L'importante è provarci.

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Avere il sorriso sul volto, ascoltare musica spinta da discoteca, fotografarsi come per immortalare un falso momento felice e spensierato, appartengono a quella faccia della medaglia che vogliamo far vedere, proprio perché l'altra parte rimane capovolta, senza mai essere mostrata. Ognuno di noi tiene dentro di sé i pensieri, le emozioni tristi, i problemi e le difficoltà che ci assalgono. Tutte le negatività con cui giorno per giorno ci scontriamo, insomma. Questo non significa che si sta bene, significa che lo si vuole solo far credere.
La notte, soli con noi stessi, avvertiamo questo malessere in maniera più amplificata. Anche durante il giorno, ma la sera in modo particolare.
Se ci manca qualcuno, manchiamo anche noi, perché siamo assenti. A me stava capitando e non era assolutamente bello.
Mi sentivo il cuore pesante. Ero malinconica. Ciò che volevo non potevo averlo. È la vita, purtroppo. L'importante è non mollare mai in ciò che si crede. Se si lotta fino all'ultimo per la persona a cui si tiene, indipendentemente dall'esito finale, si è già vincitori, per il solo fatto di non essersi mai arresi, anche in silenzio.
Voi mi direte: "Certo, dimostri di tenerci e, poi, fai di nuovo la stessa fine? Ne vale la pena? Quando si butta la spugna, allora?"
Avete perfettamente ragione. Prima anch'io la pensavo così. Poi però, quando una persona scompare, per farle capire che l'hai pensata ogni giorno, che non sei stato bene anche se non volevi darlo a vedere, che sia la tua mente che il tuo cuore sono rimasti a lei, cosa fai? Credo che non si debba buttare la spugna fino all'ultimo. Se l'altra parte capisce quanto tu ci tenga, ma non ricambia, allora sì, a quel punto, anche se a malincuore, è opportuno mettere l'animo in pace.
Ma io, prima, ci proverei. In tutti i modi. A tutti i costi.
Sentivo di essere passata dall'essere persa, all'averlo perso. Gli stavo dando il diritto di farmi soffrire, mentre a me era stato ceduto il dovere di perdere il controllo. Tra il non sapermi più gestire e la sofferenza provocata dalla sua assenza, da quel maledetto silenzio che faceva rumore dentro di me, io stavo male. Lo pensavo assiduamente e me ne rendevo conto. Sbagliavo. Stavo perdendo di vista me stessa. Ero stata accecata, non vedevo a cosa stavo andando incontro. Inciampai più volte, fin quando caddi. Ormai temevo di non farcela. Avevo paura di non rialzarmi. Non trovavo nemmeno la forza per farlo, in realtà. Non ero motivata. Ero letteralmente abbattuta. Schiacciata dal peso di quella orribile mancanza a cui non ero abituata. Era assurdo avvertire un enorme vuoto per la mancanza di una persona sola, nonostante il mondo ne sia pieno. Quel casuale incontro si stava rivelando pericoloso. Spesso tutto ciò che accade per caso può durare per sempre. Sì. Per sempre. Forse il coraggioso ruolo dell'innamorato lo si interpreta proprio quando si è disposti a rischiare ancora, nonostante i lividi sul cuore e la scoperta del dolore.
Io non mi ero ancora arresa. Ero già ferita. A terra. Dolorante. Avevo scarse probabilità di vincere quella guerra, ma ci avrei provato fino all'ultimo. Non mi ero arresa e non volevo arrendermi. Ma soprattutto non dovevo, non di certo così. Non senza aver prima combattuto.
Sopportai quella chiassosa silenziosità per altri tre giorni. Il 29 Dicembre gli scrissi, di nuovo. Dovevo scavare più a fondo. Potevo anche perdere, ma sia per perdere che per vincere, bisogna comunque gareggiare. Forse si era ritirato dalla gara non tenendo conto del regolamento, secondo il quale il ritiro va accompagnato da una espressa manifestazione di tale volontà.
Ad ogni modo, la competizione era ancora aperta. Non valeva se aveva espresso un parere in modo tacito. Doveva dirmelo se non voleva più competere, se voleva concludere quel percorso ad ostacoli. Non poteva darmela vinta non presentandosi. Doveva affrontarmi. Io volevo almeno un ultimo scontro diretto. Non chiedevo tanto. Non volevo nemmeno vincere. Io volevo solo mettere un punto, fisso o mobile che fosse. Conoscere il risultato finale di quella partita più e più volte sospesa.

