12 - Calamita per i guai

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«Ho parlato con i nostri genitori.» Harry torna da me. È eccessivamente rilassato e la cosa mi irrita e non poco.
In tutto questo, papà ed Anne, ovviamente, non hanno fatto domande e non hanno pensato di aiutarci. Ma in che razza di famiglia di irresponsabili sono capitata?
Basta. Devo calmarmi.

«E a nessuno dei due è venuto in mente di darci una mano?» , chiedo, agitata.

«Mi sono dimenticato di dire che siamo chiusi in un centro commerciale.»

Spalanco gli occhi. Non riesco a crederci. Ha perso l'unica coppia di neuroni che gli era rimasta quando l'ho colpito accidentalmente con la porta del bagno il mese scorso?

«Era l'unica cosa che dovevi fare!» , gli urlo contro, alterata. Mi avvicino a lui con fare minaccioso.

«Calma» , cerca di placarmi, preoccupato.

«Neanche per sogno! Sono agitata e, se ora non mi dai il tuo cellulare per chiamare Anne per chiedere aiuto, ti assicuro che, semmai dovesse venirmi fame, ricorrerò al cannibalismo!» , continuo a gridare, afferrandolo per la giacca.

«Te lo do subito!» Spaventato, si divincola dalla mia presa e prende il telefono dalla tasca dei pantaloni. Sbianca di colpo mentre lo osservo in silenzio. «Batteria scarica» , legge ad alta voce, non staccando nemmeno per un attimo gli occhi dal display.

Mi copro il viso con le mani, in preda alla disperazione. «E adesso? Che cosa facciamo?» , domando.

Dopo un po', solleva lo sguardo. «Io avrei una mezza idea» , mi risponde, sorridendo in modo malizioso.

Lo colpisco con la borsa. «Non dire idiozie! Se riuscissi a trovare il mio cellulare, potrei chiamare i nostri genitori.»

«Cerchiamolo» , propone.

Annuisco e vado verso il camerino. Magari, mi è caduto mentre mi cambiavo.

Harry

Dopo circa un'ora di ricerche, sbuffo e mi avvicino a Celeste. «Trovato niente?» , le chiedo.
Triste, scuote il capo. «Magari, lo hai lasciato a casa» , azzardo.

«Non credo. Dove lo hai visto l'ultima volta? Sforzati di ricordare.»

Inizio a pensare.
L'ultima volta che ho visto il telefono è stata ieri sera, quando ho cercato di scoprire la password per sbloccarlo, ma poi è arrivata Celeste, me lo ha tolto dalle mani e lo ha posato sulla scrivania prima di togliersi i vestiti.

«Sulla scrivania della tua camera!» , quasi urlo, cercando di rimuovere dalla mia mente l'immagine di mia sorella in biancheria intima.
Basta. Devo smetterla!

«Maledizione! Hai ragione tu, l'ho dimenticato a casa!»

«Dobbiamo dormire qui, non c'è altra soluzione» , affermo.

Lei annuisce, sconsolata, e va a sedersi a terra accanto al bancone su cui si trova la cassa.

«Buonanotte» , mi dice, prima di chiudere gli occhi.

«Buonanotte.»

Mi allontano per andare a cercare un posto in cui riposare. I camerini dovrebbero essere comodi.

Celeste

Sono una stupida. È colpa della mia distrazione, se ora sono chiusa in un centro commerciale.
Ma, se avessi avuto il telefono per avvertire i miei genitori, in fin dei conti, loro cosa avrebbero potuto fare?
Nulla, credo.
Meglio dormire, ormai il danno è fatto.

Harry

Si dorme scomodi nel camerino, ma è una cosa abbastanza ovvia, serve soltanto per provare vestiti, non l'hanno mica inventato per permettere alle persone di riposarci dentro.
Guardo il mio orologio che segna le sei del mattino. Devo restare sveglio, pronto a scappare. I commessi non devono trovare me e Celeste all'interno del negozio.
Dopo un po', mi decido a lasciare la mia postazione per raggiungere mia sorella. Trema e ha la pelle d'oca.
Mi tolgo la giacca e gliela metto sulla spalle per coprirla.
Mi dispiace svegliarla, dorme beatamente, ma i proprietari del negozio potrebbero arrivare da un momento all'altro.
Un momento, ho detto che mi dispiace svegliarla?
Sto diventando troppo buono con lei.
La scuoto violentemente per farle aprire gli occhi.

