35. No control

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Lèon camminava a rapide falcate lungo il corridoio interminabile del quinto piano della dimora Julliard, le spalle contratte avanzavano con impetuosità. Spalancò la porta, non curandosi della prima mattina che non risplendeva ancora in tutta la sua luminosità nel cielo, ma rimaneva ancora ambrata nell'oscurità della notte.

Lo individuò come aveva premeditato, seduto nella sua inimitabile compostezza sulla pelle fabbricata della sua sedia girevole. Si toccava insistentemente la barba incolta, ne lasciava sempre un accenno a sottolineare i suoi zigomi marcati, e i suoi occhi neri rispecchiavano alla perfezione la sua bestia che imperversava nella sua anima.
Ai suoi lati, come di frequente, stavano imponenti le sue due grandi ali nere, le cui anime non erano tanto diverse dalla sua, più tenebrosa che mai.

I loro sguardi calcolatori si spostarono nella sua direzione come se già attendessero il suo arrivo.
Erano in grado di premeditare qualsiasi cosa.

«Oh, è arrivato il mio pupillo.» canticchiò, quasi in modo malato, Jonathan Julliard. I suoi occhi luccicarono alla vista di uno degli uomini su cui più poggiava la propria fiducia. Conosceva Lèon da quando era un semplice cucciolo, abbandonato alla propria sorte dai suoi stessi genitori, i quali, non desiderando come primogenito erede un Alpha maschio, l'avevano rifiutato fin dal primo momento della nascita. Genitori spietati che non avevano in cuore nemmeno un briciolo di sentimento nei confronti del sangue del loro sangue e, proprio per questo motivo, l'Alpha del branco Julliard decise di fornire aiuto a Lèon.
Da quel momento, Jonathan vide in quei suoi occhi angelici un riflesso della sua anima di tenebre e prese la decisione di tenere quel giovane ragazzo con sé.

«Dimmi, Lèon. Che cosa ti porta da me con tanta fretta?» gli domandò, puntando i suoi occhi addosso al corpo muscoloso del licantropo appena apparso. River e Draco lo guardavano nello stesso modo, circospetti e bramosi di conoscere la notizia che l'aveva spinto a varcare quella porta con tanta irruenza: il pericolo scaturiva nei loro animi depravati un'eccitazione divampante.

«Alpha.» prese la parola, il Licantropo dai capelli d'oro, avanzando in direzione dello scrittoio su cui passava la maggior parte del suo tempo quel grande ma crudele uomo. «Il branco Davis, Dawn e Blake hanno intercettato la nostra posizione. Non siamo sicuri attraverso quale espediente siano stati in grado di farlo, la barriera che aveva costruito con la magia la nostra Strega era stata considerata indistruttibile. Tuttavia non siamo riusciti a domandare spiegazioni plausibili all'incantatrice, è svanita nel nulla da ieri pomeriggio e non è certo il luogo in cui sia diretta al momento. Ad ogni modo, la mossa prossima dei tre branchi sarà, secondo i nostri calcoli esatti, di attaccare e, ecco, i vostri uomini desiderano sapere il vostro verdetto riguardo i possibili provvedimenti da assumere.»

Jonathan ciondolò in attimi di silenzio totale, ma non accennò il minimo cedimento, continuando a dimostrare la sua inesorabile indifferenza, come se il fatto che tre interi branchi, celebri per la loro imbattibile supremazia, stavano dichiarando guerra alla sua gente non lo toccasse nel profondo. Giocava con quel suo accenno di barba, vagando con gli occhi tra il mobiliare articolato dell'ufficio, tra un pensiero meschino e un altro più spietato.

«Be', dopotutto era quello che desideravamo: combattere contro loro e riportare una vittoria decisiva. Voglio che si abbassino al mio cospetto, che mi bacino i piedi quando mi trovo di fronte a loro, che riconoscano che io e solo io sono il Grande Alpha più potente. Oh, questa volta mi assicurerò che il piano vada a buon fine: vedere quelle tre fecce che si fanno chiamare Alpha chinate davanti alla mia figura sarà pane per i miei denti.» dialogava come se oltre alla sua persona, non fosse presente nessun'altro essere nello studio.
Era evidente che a prendere la parola era la sua insaziabile sete di vendetta, accompagnata al forte desiderio di onore e potere.

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