La perdita.

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Non so se sono rimasta intrappolata nel limbo, nella voragine infernale, più sinceramente penso di essermi persa nel labirinto della sua mente. Ho vissuto giorni bui in cerca di una via d'uscita che probabilmente non ho ancora trovato. Mi sono continuamente interrogata analizzando me stessa, nell'intento di trovare un errore di troppo che avesse fatto traboccare il vaso. Mi sono chiesta più e più volte cosa potessero significare tutte quelle contraddizioni, se mai avessero avuto un senso, perché per me erano solo frasi contrastanti l'una con l'altra prive di una logica.
Se c'era un senso a quell'assenza, io non lo trovavo. Se dirmi di restare quando a non restare era lui, se farmi promettere di non sparire quando a sparire era lui, se invitarmi a non allontanarmi quando ad allontanarsi è stato lui, cela una spiegazione plausibile io sono qui ad aspettare che qualcuno me la spieghi.
Ho provato ad intuirla da sola, ma non ci sono riuscita.
In quel monotono scorrere dei giorni, ho forse accettato la trappola, semplicemente imparando a conviverci.
Mi sono abituata alla sua assenza.
Ho imparato ad ascoltare il silenzio. Cercavo la luce in un tunnel destinato a rimanere buio. La sua mancanza mi ha lacerata dentro, mi ha divorata come un cane fa con l'osso.
Ho perso il controllo su me stessa, perdendo di vista tutto. Non riuscivo più ad impormi sui miei pensieri, erano loro a prendere il sopravvento su di me. Non ero più capace di gestirmi. Ero come entrata in un circolo vizioso che mi impediva di fare tutto ciò che avrei dovuto fare e che mi costringeva ad essere dipendente da lui, ancora.
Non riuscivo a farne a meno, mi mancava troppo. Per me lui era come l'aria e senza ossigeno non potevo di certo continuare a respirare. Avevo perso la concentrazione, perché tutto era concentrato su di lui. Faticavo a studiare, ad ascoltare musica, a leggere, a far qualsiasi cosa praticamente. Era come se mi avesse totalmente occupato la mente, non lasciando spazio per niente e nessun altro. Non avevo voglia di far nulla, né di uscire, né di sentire i miei amici. Volevo solo star da sola immersa in quel mio caotico mondo. Non mi sentivo libera. Non so dirvi esattamente, ma era come se fossi incatenata dai miei pensieri ed imprigionata dalla mia mente.
Ho iniziato a non dormire la notte e a non trovare un buon motivo per alzarmi la mattina. Non credo di essere entrata in depressione, il mio stato mentale non era sereno perché mi mancava il mio dispensatore di serenità: Chicco.
Stavo mandando tutto a rotoli, mettendo palesemente davanti a me un'altra persona. Mi stavo facendo calpestare l'anima. Dovevo intervenire, per il mio bene.
Ecco perché all'inizio vi dissi che non bisogna mai lasciare nessuno indietro, così come però non lo si deve mai mettere davanti. È bene porsi sullo stesso piano, sempre.
Io mi ero persa e avevo paura di non ritrovarmi più. In realtà la stessa me non l'avrei mai potuta ritrovare.
Le situazioni ci cambiano. Le persone ci segnano. Il tempo ci mostra segni e cambiamenti.
Era ormai dentro di me: inciso nel mio cuore, scolpito nella mia mente, tatuato sulla mia pelle. Non potevo cancellarlo, dimenticarlo era impossibile. Il segno indelebile lasciato su di me mi ha resa diversa, è innegabile.
Nessuno si incontra per puro caso. Alcune persone arrivano nelle nostre vite per metterci alla prova, altre per trarre vantaggi, altre per insegnarci una lezione e altre ancora per tirare fuori il meglio di noi. Bisogna mettere in conto il fatto che alcune andranno via e altre resteranno, per sempre. Tutte lasceranno delle impronte e noi non saremo più gli stessi di prima.
Si dice spesso che al cuore non si comanda. È un muscolo involontario che batte continuamente per la vita, ma nel mio caso stava palesemente battendo la mente. Sì, l'aveva sconfitta e sottomessa a sé. Credetemi.
