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William si era fermato sulla scala che portava alla cantina, sentendosi un po' agitato. I domestici ed i cavalieri erano già entrati nella sala in cui si svolgeva il party ma lui era paralizzato. L'unica persona che poteva convincerlo a fare un passo poi, si era rifiutata di aiutarlo. "Non ci sei mai per me, perché io dovrei aiutarti?" "Perché sei mio fratello." "Non è un valido motivo." "Perché ti voglio bene e tu ne vuoi a me."
Questo era stato il loro scambio di parole prima che William, profondamente tradito ed umiliato, andasse nella camera rossa per prepararsi. Aveva trovato un pantalone blu notte con camicia panna stesi sul letto con un bigliettino sopra: "Per quel testone di Will".
Non era abituato ad indossare quei pochi stracci, ai suoi tempi era diverso, ma doveva adattarsi. Per fortuna la "W" incisa in argento sul suo sopracciglio si poteva coprire sotto suo volere, perciò non avrebbe dato troppo nell'occhio alla festa.
Era quasi arrivato alla fine della scala con tanta fatica quando uno dei cavalieri, aprì la porta all'improvviso. Inizialmente nessuno fece caso a lui, erano tutti impegnati a giocare ad un gioco che Will non aveva mai fatto: c'erano tanti bicchieri rossi su un tavolo e i ragazzi lanciavano una pallina da golf cercando di fare centro.
-Will! Vieni qui! Gioca nella mia squadra!- Esultò Chris seguito dalla sorella che stava nella stessa squadra.
William si ritrovò al centro dell'attenzione e si sentì a disagio: era Edward il fratello vanitoso dei due, lui si imbarazzava e basta.
Chris lo presentò a tutti come "cugino di un mio carissimo cliente" e gli spiegò il gioco.
-Allora Will, l'obiettivo è fare centro nei bicchieri dell'altra squadra. Se li prendi, loro dovranno berli, al contrario se loro centrano i nostri, dovremo bere noi.-
-A me sembra tanto una scusa per bere.- Disse Will un po' confuso.
-Ma è questo il bello!- Disse Caroline.
Will si arrese davanti all'entusiasmo dei due fratelli ed il gioco iniziò con un tiro della squadra avversaria che non andò a segno.
Toccò agli altri  e Chris cedette il primo turno a William. In molti protestarono ma lui li zittì, dicendo che era la sua prima volta e che era giusto che iniziasse lui.
Il ragazzo prese concentrazione e guardò i bicchieri avversari cercando di capire quale fosse il più colmo di alcol. Ne individuò uno all'estrema sinistra del tavolo. Lo puntò, lanciò la pallina, fece centro. Era abituato a tirare con l'arco e con la pistola, non c'era dunque molta differenza per lui. Gli altri esultarono: due ragazze gli schioccarono un bacio sulle guance, i ragazzi gli diedero sonore pacche sulle spalle, Caroline sorrise, e Chris gli diede un leggero bacio sulla fronte.
Quando il gioco iniziò a scaldarsi, William decise di tirare il più possibile, per fare in modo che gli altri bevessero di più, così che da ubriachi non sarebbero riusciti a mettere in segno neanche un punto a loro. Ma anche nella squadra avversaria avevano un ottimo cecchino che centrò parecchi bicchieri e che anche Will fu costretto a bere. Dopo un po' anche lui iniziava a vedere doppio, ma la sua mira era sempre perfetta e, grazie a lui, vinsero il gioco. Christopher, preso dall'euforia ed inebriato dall'alcol, baciò William davanti a tutti, stringendogli il viso contro il proprio, in un unico contatto che sapeva di birra e di sudore. William, inizialmente, non sentì nulla; era completamente andato anche lui e a malapena riusciva a distinguere se stesso dagli altri. Poi si riscosse e sorrise a Chris, che intanto aveva lanciato una nuova sfida: lui e Will contro i due campioni dell'altra squadra. Sarebbe stato un duello doppio e senza esclusione di colpi. Bevvero un bicchiere d'acqua a testa per riprendersi e poi ricominciarono.

Caroline aveva bevuto e fumato più del solito. Si era ripromessa di non ridursi in quel modo mai più, ma come al solito, non era stata in grado di mettersi un freno. Stava ballando con uno dei cavalieri dei Von Fustë, un certo Amir, di origini arabe, alto e scuro di pelle, con due gemme blu al posto degli occhi. Era simpatico e galante: la faceva volteggiare tra le sue braccia per proteggerla. Lui sapeva bene che una ragazza in quelle condizioni era facile preda di bifolchi pervertiti, perciò era uscito il lato cavalleresco (quello del 1860), e aveva deciso di starle accanto finché non svenisse.
