32. Imagine the unimaginable

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"Ovunque io guardi, vedo la sua assenza."

_Bella, Twilight

Non c'era minuto in cui il pensiero non sfiorasse la sua immagine ineguagliabile. Talmente bello, talmente carismatico, talmente dolce e premuroso quanto provocante e un pizzico presuntuoso a volte, talmente suo. Dio se le mancava.
La nostalgia che nutriva nei suoi confronti moltiplicava la grandezza della voragine che, per la lontananza da casa, si era aperta nel suo petto. La gettava in uno sconforto, in un oceano privo di speranze e colmo di rinunce, che con le lacrime agli occhi marroncini la faceva vacillare sul desiderio di una finale rassegnazione.

Tuttavia non voleva dare a quei criminali quell'enorme soddisfazione, non ancora.

Aveva fatto innumerevoli tentativi per mettersi in contatto mediante la telepatia con membri dei branchi che costituivano, assieme, la sua grande famiglia. Era stata sveglia perfino la notte per cercare di trovare un accesso libero in modo da spedire un messaggio mentale ai suoi cari, che fosse anche il più breve possibile, eppure ogni volta sembrava che qualche strumento, di cui non era ancora riuscita a riconoscere l'origine, stroncasse irrimediabilmente la connessione lasciandola cadere nel vuoto. Come se fosse stata costruita una sorta di barriera invalicabile che non permetteva nessun tipo di passaggio, nemmeno quello più immateriale.

Certamente, si celava sotto qualcosa.

In ogni caso, avrebbe dovuto escogitare al più presto qualcosa, iniziando a strappare e rinchiudere nella memoria informazioni che ritornassero utili nell'individuare la terra in cui, adesso, risiedevano dal momento che nessuno aveva ancora avuto la volontà spontanea di rivelarle qualcosa.

Non riusciva a definire il numero di giorni che fossero trascorsi dal loro arrivo, in quanto, a causa del loro atteggiamento ribelle, era stato loro negato categoricamente per il momento di abbandonare le segrete. Avevano riservato loro, in sostanza, una punizione di isolamento. Insopportabile.

«La smetti di piagnucolare?! Dannazione.» Gus, nella stanza opposta rispetto la sua, stava adempiendo all'ordine superiore di disinfettare, mattina e sera, le ferite generate dalla dose rilevante di strozzalupo pressata sui polsi della piccola Aurora.

Era la terza volta che, con una delicatezza tutta sua, passava una benda di ovatta imbevuta di disinfettante attorno i polsi della bambina, tuttavia non aveva mai dimostrato una particolare pazienza nei suoi confronti e non sfiorava minimamente il pensiero che, un poco, quella sostanza benigna potesse bruciare a contatto con la pelle martoriata.

«Se magari fossi più delicato nel medicare quelle ferite...» ruotò gli occhi al cielo, sospirando, Chantel. Il licantropo le rivolse un'occhiata truce attraverso lo spioncino della sua cella, intimandole con occhi infuocati di rimanere in silenzio fino al termine della medicazione della più piccola.
Aurora emise l'ennesimo lamento, nonostante incidendo il labbro inferiore si costringesse a reprimere il bruciore sottoposto.

«Vorrei vedere te, al posto mio, maneggiare tutte queste interminabili garze e batuffoli di cotone.» borbottò infastidito, non in grado di avvolgere nella maniera corretta i lunghi fasci di bendature attorno ai suoi polsi sottili.

«Potresti lasciare a me il tuo posto. Me la cavo sicuramente meglio.» propose, catturandogli l'attenzione con uno schiocco di dita. Le rivolse uno sguardo accigliato, non sapendo se acconsentire alla sua proposta allettante, talmente scocciato dalla situazione, oppure non fidarsi e terminare quel maledetto lavoro con le proprie mani. Abbassò gli occhi alla bambina dai grandi occhioni lucidi accarezzando la dolce idea che se fosse stata nelle mani più amorevoli della ragazza avrebbero cessato i suoi fastidiosi lamenti, che tanto gli davano alla testa.

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