Capitolo 36 - James

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Sono imperdonabile, lo so.

Il motivo per il quale mi ritrovo in questo sgabuzzino pieno di ragnatele, puzzolente e claustrofobico, con una cornetta degli anni '50 in mano non mi è chiaro.
"Bridget, si sono io!"
"Jay" dice con fiato corto.
Un sospiro mi esce spontaneo dalle labbra che iniziano a tremare un po' per la gioia, un po' per il dolore: mi manca da morire, in un modo che non si può descrivere a parole, in una maniera tale che adesso non riesco a capire come ho fatto a passare quegli anni senza di lei. Eppure so che sto per fare l'ennesima stronzata.

Mancano diciassette giorni a Natale e sono ben due mesi che sono chiuso qui dentro. L'aria natalizia è presente ovunque: nel nostro salone con un albero piccolo ma pieno di colori, nel campetto da calcio con tutte le lucine che mi sono adoperato di mettere per regalare allegria ai miei bambini, il babbo natale che penzola dalla finestra della casa di fronte alla mia camera.

È stato divertente, ieri sera, spiare i bambini della famiglia mentre costruivano il loro abete. Si sono tirati le palline per scherzo, poi per ripicca, hanno litigato per chi ne appendesse una, chi l'altra. Sono saltati entrambi in braccio al loro papà per poter posizionare la stella cometa proprio incima alla punta. Insieme alla mamma hanno assemblato il presepe e discusso per la sistemazione delle varie statuine nel piccolo paesello fatto di case di carta pesta e muschio. Infine si sono stretti in un piccolo semicerchio e felici hanno ammirato il loro capolavoro. Poco importava se le palline non fossero in tinta oppure accoppiate bene, se le statuine stessero storte oppure avessero la colla che straboccava da sotto le zampe delle pecorelle.
Erano semplicemente insieme. Quello che conta è condividere.

E io, ieri sera, sono rimasto un'ora, forse due - tutto il tempo che loro hanno impiegato a costruire un'atmosfera natalizia adatta alla loro famiglia - ad osservarli. L'invidia è venuta a far visita al mio cuore pieno di tristezza ma poi sono arrivato alla conclusione che quei bambini non hanno fatto nulla che potesse compromettere la loro felice infanzia. E tornando indietro nel tempo mi sono accorto che anche io vivevo il momento del Natale proprio come loro. Litigavo con mia sorella per decidere dove posizonare palline nell'albero, pecorelle nel presepe, lucine sparse per casa. Poi quando guardavamo l'opera realizzata, ci stringevamo automaticamente in un abbraccio spontaneo.

Il Natale unisce le persone. Io in questo momento sto per allontanare l'unica che dovrei attirare a me.

"Come stai?" la sua voce è flebile, esce lenta in un sussulto ridestandomi dai pensieri.

"Bene, tu?"

Mi ritrovo a pensare che è la prima volta che è vero: è vero che sto bene, è vero! Ho ritrovato la pace in me stesso, la gioia di vivere e la voglia di affrontare la vita.

"Mi manchi" un singhiozzo strozzato mi giunge acuto all'orecchio sinistro, dove questo vecchio trabiccolo mi starà trasmettendo un sacco di malattie croniche.

"Anche tu, piccola" sospiro ancora, valutando l'idea di rinunciare e tornare a casa da lei.

"Tornerai?"

Prendo fiato e trattengo il respiro: "mi concedi un ultimo periodo?"

Dall'altro lato il silezio regna sovrano e per un attimo ho paura che mi abbia staccato il telefono in faccia.

Poi eccolo, come un fiume in piena, il suo pianto disperato.

"Bridget, ascoltami. Torno adesso, non importa. Volevo disputare con i ragazzi la partita della Vigilia, che segna la fine del torneo, mi sono affezionato a loro. Ma non importa, non piangere per me, ti prego. Adesso stacco e parto."

Altro silenzio.

"Ehi, ci sei? Ti ho detto che arrivo, vengo da te e non ti lascio mai più."

"No, non farlo. Rimani, gioca la partita e ci vedremo per Natale, d'accordo? Adesso devo andare, ci vediamo Jay. Ti amo."

I forget to forget youDove le storie prendono vita. Scoprilo ora