Amir si stava affezionando ai Black: loro non li avevano cacciati, abitavano poco la casa e lasciavano a tutti i propri spazi, anche se appartenevano ormai al passato.
Ad un tratto il festeggiato chiese un ballo ad Amir; lui non voleva lasciare Caroline ma quello era il suo migliore amico, che ai suoi tempi era come il cavaliere scelto, tipo Marcus per Edward. Perciò lasciò Caroline a Simon a malincuore. La ragazza ringraziò il dolce Amir, rassicurandogli che con Simon non c'era nulla di cui preoccuparsi: si sbagliava.
Simon ballò un po' con Caroline, poi la portò al piano di sopra, in veranda, dove faceva un freddo cane che entrambi non sentivano a causa dell'alcol che scorreva nelle vene.
Simon iniziò a dichiarare i propri sentimenti a Caroline, sua amica d'infanzia, di scuola e di passatempi. Lei, tra una parola e l'altra cercava di sviare il discorso, perché rifiutare l'amore di qualcuno la metteva a disagio, dunque cercava di parlare della festa, del tempo, di Grace e di Oxford. Simon non voleva parlare d'altro. Lei sbottò dicendo che lui non aveva riguardi verso la loro amicizia, che si sarebbe dovuto sincerare sui sentimenti che provava lei prima di dichiararsi, che quello significava la fine di tutto. Lui imprecò e si arrabbiò molto perché stava facendo uno sforzo enorme per dirle quelle cose, il giorno del suo compleanno per giunta, che lei stava rovinando. Lei si sentì talmente tradita che corse in casa, piangendo, cercando un water per liberarsi di tutto quel l'alcol che la confondeva. Ma Simon non voleva lasciarla andare: la prese le un polso così forte che lei sentì le sue ossa scricchiolare, la voltò con forza verso di lui e le urlò contro "TROIA DEVI ASCOLTARMI".
-Scusa. Se non evapori tra cinque secondi ti distruggo. Non scherzo.-
Edward aveva parlato con una calma disarmante ad un Simon frastornato e con la lama di una spada puntata alla gola. Il fantasma era apparso all'improvviso, vestito dei suoi abiti vittoriani, bellissimo e feroce.
Simon fece due passi indietro per allontanarsi dalla lama e poi scappò via, gettando ogni tanto qualche occhiata verso il fantasma.
Caroline non credeva ai propri occhi: Edward si era reso visibile per proteggerla, e lui non lo faceva mai. Da quel giorno di una settimana prima in cui si erano conosciuti, Caroline non aveva più visto i suoi lisci capelli biondi, i lati spigolosi del viso, le sopracciglia un po' corrucciate, gli occhi di un chiarissimo azzurro, glaciali e alteri. Vestito in quel modo poi, aveva tutto un fascino antico e moderno, giovane ma rispettabile.
-Si può sapere perché sei ridotta in queste condizioni? Sei penosa!- La rimproverò.
-Se devi insultarmi puoi anche tornare invisibile: c'era già Simon a farlo.-
Disse ciò e corse al piano di sopra, o almeno, ci provò. Cadde sul secondo gradino e poi sul settimo; in tutto ne erano 22, e Caroline, iniziava a perdere le speranze. Senza curarsi dello sguardo di Edward e delle sue parole, si accucciò in un angolo del settimo gradino, accanto alla balaustra di legno tutta lavorata. Stremata, si lasciò andare ad uno strano dormiveglia.
Edward era rimasto a guardarla per tutto il tempo: osservava come i suoi capelli neri ondeggiavano al minimo movimento di quel corpo snello, fasciato da un abito rosso fuoco. Aveva dei tacchi vertiginosi, Caroline, che slanciavano le sue gambe già lunghe. Edward la trovava bellissima sempre: in pigiama, struccata, appena sveglia, stremata dopo l'università, felice, arrabbiata, annoiata, sorpresa. Ma ciò che lo mandava fuori di testa e che lo costringeva a fuggire lontano da lei, era la sua intelligenza: Edward la ascoltava spesso ripetere quando studiava e ne restava sempre ammaliato. Nei discorsi, oltre la tecnica, la ragazza usava una sottile ironia che avrebbe potuto convincere chiunque di ciò che diceva.
Si accorse che Caroline si era addormentata, perciò la sollevò da terra e la portò nella stanza che occupava quando era ancora in vita.

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