24. We are one

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Perdonatemi un'altra volta per il capitolo lungo, sono desolata. In ogni caso, spero vi piaccia!

"Non nei numeri ma nell'unità sta la nostra grande forza."
_ Thomas Paine

Si congedarono dall'edificio all'istante, lasciandosi alle spalle un istituto in piena confusione.

Chantel camminava aggrappata al corpo del padre, lacrime salate minacciavano di rigarle il viso dolce. E Jackson sapeva che la sua incapacità di mostrarsi debole, in quel momento, non sarebbe durata ancora a lungo.
I singhiozzi della figlia, che si fecero acuti, confermarono la sua supposizione.

«Guidi tu, per favore? Io sto dietro con lei.» domandò a Matthew che acconsentì senza indugiare, comprensivo.

Erano venuti in macchina assieme, consentendosi una pausa dallo stancante lavoro in azienda, lasciato ai comandi delle mogli organizzate.

Appena il licantropo alla guida avviò il motore dell'auto, la ragazza seppellì il viso nel collo del padre, lasciandosi andare tra le sue braccia forzute. Jackson le accarezzava i capelli, non proferendo parola, in modo che lei potesse incontrare nella sua tranquillità un po' di pace. Non gli importava delle incessanti e copiose lacrime che gli macchiavano la maglietta, l'unico suo desiderio era che la ragazza si sentisse meglio dopo aver aperto la propria valvola di sfogo.

Pianse per tutto il viaggio verso casa. Il suo pianto disperato strinse il cuore di Matthew che, al posto di guida, spesso dava un'occhiata attraverso lo specchietto retrovisore alla ragazza scossa da spasmodici singhiozzi.
La capiva, talmente piccola ed inesperta ancora, non doveva essere facile condurre un'esistenza tanto travagliata come quella dei licantropi per lei. 

Quando giunsero davanti a casa Davis, Jackson preferì non lasciarla rinchiudere a disperarsi nella sua stanza. A crearsi poi chissà quale genere di paranoia.
La prese tra le proprie braccia, lei allacciò le gambe attorno alla sua vita ed incavò il viso nella zona sprigionante l'essenza rassicurante del suo collo. La aspirò per diversi secondi, aiutandosi a calmare i singhiozzi e a cessare le lacrime salate.

«Voglio a-andare a casa.» ripeté, ancora lievemente scossa dai potenti singhiozzi.
Desiderava soltanto buttarsi sul letto, avvolgersi tra le sue morbide coperte e chiudere gli occhi per dimenticare l'accaduto.
Ma Jackson non gliel'avrebbe permesso, consapevole che non avrebbe fatto nient'altro che accrescere la sua desolazione.

«Restare all'aria aperta della Foresta ti farà sentire meglio.» le spiegò il padre, sperando che non obiettasse alla sua decisione.

«Mi fa male la testa.» piagnucolò la più piccola, nascondendo ancora di più il viso nell'incavo situato tra la spalla e il collo dell'uomo.

«Cerca di respirare profondamente.» la voce paterna di Matthew le solleticò l'udito, simile a quella del figlio primogenito.

Lo desiderava accanto a lei a consolarla con la sua unica dolcezza e premura. Oppure con le sue battute malsane, non avrebbe importato.

E lei se ne era andata senza neanche salutarlo.
La colpevolezza le attanagliò il petto con la lama affilata di un coltello, respirò la colonia del padre con la speranza ches' intensificasse l'effetto di tranquillante.
Ma non funzionò del tutto.

Guardava l'erba scorrere sotto i suoi occhi, più vivida del solito. Alcune margherite e alcune viole erano sbocciate, donando all'estensione radicata del prato una meravigliosa veste colorata.
Ad un certo punto l'erba del giardino cessò di muoversi.

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