Guai in vista

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<Sorellina, che succede? Mi devo preoccupare seriamente o è solo un capriccio da adolescente.>
<Hey! I miei non sono mai capricci da adolescente, o forse sì, ma questa è una questione di vita o di morte.>
<Raccontami. Qual è il dilemma che ti affligge?>
<Beh, ehm, ecco... Penso di essermi innamorata di un ragazzo, ma lui sta con la mia migliore amica. Poi dopo un giorno che stavano insieme li ho visti fare cose sconce e non so come comportarmi.>
<Sorellina, questa è gelosia. Come si vede che sei cresciuta. Finalmente anche tu ti sei innamorata, ma hai ricevuto un due di picche.> disse ridacchiando.
<Ahah. Simpatico. Mi dici cosa devo fare o no?>
<Devi fare quello che ti senti di fare. Se non vuoi più parlare con lei, non farlo. Se vuoi uccidere quel ragazzo, fallo. Segui il tuo istinto.>
<Come sei poetico fratellino. Grazie per il consiglio. Ti voglio bene. Ti chiamo più tardi.>
<Ciao piccola Jess.>
Tornai in camera e mi preparai per il giorno successivo. Appena entrai in camera, però, mi accolse una Sonia infuriata. Venne verso di me con uno sguardo infuriato cominciando ad urlare:
<La tua amica è una grande puttanella e ipotizzo che tu non sia da meno. Ti avevo avvertita e avevo avvertito anche lei, ma lei ora non c'è e l'unica persona con cui posso sfogarmi sei tu.>
Avevo paura. Il tono della sua voce metteva paura. Il modo in cui si stava avvicinando metteva paura.
Cominciai ad indietreggiare. Arrivai alla porta, ma era chiusa a chiave.
<Pensi di poter scappare? Tu non ti muoverai da qui fin quando non sarò io a deciderlo.>
Poi, il primo schiaffo a cui seguì una sfilza di molti altri, ma non solo. Ricevevo pugni e calci in ogni dove, in ogni parte del mio corpo. Dopo minuti di quella tortura non lo sentivo più. Il mio corpo era come inesistente. Non sentivo neanche più i colpi che ricevevo. Non sentivo più nulla. Percepii solo Sonia uscire dalla stanza, poi, il nulla. Il buio più totale.
Mi risvegliai dopo un tempo che mi parve infinito. La stanza intorno a me mi era sconosciuta. Sentivo il corpo indolenzito e facevo fatica a tenere gli occhi aperti per la luce troppo forte. Quando riuscii ad ambientarmi, mi guardai intorno. Probabilmente mi trovavo in ospedale. Avevo una flebo nel braccio e dei monitor che segnavano i miei battiti cardiaci. Non c'era nessuno con me. Ipotizzai non fosse l'orario delle visite, quello. Dopo una mezz'oretta entrò un'infermiera.
<Vedo che sei sveglia.> mi disse lei sorridendo.
<Perché mi trovo qui?>
<Una tua compagna ti ha picchiata a sangue, incrinandoti una costola, rompendoti una mano e causandoti un trauma cranico.>
<Ah...>
Ero sbalordita. Non sapevo cosa dire. Come era riuscita a provocarmi tutti quei danni?
<Da quanto sono qui?>
<Una settimana e due giorni, cara.>
<Sono tantissimi.> dissi io più a me stessa.
<Già. Fra qualche giorno tornerai a scuola, tranquilla.>
<Grazie mille.>
<Fra qualche minuto inizierà l'orario delle visite e il tuo ragazzo è qui in ospedale da tutta la settimana.>
<Come scusi? Il mio ragazzo?>
<Sì esatto. Un ragazzo dolcissimo e simpaticissimo. Un ragazzo d'oro.> disse. Poi uscì dalla stanza e, subito dopo, entrò Michael. Aveva il volto scavato, due occhiaie molto accentuate e un po' di barba cominciava a fare capolino sul suo viso. Il suo sguardo era spento fin quando non mi vide e i suoi occhi cominciarono a riempirsi di lacrime. Corse nella mia direzione e mi abbracciò facendo attenzione a non farmi male.
<Oh mio Dio Jess. Ero così in pensiero. L'ansia mi stava corrodendo. Non avrei sopportato una vita senza di te.>
<Tranquillo Mike, va tutto bene.>
<No che non va bene. Niente va bene. Se fossi stato più attento...> non finì la frase perché io lo interruppi prima che continuasse.
<Smettila di addossarti colpe che non sono tue. Tu non c'entri niente. Piuttosto, da quant'è che non mangi e non dormi?>
<Mangio e dormo tutti i giorni.>
<Smettila di mentire. Non ne sei capace.>
<Va bene. Mi arrendo. Non mangio e non dormo da quando sei in ospedale.> disse lui abbassando lo sguardo.
<Mi prendi in giro?! Ora tu torni a scuola e vedi di dormire per almeno un giorno e appena ti sarai svegliato voglio che tu ti faccia la barba e che mangi qualcosa. Sono stata chiara?>
<Sei sicura di voler stare qui da sola?>
<Stai tranquillo Mike. Vai pure.>
<Ok, ma stai attenta.>
Appena Mike uscì entrò mio fratello Jonathan.
<Jess, ma come ti ha ridotta? Se la becco in giro l'ammazzo quella lurida...>
<Jo, sono felice anch'io di rivederti.> dissi ridacchiando.
<Sorellina, da adesso in poi starò a casa e tu non sarai più obbligata a dormire a scuola.>
<Jo, non ci provare neanche. Ne abbiamo già parlato prima della tua partenza. Mi farò cambiare di stanza e poi avrò sempre vicino Michael a proteggermi nei corridoi. Tranquillo.>
<Sei sicura?>
<Sì fratellone.>
<Mi fido di te, allora. Ora devo andare. Domani ho un importante esame e non posso fermarmi oltre sorellina.>
Mi diede un bacio sulla fronte e uscì dalla stanza. Dopo lui, non entrò nessuno per un po', quando vidi Elisabeth avvicinarsi alla mia stanza. Non volevo vederla. Non volevo parlarle. Ero stata picchiata a sangue per colpa sua. Entrò nella stanza, ma subito la bloccai:
<Non avvicinarti. Non voglio più vederti, ne tantomeno parlarti.>
Non disse nulla, inizialmente, poi, si decise a parlare:
<Mi dispiace.> Mi disse lei. Poi uscì dalla stanza.
Tre giorni dopo mi dimisero dall'ospedale e tornai a scuola. I miei genitori mi chiamarono non appena arrivai a scuola. Stranamente erano preoccupati per me. Patricia mi abbracciò appena mi vide e mi disse che mi avevano cambiato di stanza e che Sonia era stata espulsa. Michael mi venne a prendere all'ingresso portando le mie valige nella nuova stanza. Camminavo lentissima, dal momento che avevo ancora il corpo indolenzito. Mentre camminavo, qualcuno attirò la mia attenzione:
<Pss... Hey!>
Mi voltai e lo vidi.

Cruel || Dylan O'Brien Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora