•Capitolo 30•

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Passai la mattina del giorno seguente a letto, con le coperte che mi avvolgevano come in un bozzolo caldo e accogliente. Ero scossa continuamente da brividi orribili e dovevo avere un aspetto davvero terribile. La gola mi bruciava come se non avessi fatto altro che gridare per giorni e il corpo non era di certo messo meglio. Dolori acuti e fastidiosi continuavano a pungermi le ossa e i muscoli impedendomi di muovermi. Anche soltanto allungare il braccio per prendere un bicchiere d'acqua, o un fazzoletto sul comodino mi costava grande fatica. Avevo compreso di avere un aspetto davvero spaventoso quando papà era entrato nella mia camera verso le sette, per controllare come stavo. La sua espressione compassionevole parlava chiaro. Dovevo essere ridotta uno straccio. Ero sveglia dalle quattro del mattino e stando a quello che mamma mi aveva detto durante la notte, quando era passata a darmi le medicine, avevo dormito ben tredici ore a causa della febbre alta. E sempre stando a quello che mi aveva detto, Andrew era rimasto con me per il resto del pomeriggio precedente. Aveva chiamato mamma e papà con il mio cellulare mentre io dormivo profondamente e li aveva avvertiti a proposito del mio stato di salute. Si era persino offerto di rimanere con me fino a quando non sarebbero tornati dal lavoro. Immaginavo che la mamma, altrimenti si sarebbe precipitata subito qui in preda al panico. Per lei la più innocua influenza rappresentava una grande fonte di pericolo. Temeva ogni volta che potessi finire in ospedale, o svenire, o chissà cos'altro.

Comunque, Andrew era riuscito in qualche modo a tranquillizzarla ed era rimasto con me per tutto il tempo. Perché ogni volta che succedeva qualcosa di assurdo, irripetibile io riuscivo a perdermelo? Avrei davvero voluto assistere alla scena che prevedeva un Andrew paziente e calmo, mentre tentava di non far saltare i nervi alla mamma impedendole di precipitarsi qui. Sicuramente, non appena mi fossi ripresa glielo avrei domandato. Mi mossi, lentamente nel tentativo di prendere un fazzoletto dal comodino. Avevo perso qualsiasi tipo di sensibilità del mio povero naso. Potevo anche averlo perso durante la notte, se solo non continuasse a perdere come un rubinetto. Non ce la facevo più. Non ero abituata a restare in silenzio così a lungo. Avevo assolutamente bisogno di parlare, altrimenti non sapevo quanto tempo sarei potuta sopravvivere.
Riuscii ad allungarmi, mugolando debolmente per il dolore che avvertii in numerose parti del corpo non identificate. Presi la stoffa soffice del fazzoletto e mi soffiai il naso, imitando il suono di una tromba. La testa rischiava di esplodere. Sentivo gli occhi umidi e appiccicosi. Grr.
Quando finii, in un momento di lucidità, ricordai Andrew che mi posava la sua giacca nera sulle spalle. Andrew che mi prendeva tra le braccia e mi portava in camera mia...Poi non ricordavo più niente. Sbuffai, appallottolando il fazzoletto usato e lo tirai sul comodino gemendo per la mia insofferenza. Non controllai neanche che fosse andato a segno, anzi sprofondai con la testa sul cuscino e mi tirai su con decisione le lenzuola in modo che mi coprissero anche le orecchie.

Qualche minuto più tardi, mentre cercavo di riprendere sonno, qualcuno bussò alla porta facendomi sussultare.

"Ahia." Mi lamentai, sospirando pesantemente.

Prima ancora che potessi dire «avanti» la porta si spalancò. Vedevo tutto annebbiato, quindi non riuscii a distinguere la figura che si trovava sulla soglia della porta. Battei le palpebre una, poi due volte cercando di mettere a fuoco la stanza. Riconobbi la figura di papà.

"Papà..." Borbottai, con la voce attutita dal lenzuolo che mi arrivava fin sopra il naso. Rabbrividii un'altra volta per il freddo che sentivo e mi strinsi le coperte al petto. Faticavo a prendere aria dal naso, quindi la mia voce suonava nasale e ridicola alle mie stesse orecchie."Ho già detto alla mamma che non ho fame, quindi..."

Mi interruppi, quando la figura si fece più vicina e riconobbi che non si trattava di papà. In piedi, nella mia stanza c'era Andrew. Mi prese un colpo. Battei nuovamente le palpebre e mi strofinai gli occhi, certa di stare sognando o qualcosa del genere. Ricordavo di averlo sognato stanotte, quindi tutto era plausibile. Perché non era possibile che Andrew fosse qui. In camera mia. A quest'ora sarebbe dovuto essere a lezione. E invece, c'era. Quei capelli neri come carbone e ondulati, il taglio particolare dei suoi occhi trasparenti come vetro erano inconfondibili. Le sue iridi sembravano ancora più chiare, in contrasto con le folte ciglia scure. Come al solito era vestito totalmente di nero, eppure nonostante questo, il suo fisico imponente risaltava come la luna tra le stelle in questa stanza. L'aura minacciosa che si trascinava costantemente dietro non coincideva con il fascino che emanava da ogni movimento mentre si avvicinava a passo calmo, ma deciso.

The bad boy's deal Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora