|Capitolo 26|

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Approfittai del ritorno di Carola in sala d'aspetto vicino a Davide, per recarmi da Alex.
Lui era andato di sotto a prendere un caffè, ma io volevo assolutamente scoprire che cosa sapeva in più di noi.
Lo seguì fino al piano di sotto, dove c'erano le macchinette.
Alex prima si guardò intorno, poi afferrò il cellulare dalla tasca dei suoi jeans, compose un numero e se lo appoggiò sull'orecchio.
Alex: Cazzo avevi detto che nessuno si faceva male! -disse incazzato contro il telefono.
Rimase per un attimo in silenzio, in attesa della risposta dall'altra parte del cellulare.
Alex: No non mi interessa se era per i soldi, mi avevi detto che doveva solamente cadere e basta, invece tra poco ci rimette la pelle il mio migliore amico. Sai che ti dico? Quando finirà tutto questo, ti denuncerò così ti sbatteranno in galera. Vaffanculo. -concluse chiudendo la chiamata.
Rimasi impietrita.
Come faceva a sapere Alex che ci sarebbe stato l'incendente?
Non resistetti e sopraggiunsi dietro di lui.
Io: Con chi stavi parlando Alex? -gli chiesi arrabbiata e terrorizzata.
Lui si voltò di scatto.
Sembrava preoccupato, come se non si aspettasse che qualcuno lo stesse origliando.
Alex: Con Bill, Silvia -mi rispose serio.
Rimasi per un pò in silenzio.
Io: Che sta succedendo Alex? Prima mi lasci senza un vero motivo valido, poi succede questo a Davide e tu sembri saperne qualcosa. Ma chi sei tu? Perchè io ancora non l'ho capito.
Ero stanca delle sue mille bugie, delle sue mille scuse.
Ormai non avevo più niente da perdere, volevo andare fino in fondo.
Continuai a fissarlo negli occhi, e lui fece lo stesso.
Fino a che, ad un certo punto, si girò dalla parte della macchinetta e tirò un pugno talmente forte da farla vibrare.
Urlò, ma non di quegli urli di rabbia, ma quegli urli di dolore.
Mi faceva male vederlo così ma ora volevo sapere la verità.
Si voltò nuovamente verso di me: aveva gli occhi gonfi di lacrime, ed era la prima volta che lo vedetti così.
Alex: Vuoi la verità Silvia? Bene ti racconto tutto. Sai perchè ti ho lasciato? Perchè non volevo che accadesse qualcosa a te, e così ho preferito farla accadere a Davide. Ti ricordi quella sera che nessuno dei due ha gareggiato? Beh, in un modo o nell'altro ne ero certo che Bill ce l'avrebbe fatta pagare, ma non pensavo in questo modo. Cazzo, mi aveva assicurato che doveva essere una caduta e basta. E invece lo vedi com'è messo il mio amico? Sta combattendo tra la vita e la morte, e questo è successo tutto per colpa mia.", concluse con voce esausta.
Rimase per un pò in silenzio, poi aggiunse:
Alex: mi dispiace..
Lo guardai con disprezzo misto a dispiacere.
Io: Come hai potuto farci questo? A me, a Davide, a Carola, a tutti? Eh? Come hai potuto? -dissi avvicinandomi a lui e iniziando a spintonarlo.
Alex: Volevo proteggervi dannazione! -urlò.
Io: E questo è il tuo modo di proteggere le persone? Beh, complimenti Alexander Rinaldi, sei una persona da ammirare! -conclusi facendo degli applausi davanti alla sua faccia.
Nel mentre, entrambi scoppiammo a piangere.
Fu davvero una sensazione strana: il mio cuore voleva abbracciarlo, rassicurarlo e dirgli che in realtà non era stata colpa sua, ma del suo stupido capo che sfruttava le persone a suo piacimento. Ma la testa mi diceva di insultarlo, farlo stare male per quello che aveva fatto a tutti, non solo a me.
E in quel momento, seguì la testa.
Lo odiavo più di chiunque altro.
Ma non era quell'odio che avevo provato inizialmente, era un odio più profondo che si incatenava nelle vie più oscure della mia anima.
E odiavo anche me, perchè io nonostante tutto lo amavo.
E ha rovinato tutto il nostro amore per un suo stupido accordo.
Abbandonai la sala, uscì dall'ospedale per prendere una boccata d'aria.
Piangevo da sola, le persone mi guardavano e qualche volta addirittura si fermavano per chiedermi se andasse tutto bene.
Ero stanca, volevo andarmene via, però rientrai perchè era giusto che facessi compagnia alla mia migliore amica, che stava peggio di me in quel momento.
Raggiunsi Carola al piano di sopra, quasi correndo.
Sperai di non trovarlo, e invece era seduto li, con le mani tra i capelli e lo sguardo basso.
Piangeva.
Lo sapevo perchè i suoi jeans erano leggermente bagnati.
Stavo male a vederlo così, volevo solamente rassicurarlo, ma ricordai quello che la testa mi aveva detto e andai avanti per la mia strada, raggiungendo la mia amica.
Aprì la porta della stanza, dove Carola stava al di la del vetro a guardare se le condizioni di Davide migliorassero.
E poi accadde tutto in una frazione di secondo.
La macchina che regolava il suo cuore iniziò ad emettere dei suoni sempre più veloci e acuti, facendo preoccupare i medici che raggiunsero di fretta la sala in cui stava Davide.
Carola sembrava uno straccio, mi guardava in cerca di conforto, anche de io in quel momento non sapevo proprio cosa fare.
Guardammo la scena impietrite, quasi come fossimo statue.
Quando poi arrivò la notizia straziante.
"Mi dispiace signorine, ma il paziente non ce l'ha fatta."

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