandite in una lingua non nostra ma che, per fortuna, riuscivo a intendere.

Mi ridestai dallo stato di trance in cui ero caduto nel momento in cui ogni rumore cessò e un silenzio assordante mi scosse più del dovuto. Era come la quiete dopo un uragano: devastata e devastante.

La chiave mi cadde un paio di volte prima di riuscire a infilarla nella toppa, le dita tremolavano e sentivo il cuore in tumulto, non ero mai incappato in una situazione del genere e dovevo ammettere che l'ansia mi si era appiccicata addosso come polvere sulla pelle sudata, prudeva e infastidiva tanto da rallentare i miei movimenti, i miei pensieri.

Aprii gli sportelli dell'armadio con foga, tanto che tornarono indietro colpendomi sulle spalle, e me la ritrovai seduta a terra, con le ginocchia al petto e il viso nascosto tra di esse; tremava così tanto che pareva essere sopravvissuta a una tormenta e le guance erano zuppe e segnate dal mascara colato.

«Mia!?» Mi piegai sulle ginocchia e sussurrai appena il suo nome ma pareva non sentirmi.

Scandiva lunghi respiri alternati a singhiozzi esagitati e, colpendo delicatamente la fronte alle ginocchia, ripeteva senza fermarsi una nenia che all'inizio avevo faticato perfino a comprendere. «Sorry, I didn't mean it. I'm sorry...»

«Mia... ho aperto, lo vedi? Puoi uscire adesso...» Non era da me la delicatezza usata in quella circostanza, non era da me l'apprensione avvertita in quell'istante; ma la vedevo così fragile e piccola, preda di quelle paure sconosciute, che mi aveva costretto a mettere via la mia parte peggiore per aiutarla ad uscire da quel limbo senza tempo che erano i suoi pensieri.

Le accarezzavo i capelli mentre sussurravo parole di conforto e un groppo alla gola inacidiva la saliva che continuavo a ingollare senza sosta.

Sentivo addosso il peso di una colpa che non comprendevo, sapevo di averle fatto del male ma non capivo dove avevo errato, mai avrei pensato che una ragazza di diciannove anni potesse ancora avere il terrore del buio a tal punto da farsi prendere dal panico. Sbagliavo!

Man mano placò quella cantilena, volse lo sguardo nella mia direzione e fu come un pugno alla bocca dello stomaco scorgere il vuoto al suo interno. Non vi era nulla della ragazza che avevo imparato a conoscere in quelle settimane, privata della sua anima da un gesto infantile attuato dal sottoscritto, spoglia di quella docile ribellione che la rendeva buffa e sorprendente al contempo.

Hug Me - Siamo Chi Siamo #1 (Conclusa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora