Capitolo 26 - James

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Non sono fatto per te, 

non sono fatto per loro, 

non sono fatto per viverti ne per stare da solo.

Aspettando Beck appoggiato alla porta della mia stanza e con una stampella sotto l'avambraccio, mi permetto di prendermi un po 'di tempo per pensare a colei che ha riempito le mie giornate. È stata la prima ragazza entrata a far parte della mia vita e la recita all'oratorio di Saint Paul ne è la prova. Mi piaceva ballare con lei e ancora oggi mi rimane un mistero: ogni volta che dovevamo ballare, che fosse per le recite, per i balletti di fine anno, per la festa della città, per carnevale, ci assegnavano sempre l'uno all'altro. Mi chiedo ancora se catechisti, maestri, professori si fossero accorti che avremo potuto avere un futuro o se semplicemente il destino era sempre dalla nostra parte.

Per non parlare poi dei pomeriggi passati a studiare ma pieni di amicizia.

Amicizia.

Quella parola che a me, all'epoca, mi pareva così tanto scontata ma che con il passare del tempo mi è sembrata tanto difficile da attuare e mettere in pratica. Nei miei ventidue anni ho incontrato abbastanza persona da poter affermare che l'amicizia non è trascorrere serate intere al pub, non è ridere di fronte ad una birra, non è raccontare e commentare la notte appena passata con una ragazza qualsiasi. L'amicizia è esserci quando l'altro ha bisogno, è ridere insieme per una caduta a terra ma poi allungare il braccio per aiutarsi, è esternare i propri difetti e lasciare che l'altro li accetti, è collaborare per costruire qualcosa di immenso, è condividere la vita.

Quando avevo tredici anni, un giorno camminavo lungo le vie del mio quartiere e incrociai Barley, un anziano della casa accanto che aveva la stessa età di mia nonna Jiuly. Chiacchierando di amici mi disse una frase che ancora riecheggia nella mia mente ma che lì per lì mi sembrò talmente tanto assurda da alzare le spalle e ridere. 'Ho visto persone volersi così bene che ora non si parlano più.'

Ridicolo, pensai, io ho Bridget: perché se ne dovrebbe andare? Ma crescendo non ho mai sentito niente di più vero.

Amicizia.

La parola che Bridget odiava quando parlava di me.

"James che ti è successo?" la voce di Beck mi riscuote dai pensieri.

Vederla mi fa provare un senso di nausea. I ricordi legati a lei non sono propri i migliori: sesso, fumo, droga e tanto ma tanto alcol. Non che adesso sia migliorato ma credo di essere pronto a farlo soprattutto se c'è una persona che crede in me e nelle mie capacità.

"Sono caduto alla pista di pattinaggio" spiego tagliando corto.

"Mi sei mancato tanto" si butta tra le mie braccia troppo velocemente, rendendo ancora più precario il mio equilibrio.

"Credo che tu abbia frainteso" la mia voce è dura e ferma. Niente di meglio per farla schizzare di testa e fargli girare i tacchi prima del previsto. Non ho molto tempo e tra meno di mezz'ora devo farmi trovare all'uscita dell'università da Bridget.

Lei mi guarda interrogativa: "Che vorresti dire?" la sua voce da alcolizzata è tornata a farsi sentire e solo adesso mi rendo conto quanto Bridget, nella sua semplicità e sportività, è più graziosa e fine.

"Dimenticati di me."

"Cosa? Tu, tu.. io credevo che noi.."

"Beck, scordati di me. Scordati come mi chiamo e come sono fatto. Scordati il passato. Scordati questo posto e il modo in cui ci si arriva."

I forget to forget youDove le storie prendono vita. Scoprilo ora