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***

Andrew.

Allungai il braccio. Piegando il polso tirai la palla dentro il canestro appeso al muro di camera mia. Non stavo tenendo nessun punteggio, semplicemente quando mi annoiavo tendevo a fare qualche lancio. Tenevo la musica talmente alta che potevo sentire il letto su cui me ne stavo disteso barcollare, quasi ci fosse il terremoto. Le pareti vibravano facendo oscillare i poster di macchine e ragazze semi nude che avevo appiccicato al muro qualche anno fa.

Mi aspettavo che da un momento all'altro entrasse mia madre a dirmi di abbassare il volume. Sapevo già cosa mi avrebbe detto. Tutte stronzate sul fatto che di questo passo sarei diventato sordo. Lo faceva ogni dannata volta. Scossi il capo al pensiero. Forse aveva ragione, ma la verità era che se per stare un po' in pace con me stesso avrei dovuto rimetterci parte del mio udito, lo avrei fatto. Mi grattai il petto nudo prima di fare un altro tiro. Inarcai un sopracciglio in attesa e...Centro. Di nuovo. Senza neanche una piccola esitazione da parte della palla. Ad essere sinceri era raro che sbagliassi un colpo. Praticavo basket dall'età di cinque anni, ci ero cresciuto e sapevo come si giocava. Ero abbastanza alto da riuscire a raggiungere un canestro durante le partite. Ero veloce e agile, tanto da potere battere la maggior parte dei miei coetanei senza troppa fatica.

D'accordo, forse ero più bravo della media. Non lo dicevo per tirarmela, semplicemente lo sapevo e non ero il solo a dirlo. Era un dato di fatto. Il nostro allenatore aveva dichiarato apertamente la sua ammirazione nei miei confronti. O meglio, in quanto al basket e al modo in cui lui sosteneva che io in campo ballassi con la palla. Diceva che era una parte di me. Aveva ragione.

Stavo muovendo la testa a tempo di una canzone che stavano dando alla radio al momento, piuttosto orecchiabile. Tirai altre volte, così tante che ad un certo punto persi il conto. Eravamo io, la palla e la musica. Nessun altro. Nessun pensiero al di fuori delle parole che mi scorrevano nella mente.

Non l'avessi mai detto...

"Andrew!" La porta si spalancò di colpo. Profumo di biscotti al cioccolato mi invase le narici, ancor prima di vederla."Accidenti. Dove siamo, a Las Vegas?"

Mia madre si fermò un momento sulla soglia. Fece scorrere il suo sguardo critico per tutta la stanza mentre la musica continuava ad uscire potente dalle casse. Poi, fissò la fonte di tutto questo casino: il computer impilato sulla scrivania, tra i libri che non avevo alcuna intenzione di aprire. Mi limitai a fissarla in silenzio mentre a passi rapidi andava a spegnere tutto, staccando persino la spina. Notai con un certo disappunto che indossava una felpa e dei pantaloni della tuta di un colore...imbarazzante. Erano rosa chiaro, troppo giovanili per lei. Li trovava fighi perché mia sorella qualche anno prima glieli aveva regalati con la paghetta, che era la sua tra l'altro. Da quel giorno aveva iniziato a metterli continuamente. Solo in casa grazie a Dio.

Il fatto di non sentire più alcun suono oltre a quello del mio respiro mi spazientì."Immaginavo di esserci, finché tu non hai rovinato la mia fottuta vacanza immaginaria." Borbottai mentre mi stiracchiavo tirando i muscoli della schiena.
Non nascosi un sorrisetto quando lei mi fulminò con i suoi occhi azzurri, identici ai miei.

"La tua fottuta vacanza immaginaria." Ripeté con voce più profonda nel tentativo di imitare la mia. Intanto il suo chignon si era disfatto."Vorrei ricordarti, signorino, che quella che tu chiami musica stava risvegliando il tuo trisnonno George - pace all'anima sua - dalla tomba."

The bad boy's deal Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora