Me lo ricordo ancora. Camminavo, nella sterpaglia, mentre il caldo soffocante arroventava i miei vestiti, impedendomi quasi il respiro. E arrancavo, fino ad arrivare. Un villaggio? Casupole di paglia, separate da una strada di selciato. Continuavo a sentirmi come un enorme peso sulle spalle. Avanzai fino a incontrare il primo di loro. Cominciai per primo a biascicare qualcosa, in una lingua a lui del tutto sconosciuta, essere lontano dalla civiltà e quindi privo di intelligenza. Il sole batteva intanto ancora forte, spossante, quasi distruttivo. Chiesi all'uomo dove mai fossi capitato, e capii di aver incontrato una tribù di... indigeni.
Ero riuscito nel mio intento.
Osservai il loro comportamento per diverso tempo, dopo essermi integrato nella comunità. Li osservavo, come un uomo adulto osserva il proprio cane appena nato. Dal sorgere del sole al tramonto.
Eppure, la notte, ero turbato. Suoni, su suoni, su rumori e scricchiolii, lamenti, mugugnii, fruscii intorno a me, ovunque, circondandomi. Non riuscivo a dormire, sopraffatto. Mi rivolsi ad alcuni cittadini, che però mi ignoravano. 'Non puoi. Non puoi sapere' dicevano.
E le notti andarono avanti, fino a quando il ventidue di Agosto non sentii qualcosa che mi colpì nell'animo. Lamenti strozzati, interrotti da pianti, provenienti sicuramente da un essere umano. Il giorno dopo mi rivolsi a quello che credevo fosse il capo villaggio. Un uomo scheletrico, a petto nudo, coperto di tatuaggi. Sentivo quasi l'impulso di sputargli addosso, essere insignificante allontanato dalla retta via del cittadino. Gli parlai, e dopo un'ora di insistenza da parte mia mi rivelò la verità: Era una prova. Uno di quegli stupidi riti di iniziazione che usano i barbari per dimostrare la presunta 'maturità' dei propri ragazzini. Idiozie. L'uomo mi disse che, evidentemente, quei giovani che sentivo lamentarsi non avevano superato la prova.
Il giorno dopo cercai di parlare con i due giovani appena ritornati, prima che fossero cacciati dal villaggio come pena per la loro codardia. Non mi parlarono, anzi, mi inveirono contro. Blaterarono di uno spirito, lo stesso che eseguiva la condanna o la grazia dell'inviato. Le loro facce erano sconvolte, sudate, gli occhi fuori dalle orbite. Il corpo coperto di tagli inferti da loro stessi. La cosa mi lasciò talmente stupito che presi una drastica decisione. Avrei scoperto la natura di quella prova, spirito o meno.
Aspettai un mese circa, prima che il prossimo giovane venisse inviato nella foresta. Io ero lì a seguirlo. Eppure, dopo una giornata passata a seguire le sue tracce, lo persi nella foresta. La notte, come al solito, sentii i suoi lamenti accompagnati da urla strazianti, che seguii fino a trovarmi nel mezzo di una radura deserta.
Lì, accadde. Egli era davanti a me. Lo vidi, girandomi di scatto. L'orrore, se così si poteva definire, mi pervase.
La faccia, sconvolta dalla rabbia e dal dolore. Gli occhi incavati, quasi come stessero per sprofondare. Le braccia contorte, ferite in più punti. Lacrime che cadevano, gocciolando dalla sua faccia, verso i piedi scalzi, bruciati. Un foro nel costato. Lo guardavo, gli occhi fissi su di lui, la bocca tremante dal terrore. Anche lui guardava me. Scomparve. Fu un attimo. La bocca mi si era completamente seccata. Tornai correndo a perdifiato, ancora tremante, sconvolto dalla paura per quell'apparizione. Cosa voleva dire?
Parlai con il capo, che confermò la mia teoria. Avevo visto lo spirito. Gli chiesi cosa mai avesse potuto significare quella terrificante presenza. Ricordo vagamente ciò che mi disse, parole criptiche. Non ne capii mai il significato.
Troveresti mai modo migliore di dimostrare la maturità di una persona, se non mostrandogli se stesso in un futuro prossimo?