«Anne, è estate, fammi dormire ancora cinque minuti» , mormora, spingendomi via con una mano.

«Svegliati, sciocca! Vuoi forse finire nei guai? Non devono trovarci qui.»

«Non c'è nessuno. Lasciami dormire.» Non schiude nemmeno una palpebra.

All'improvviso, sento le voci di due ragazze, probabilmente le commesse della boutique, provenire da dietro la serranda abbassata.
Cavoli!
Prendo Celeste in braccio e inizio a correre verso il camerino.
Entro dentro e chiudo bene la tendina alle nostre spalle.
La serranda si solleva e le voci si fanno sempre più vicine.

«Margaret, controllo i camerini?»

Maledizione!

«No, puliamo prima il negozio.»

Trattengo a stento la voglia di tirare un sospiro di sollievo. Non devo farmi sentire.

«Sei proprio tu?» Celeste inizia a farfugliare nel sonno.

Cerco di zittirla, disperato.

«Ho sentito delle voci!» , grida una commessa, allarmata, all'altra.

Come volevasi dimostrare.

«Fai silenzio, sciocca» , mormoro, preso dal panico.
Lei continua a borbottare qualcosa a proposito di un Principe Azzurro. Che diamine sta sognando? Dovrei tapparle la bocca con una mano, ma, se lo facessi, rischierei di farla cadere dalle mie braccia.
Non mi preoccupo del fatto che potrebbe farsi male. Vorrei soltanto che le commesse non sentissero un tonfo.
Agendo di impulso, la bacio. Solo per zittirla, sia chiaro.

«Io non sento nulla, Sarah. Non c'è nessuno qui, oltre noi due.»

«Hai ragione, oggi non mi sento proprio bene.»

Le voci si fanno sempre più lontane. Le ragazze sono dalla parte opposta del negozio rispetto a quella in cui ci troviamo noi. È il momento perfetto per scappare.
Allontano le mie labbra da quelle di Celeste che, secondo ciò che mi fa dedurre il suo sguardo sconvolto, si è svegliata. Sta per urlare, ma scuoto il capo e le faccio segno di restare in silenzio.

«Ti spiego tutto quando usciamo da qui. Non volevo baciarti, mi hai costretto a farlo» , mi giustifico.
Continua a fulminarmi con lo sguardo, ma annuisce e non pronuncia una sola parola.
La libero dalla mia presa e lascio che i suoi piedi tocchino il suolo. «Seguimi. Dobbiamo scappare» , sussurro, afferrandole un polso.

Inizio a correre e la trascino via con me.
Usciamo dal negozio e poi anche dal centro commerciale.
Siamo salvi.

Celeste

Riprendo fiato per la lunga corsa e poi afferro il riccio per il colletto della camicia. La sua giacca la indosso io, anche se non so il perché. Esigo delle spiegazioni!

«Perché mi hai baciata? Perché ero fra le tue braccia? Perché indosso la tua giacca?» , inizio a tempestarlo di domande.

«Indossi la mia giacca perché stavi morendo di freddo e ti ho coperta ed eri in braccio a me perché le commesse stavano entrando nel negozio e tu non volevi alzarti, così ti ho afferrata e sono corso con te nel camerino per nasconderci» , mi spiega.

«E perché ti sei fiondato sulle mie labbra?» , domando, visibilmente sconvolta ed irritata allo stesso tempo.

«Perché non volevi stare zitta; continuavi a parlare di un Principe Azzurro, stavano per trovarci e, non sapendo come farti chiudere quella boccaccia, ti ho baciata.»

Quindi, è andata così; mi ha baciata perché non volevo fare silenzio.
Oh, perfetto!
Sono riuscita ad evitare che il mio sogno si avverasse, ma alla fine mi ha baciata comunque. Il punto è che ha dovuto farlo per salvarci perché rischiavo di farci scoprire. È stata colpa mia. È stata tutta colpa mia. Soltanto mia.
Non dovevo uscire con lui, non dovevo provare tutti quei vestiti per poi rimanere chiusa nel negozio, non dovevo dimenticare il cellulare a casa e dovevo svegliarmi!
Sono come una calamita per i guai.

La ragazza con la valigiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora