34. Unconsciousness

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"E ti aspetterò per sempre,
perché ti amo
e chi si ama,
si aspetta."

_Subhi

Mirava il vuoto.
Del resto, lo aveva sempre fatto in quegli ultimi giorni.
Giorni senza di lei.

Non era nemmeno più in grado di riconoscere le emozioni che, contrastanti, si dibattevano all'interno della sua anima sconvolgendo ogni sua facoltà di percezione emotiva. Si toccava il petto digrignando i denti e ringhiando sommessamente in cerca di ammutolire quel dolore insuperabile che gli squarciava quella parte e si disperdeva dentro, nei suoi intestini prendendosela, soprattutto, col suo cuore innocente.

Vivere senza di lei, nonostante fosse trascorso poco tempo dal loro primissimo ricongiungimento, era semplicemente vano. Niente aveva più colore, il mondo era ricoperto da una patina monotona di grigio, che rendeva tutto uguale, terribilmente insignificante.

Il mondo, senza lei al suo fianco, perdeva senso.

E stare nella confusione più totale degli ultimi giorni, indubbiamente, non aveva migliorato la sua situazione. I branchi si riunivano continuamente, giorno e notte, alle ore anche più improbabili, per cercare di evolvere il progetto che, in un modo dolorosamente lento, stava prendendo forma.

Discutevano, ragionavano, riflettevano, senza riuscire a raggiungere una conclusione dal momento che non possedevano ancora dettagli di rilevante spessore. Erano pronti a presentarsi al nemico, a combattere in nome della giustizia senza essere sicuri della persona a cui stessero per rivolgere le armi.
Per Rylan, era tutto tempo perso.

Fino ad allora, avevano appurato assieme all'intervento magico della strega bianca, loro fedele aiutante, che il luogo in cui si era stanziato il branco di criminali rapitori era attorniato da una sorta di barriera difensiva che ostacolava il suo rintracciamento, apparendo nella carta magica dell'incantatrice come Territorio inesistente.

La barriera di protezione, impenetrabile perfino per la magia pura di una strega esperta, impediva la telepatia che avrebbe potuto metterli in contatto con una delle vittime del rapimento e, di conseguenza, li guidava di continuo al punto di partenza.

«Ti prendo qualcosa da mangiare? Rachel ha preparato dei biscotti al cioccolato.» Derek comparve per l'ennesima volta al suo fianco, prendendo posto sulla sedia accanto e rivolgendogli un sorriso d'incoraggiamento.

Da quando era successa quell'orribile tragedia, la sua famiglia non l'aveva abbandonato un solo attimo e, nonostante la sua sofferenza implacabile non gli permettesse di esternarla, nei loro confronti indirizzava una gratitudine immensa. Avevano fatto tanto per lui.

«No grazie, Derek.» scosse il capo, gli occhi lievemente arrossati per la mancanza di ore di riposo, il labbro inferiore screpolato per la moltitudine di morsi sottopostovi, le guance leggermente scavate.

Gli occhi caramello di Derek, simili a quelli della madre accanto a loro, si fecero in fretta contrari riguardo quell'ostinazione del fratello a non ingerire niente che fosse differente dall'aria. Matilda Dawn, preoccupata, circondò le spalle del suo addolorato figlio, chinandosi per depositare sulla sua guancia un bacio amorevole.

Vedere un figlio cadere in un pozzo senza fondo come quello equivaleva a conficcarsi innumerevoli volte un coltellino svizzero nello stomaco.
Era una situazione inaccettabile.

«Noi stiamo facendo il possibile, amore. Ursula sta elaborando l'incatensimo che possa trapassare la barriera.» gli disse, avvicinando la bocca all'orecchio del primogenito. «Ma tu non puoi ridurti in queste condizioni. Posso capire il dolore e il rammarico che ti tieni dentro, tesoro mio, so quanto possa fare male, ma non puoi permetterti di lasciarti andare in questo modo.»

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