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-Si può sapere per quale assurdo motivo stavi parlando con Brock?- chiese Jace dopo essersi allacciato la cintura di sicurezza.
-E potrei sapere perché gli hai detto che stiamo insieme quando non è vero?- gli rispose Annika.
Jace rimase in silenzio.
Accese il motore, ma poi restò a guardare fuori dal finestrino senza iniziare a guidare.
Annika sbuffò.
Jace era il suo migliore amico, ma da qualche settimana non facevano altro che litigare in continuazione.
Ne aveva discusso con Armony, ma lei le aveva solamente sorriso prima di dirle che sembravano veramente una coppia.
Annika si voltò a guardare Jace.
La crescita gli aveva indurito i lineamenti, ma restava sempre un bel ragazzo.
Ma non sarebbe stato niente di più se non un buon amico, Annika ne era più che certa.
-Allora?- gli disse- Non dobbiamo andare da qualche parte?
Jace si voltò verso di lei:- No, mi è passata la voglia. Andiamo a casa.
Poi iniziò ad uscire dal parcheggio.
Annika trattenne il fiato:- Non stavamo facendo nulla di male.
-Non ho detto questo. Ma non mi va che voi due parliate. È uno stupido, e non ti merita.
Annika non rispose.
Non aveva voglia di discutere su cosa si meritasse effettivamente.
Anche volendo avere un ragazzo, non le sarebbe rimasto molto tempo da dedicargli.
Gli allenamenti di nuoto stavano diventando sempre più pressanti, ed ogni fine settimana aveva una gara.
Il resto del tempo lo passava a studiare per potersi mantenere la media dei voti alta. I suoi genitori volevamo che lei fosse perfetta, e ci stava provando con tutte le sue forze.
Tra tutti gli impegni, Jace era riuscito a ricavarsi un posto.
Passavano i pomeriggi insieme a studiare.
Lui la aiutava in fisica, materia per lei incomprensibile, ed Annika ricambiava il favore con letteratura.
Quando arrivarono davanti a casa, Annika scese dall'auto senza salutare, e nonostante sentisse Jace chiamarla, non si voltò indietro.
Sentì il motore riaccendersi, e dopo poco Jace se ne andò.
Entrò in casa e si richiuse la porta alle spalle.
I suoi genitori non c'erano.
Probabilmente il padre era al lavoro e la madre a fare delle commissioni.
Si chiuse in camera e provò a studiare, ma le parole non volevano entrarle in testa.
Dopo un'ora e mezza, si alzò dai libri.
Doveva parlare con Jace.
Guardò dalla finestra, ma ancora non era tornato.
Decise comunque di fare un tentativo, forse avrebbe trovato il patrigno.
Quando bussò alla porta, però non gli aprì il signor Staford, bensì la madre di Jace.
Annika rimase un po' interdetta quando la vide.
Non la conosceva molto bene, e la donna parve sorpresa di vederla lì.
-Jace non c'è.- le disse appena la vide.
Annika sorrise:- Può dirgli che sono passata?
-Certo. Vuoi aspettarlo qui? Ti offro qualcosa?
-Molto gentile, signora Staford, ma preferirei tornare a casa.
-Mi farebbe davvero piacere se ti fermassi. Non abbiamo mai avuto occasione di conoscerci meglio.- le rispose lei, sorridendo.
Annika cercò di contare le volte in cui aveva avuto una conversazione con la madre di Jace.
Probabilmente le sarebbero bastate le dita di una mano.
La signora Staford si scostò dalla porta, invitandola ad entrare.
Annika si torturò le mani per qualche secondo, poi entrò.
La casa di Jace non era mai stata troppo ordinata, probabilmente perché ci vivevano due uomini.
Sua madre tornava a casa un week-end al mese, e questo non le permetteva di viversi a pieno suo figlio.
Jace, quando era più piccolo, si era lamentato molte volte di questa loro lontananza, di come guardasse la madre quasi come un'estranea.
Spesso nei suoi occhi aveva letto lo stupore nell'averlo visto improvvisamente cresciuto.
Il soggiorno era grande, anche se un po' buio.
Vi trovava posto un divano, diversi scaffali pieni di CD ed un televisore a schermo piatto.
-Ti va un tè?- le domandò la signora Staford.
Annika scosse la testa, imbarazzata.
Odiava il tè.
-Un caffè? O preferisci un succo di frutta?
-Andrà bene anche un bicchier d'acqua.- le disse.
La signora Staford annuì, e dopo qualche minuto ricomparve in salotto con un piccolo vassoio.
Si sedette sul divano, dove poco
prima si era accomodata Annika.
Un silenzio imbarazzato si fece strada fra loro, fino a quando la signora Staford non la guardò e le chiese come andassero le gare di nuoto.
-Molto bene.
La mia allenatrice vorrebbe iscrivermi alle nazionali, ma io sono un po' titubante.
-Come mai?- le domandò ancora la donna, sorseggiando il suo tè ai lamponi.
-Non mi sento ancora... pronta.
-Ti consiglio di buttarti. Al massimo ti escluderanno, e allora potrai dire di non essere veramente pronta.
Spesso non siamo obiettivi con noi stessi, ci crediamo sempre un passo indietro agli altri.
Come Jace, ad esempio.
Annika la guardò, interrogativa.
-Non ti ha detto nulla?- le domandò.- Stanno arrivando diverse lettere dai college.
Molti osservatori sono venuti a vederlo giocare a basket, e vogliono offrirgli una borsa di studio.
Annika sorrise:- È fantastico!
-Già, ma Jace non la pensa così. Il fatto che non te ne abbia parlato lo dimostra.- la signora Staford prese un respiro profondo:- Vuole arruolarsi nei Marines.

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