<<Chicco, so che non dovrei scriverti, infatti mi scuso in anticipo, ma ti prometto che sarà l'ultima volta.
Posso chiederti due cose?
Potresti solamente dirmi se ti ho fatto  del male e se in qualche modo ti ho involontariamente ferito? Potresti, inoltre, dirmi: "Musa, non ti voglio più sentire. Non sei più una mia amica e nemmeno una conoscente. Non sei più nella mia vita, non esisti più."? Per favore, ti chiedo di dirmelo, perché ho troppo bisogno di sentirmi dire queste parole, da te. Spero tu lo faccia, per me.
Buona serata. >>

Finalmente mi rispose. Dopo quasi mezzo mese di assenza. Mi rispose per modo di dire. Lo fece un po' a modo suo, ecco.

<<Sono in silenzio con tutti. Ho esaurito la "voce".>>
<<Va bene, se pensi che io non ti possa aiutare, allora continuerò a stare nel mio. Ma ti ricordi? Sono stati proprio i problemi della vita, soprattutto della tua, a creare quella connessione fra noi, ad unirci sempre più e a farci sentire il bisogno di aver bisogno l'uno dell'altra. Questo mi porta a pensare che se le parole le pesi davvero come dici, a volte non sai che peso hanno e, quindi, pesarle diventa inutile. Troppe contraddizioni, le stesse che mi tormentano da giorni. Ero davvero sicura di aver conosciuto una persona diversa da tutti gli altri, matura più degli altri e unica come nessuno. Non voglio dire che non lo sei, però, molti dei tuoi ultimi atteggiamenti sembrano dimostrare l'esatto opposto. Se non fosse stato per questi "maledetti problemi", non saremmo nemmeno qui a parlarci, o almeno, non lo avremmo fatto per così tanto tempo. Su di me hai fatto un certo effetto, non so se te ne rendi conto. Ti sento dentro la mia testa da quando ti conosco. Ti penso. Provo a farmi carico dei tuoi problemi. Tu, invece, non fai altro che distaccarti da me, da quella me a cui avevi detto di restare e fatto promettere di non sparire, e lo fai nel modo peggiore: in silenzio. Pensare che mi dicevi che ti ero un minimo d'aiuto, nonostante io sostenessi il contrario. Oggi è come se mi avessi detto chiaramente: "vattene, ho altro di più importante a cui pensare." Io lo rispetto, però voglio dirti che se devi essere d'aiuto per qualcuno, oltre che per te stesso, chiudersi è la via più sbagliata da percorrere. Io ti lascio così, restando impotente, con le mani in mano, perché è così che sono, non potendo far nulla, non lasciandomi far qualcosa. Rispetto il tuo volere, perché se è questo ciò che vuoi, ovviamente, non posso far diversamente. Ma mi dispiace. Ciao Chicco.>>
<<Se ti allontano, è solo per il tuo bene. Non porto altro che dolore a chi mi circonda, te compresa.>>
<<No, invece allontanandomi non me ne porterai? Certo...e perché lo stesso giorno in cui sei sparito mi hai detto che non dovevo sparire "anche" io?>>
<<Perché se sparisco io, lo faccio solo per proteggerti. Se lo fai tu, è perché mi odi.>>
<<Tu non puoi capire quanto siano stati brutti questi giorni lontana da te. Non ti ho cercato ogni giorno solo perché non è da me, solo perché non voglio essere invadente. Odio essere assillante, ma lo avrei fatto ogni singolo giorno. Infatti ti ho pensato come non mai. Sono arrivata ad analizzare persino me stessa. Pensavo di averti fatto del male inconsapevolmente, ma lì non trovavo la risposta. Ho pensato solo che volessi allontanarti da me perché io non sono quella che credevi fossi e continuo a pensare sia per questo, tanto che ti sto invitando in tutti i modi a dirmelo, senza altre spiegazioni. È cambiato un po' tutto da quando ci siamo visti e ripeto: i problemi ci sono sempre stati, sempre. Essi, anzi, sono stati il nostro gancio. Volevo essere la tua guida, la tua musa. E non voglio assolutamente essere protetta, io voglio starti vicina. Voglio aiutarti e tu me lo devi permettere Chicco. Non ho nulla da perdere. Se non me ne dai l'opportunità mi fai perdere, in primis con me stessa, ed io non voglio questo. Non sparire se la motivazione che stai adducendo è quella del dolore causato dai troppi problemi. Sparisci se non vuoi più avere a che fare con me. Non so come dirtelo in altro modo, ma io voglio restare, voglio tornare lì dov'ero. Pensi di farmi del male, ma non è così.>>
<<Te ne faccio invece. Anche fin troppo. Non faccio altro che consigliare cose che in realtà sono inutili, perché la realtà della vita è che i fatti, le variabili e la vita stessa non hanno senso.>>
<<Prima non me ne facevi? Prima la vita aveva senso? Prima i problemi non c'erano?>>

Non mi rispose più.
Un'altra volta.
Di nuovo.
Era palese: non voleva affrontarmi.
Scappava.
Io dovevo continuare ad inseguirlo?

Sconosciuti amanti come in tela di Magritte Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora