21 - Sensazioni.

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«Tutti i rumori che ci circondano fanno

molto meno strepito di noi stessi. Il vero

rumore è l'eco che le cose hanno in noi»

-James Joyce.

Le calze nere di Brandon percorsero lentamente il corridoio; ogni qualvolta che aveva accanto la porta di una della stanze dei ragazzi, bussava e, dopo non aver ricevuto alcuna risposta, abbassava la maniglia e spingeva la porta in legno, mostrando stanze ordinate, con i libri esattamente al lato destro della scrivania, i cuscini bianchi ben rotondi al centro dei materassi e il lenzuolo perfettamente piegato.

—Elijah!— urlò, cercando di capire la posizione dell'amico nella casa, poi provò nuovamente quando non ricevette alcuna risposta.

Entrò nella sala da pranzo, il tavolo perfettamente apparecchiato al centro della stanza: sulla tovaglia color latte erano presenti diversi vassoi con dei cornetti, altri dolci e degli alimenti tipici della colazione inglese.

Andò in cucina, necessitando un bicchiere di latte perché sentiva la bocca stranamente secca e cercando qualcuno al quale potersi rivolgere.

Brandon era sveglio da dieci minuti circa, tempo che aveva impiegato girando per quel piano della casa, cercando qualcuno. Quando aveva aperto gli occhi a causa del suono squillante della sveglia dell'istituto non aveva sentito alcun rumore solito di quel periodo della giornata: qualcuno che buttava a terra qualcosa nel tentativo di trovare la sveglia, qualcuno che cantava qualche canzone, il rumore di passi affrettati e lo scorrere dell'acqua. Niente. Il silenzio più assoluto che poteva o tranquillizzare o far accapponare la pelle.

In un primo momento aveva amato quel silenzio, lo faceva sentire tranquillo; poi, dopo circa cinque minuti dove il silenzio e il suo respiro erano le uniche presenze in quel piano, la cosa lo aveva sorpreso, aveva sentito lentamente il sangue raffreddarsi nelle vene mentre i muscoli delle gambe iniziarono a tremare docilmente e un sottile strato di sudore ricopriva le mani.

Ogni stanza vuota, ogni domanda senza risposta equivaleva a una scheggia di vetro nelle vene.

Quando entrò nella cucina, venne accolto da una, inizialmente, piacevole sensazione di calore concentrata sulla parte inferiore del suo corpo, mentre la parte superiore del suo corpo tremava.

Vicino al tavolo, colmo di vassoi contenenti derrate salate, che solo Malcom adorava fra tutte, e un altro con delle tazze che formavano una piccola piramide, c'era un carrello perfettamente lucidato che veniva utilizzato per trasportare più vassoi più velocemente.

Si guardò attorno e vide il forno acceso e con lo sportello aperto, un'apertura tale da formare un angolo di novanta gradi. Chiuse lentamente il forno e, dopo che la gomma, attorno all'apertura ,accolse lo sportello, sentì un rumore costante come il battito del cuore; la fonte del rumore proveniva da una seconda cucina che si trovava in quella che verrebbe facilmente indicata come una veranda, divisa dalla seconda cucina da una tenda sottile e candida.

Brandon afferrò con forza la tenda sottile, chiuse gli occhi prendendo un respiro, poi giunse nella veranda con un piccolo balzo tirando fuori i gomiti, pronto a colpire, risparmiando quei pochi secondi che avrebbero potuto salvare una vita o dannarla.

Rilassò visibilmente le spalle quando si accorse che il rumore era quello di sottili gocce d'acqua, provenienti dal rubinetto, che si infrangevano contro il metallo freddo del lavandino. Si avvicinò lentamente a questo, fermando lo scorrere lento e continuo, poi poggiò le mani al metallo freddo, chiudendo gli occhi per fare il punto della situazione. Aveva quel presentimento costante, come lo scorrere del sangue nelle vene, che lo portava a considerare ogni minimo particolare, anche quello più insignificante come la posizione del carrello lucido.

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