Ogni giorno sentivo un peso sul cuore e un vuoto sulla testa.
Erano sensazioni strane e nuove per me. I miei movimenti, i miei pensieri e i miei gesti non erano più controllati dalla mia volontà. Mi sentivo una marionetta. Ero inanimata, spenta, fiacca e passiva.
Cancellai il suo numero un sacco di volte dal cellulare, illudendomi del fatto che eliminandolo dalla rubrica sarebbe spartito anche dalla mia mente. Era un'utopia, ovviamente.
Stavo soffrendo e nessuno poteva aiutarmi. Se hai la tosse solo un buon sciroppo potrà curarti. Il farmaco per la mia cura era Chicco, ma lui non c'era. Mi aveva allontanata per paura di ferirmi ed invece fu proprio allontanandomi che mi ferì. Era un controsenso ed io non lo accettavo minimamente. Ciò che lui sosteneva di fare per il mio bene a me faceva solo del male.
Quante variabili della vita che determinano la perdita di persone care arrecano dolore all'uomo? Infinite, purtroppo. La morte a causa di un incidente stradale, di una malattia o di un tumore incurabile sono inaccettabili variabili della vita che non possiamo né calcolare, né evitare. Il senso non potremo mai trovarlo perché lo conosce solo la vita, per noi resterà sempre un profondo mistero.
Io e Chicco non eravamo morti, tutte quelle variabili potevano essere esplicate e comprese perché eravamo noi a porle in essere. Mi tormentava la perdita di una persona che non era stata la vita a strapparmi dalle mani. Se io avevo bisogno di lui e lui di me, perché ci stavamo perdendo? Non era la vita a dividerci questa volta. Mi arrabbiavo con me stessa per questo, perché non ero stata in grado di fargli capire quanto realmente fosse importante per me. Le mie attenzioni non erano state abbastanza. Io non ero stata abbastanza, evidentemente.
Credevo di aver visitato ogni stanza della sua mente ed invece mi sbagliavo. Pensavo di conoscerlo fin quando non mi accorsi che il suo ritratto si era sbiadito nel tempo.
Non notavo nessun riscontro reale tra parole e fatti. Trionfavano le contraddizioni in un gioco in cui si mischiavano continuamente le carte.
Ho dimostrato con tutta me stessa di tenerci più di ogni altra cosa. Mi sono spinta oltre i miei limiti, oltre il mio essere. Non mi ero mai esposta così tanto per qualcuno.
Esperienze passate mi avevano insegnato a manifestare liberamente ogni pensiero, a fare tutto ciò che il cuore sentiva di fare. Io lo avevo messo in pratica, sconfiggendo ogni paura. Presi un aereo solo per andar da lui, senza averlo mai visto prima. Provai ad aiutarlo come fosse mio fratello. Cercai di sensibilizzarlo e di fargli riscoprire la voglia di vivere. Non ebbi paura di star male, volevo solo che fosse lui a star bene. Mi affezionai. Mi legai. Progettai per un mese un regalo che potesse far risaltare la profondità del nostro legame. Mi impegnai in tutto con lui, ma non mi pesò mai. Non sono pentita, né arrabbiata. Io sono delusa. La delusione è peggio della rabbia, perché nasce da una pugnalata alle spalle che non ti aspetti.
Dov'erano finite l'unicità, la diversità, la maturità, la magnificenza e la bellezza con cui lo avevo ritratto? La persona unica, diversa da tutti e matura come pochi, c'era ancora o non c'è mai stata? Esisteva realmente o era solo frutto della mia immaginazione? Continuavo a crederci, a sperare. Non mi arresi, forse fu questo ciò che mi contraddistinse dalla vecchia me. Un tempo mi arrendevo più facilmente, gettavo la spugna al primo ostacolo. La rassegnazione questa volta non bussò mai alla mia porta, ma penso di non averla accolta spontaneamente nemmeno adesso. Non mi sono rassegnata, ho più semplicemente accettato la situazione. Me ne sono fatta una ragione, anche se di ragionevole c'è ben poco.
Ho capito di dover imparare a bastarmi, perché nessuno sarà mai un pilastro solido su cui potersi poggiare.

Sconosciuti amanti come in tela di Magritte Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora