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Non appena metto piede in casa, mi vedo venire incontro mia nonna, seguita da mio nonno e... mio padre. << Tesoro! Sei a casa! >> mia nonna mi abbraccia stringendomi forte a se. Piange sul mio collo.
<< Dove sei stata? Ti prego, dimmi che non hai passato la notte per strada. >> La guardo ancora sconvolta dalla presenza di quell'uomo. Non riesco a credere che sia qui, in questa casa, a pochi metri da me.
Il mio sguardo slitta da mia nonna alle sue spalle.
<< Ciao, Alexa. >> non appena parla mi fa male il petto. Non riesco ad accettare il fatto che dopo tanti anni si sia fatto vivo. Spero che non si aspetti che tra noi sia tutto okay, che siamo un padre e una figlia con un buon rapporto.
<< Ciao. >> dico seccata.
<< Tesoro dove hai passato la
notte? >> mia nonna mi parla.
Mi accarezza la guancia e io torno a posare lo sguardo su di lei.
<< Da Ryan... Ho passato la notte da Ryan. >>
Mia nonna annuisce e tira un sospiro di sollievo.
<< Chi è questo Ryan? >> chiede.
<< Non ti riguarda. Cosa fai? Adesso ti interessa sapere chi incontro? >> sbotto.
Non deve azzardarsi a mettersi in mezzo così. Non deve proprio. Non ne ha alcun diritto.
<< Voglio solo sapere con chi esce mia figlia. >>
Scoppio in una risata amara.
<< Tua figlia. Tua figlia?! Tu non sai cosa significa nemmeno avere una figlia! >> gli urlo contro.
Mia nonna mi prende per le spalle e mi sussurra di calmarmi. Ho il respiro affannoso; ascolto mia nonna e faccio profondi respiri per cercare di tranquillizzarmi.
<< Ti prego, ascoltami. >> mi sta pregando di lasciarlo parlare.
Mia nonna mi prende la mano e la stringe forte: << Provaci. So che non è facile, ma almeno fai un tentativo. Io sono dalla tua parte. Lo sarò
sempre. >> dice al mio orecchio.
Sospiro ancora e sposto lo sguardo su mio padre che mi guarda speranzoso e aspetta la mia risposta.
Incrocio le braccia al petto: << Cinque minuti. Non di più. >>
Sorride: << Grazie. >>
Gli faccio segno di seguirmi e lo conduco in camera mia.
Chiudo la porta e quando mi volto verso di lui, lo scopro ad osservare le foto che tengo appese alla parete e quelle sulla scrivania.
Osserva quella in cui siamo state fotografate io e mia nonna al parco giochi, avevo cinque anni. Ricordo quel giorno. Era venuta a prendermi a scuola; non volevo tornare a casa, così ebbe l'idea di portarmi al parco giochi. Passammo tutto il giorno fuori.
Poi guarda la mia foto appena nata, nell'incubatrice. Avevo il braccialetto di mia madre.
Ero piccolissima, così piccola che se solo adesso mi capitasse tra le mani una bimba così piccola, avrei paura di prenderla in braccio per paura di farla cadere, o farle male.
Infine guarda la foto di mia madre; ero ancora nel suo pancione quando è stata scattata.
Ne ho viste tante altre di foto; mia nonna mi ha detto di scegliere quale volessi tenere con me. Questa è la mia preferita. Siamo io e lei, insieme.
Noto gli occhi di mio padre alla visione di quella foto.
Vedo un pizzico di nostalgia nei suoi occhi, pentimento.
<< Era bellissima tua madre. Le somigli molto, sai? >> dice.
<< Me lo dicono spesso. >>
Annuisce e dice che è la verità, che sono la sua fotocopia.
<< Perché l'hai lasciata quando hai saputo che aspettava me? Perché l'hai lasciata sola? Perché l'hai abbandonata? Perché ci hai abbandonate? >> dico tutto d'un fiato. Sono proprio curiosa di sapere cosa dice.
Sospira, strofina le mani e abbassa lo sguardo a terra: << Ho avuto paura. Eravamo così giovani ed è successo tutto così in fretta. Non ero pronto a diventare padre a ventitré anni. >> spiega.
<< Un figlio è una responsabilità. >>
Annuisce. << Lo so. Proprio per questo mi sono spaventato. Era una responsabilità troppo grande, non sarei stato in grado di... >>
<< Quindi hai deciso di fare il codardo e lasciarci sole. >> lo interrompo. Sospira ancora una volta e annuisce.
<< Mi dispiace. >>
<< Sapevi che la mamma era
morta? >> chiedo.
Annuisce ancora. Non sopporto quando non mi risponde e si limita ad annuire.
<< Voglio sentirtelo dire. Dimmi cosa hai pensato. >>
<< Quando ho saputo mi sono pentito all'istante di quello che avevo fatto. Amavo molto tua madre, ma come ti ho detto non ero pronto e... >>
<< E hai deciso di fare il codardo e andartene. >> lo interrompo ancora dandogli ancora del codardo. Perché questo è quello che è.
Resta in silenzio.
<< Cosa hai fatto quando hai saputo della mia nascita e della morte della mamma? Come lo hai saputo? >>
Voglio risposte. Adesso che ce l'ho qui davanti a me, posso finalmente sapere perché non ha mai voluto conoscermi, e perché lo ha fatto solo adesso.
<< Il mio migliore amico che era anche il migliore amico di tua madre. È stato lui a dirmelo. >> spiega.
Incrocio le braccia al petto: << Cosa hai fatto? Come hai reagito alla notizia? >>
<< Ho urlato come il pazzo, spaccato tutto. Amavo tua madre, ma... >> fa una breve pausa, probabilmente aspetta che gli dica ancora una volta che è un codardo, ma non lo faccio.
<< Sono stato talmente codardo da lasciare che la paura si impossessasse di me, facendomi fare un unico grande errore. Abbandonarvi. >>
Mi vengono le lacrime agli occhi e lui viene ad abbracciarmi, ma mi allontano.
<< Non devi toccarmi. >> sbotto.
<< Ti prego. >> dice con voce rotta, adesso anche lui ha le lacrime agli occhi.
<< Perché adesso? Perché non prima? Perché mi hai cercata solo adesso? Cosa vuoi da me? >>
<< Conoscerti. >>
Scuoto la testa. << Io non voglio. >>
<< Ti prego Alexa. Così mi fai del
male. >>
Non posso crederci...
Scoppio in una sonora risata, ma non divertita. Io davvero non riesco a credere come faccia a dire che così facendo gli faccio del male, quando è stato lui il primo a farlo a me. Mi ha fatto del male ignorandomi fin dalla nascita, e ora che finalmente la mia vita stava prendendo una piega diversa grazie alla presenza di Ryan, si fa vivo dicendomi che vuole conoscermi.
No. Non può dirmi questo. Non può venire qui a casa mia a dirmi che gli faccio del male se rifiuto un suo abbraccio.
<< Sei ridicolo, patetico. Voglio che rispondi a questa domanda, poi voglio che tu te ne vada. >> dico seccata.
Fa un passo avanti e io uno indietro: << Ti ho detto che non devi toccarmi. Adesso rispondi. Perché sei venuto a cercarmi solo adesso? Perché vuoi conoscermi? Cosa ti ha fatto cambiare idea? >>
Prende aria nei polmoni e poi la caccia via lentamente. Resto a fissarlo in silenzio con le braccia incrociate al petto.
<< Il rimorso. >>
Serro la mascella.
<< Io... Ho... Due figli. >>
Mi fa rabbia sentirglielo dire.
Si guarda le mani, poi alza gli occhi su di me: << Vorrei che tu li
conoscessi. >> dice come se nulla fosse.
Gli rido in faccia. Non farà sul serio?
<< Vorrei che tu li conoscessi, conoscessi mia moglie ed entrassi a far parte della nostra famiglia. >>
Lo guardo sconvolta. Davvero non si rende conto di quello che dice?
<< Dici sul serio? >> sposto il peso da una gamba all'altra e dal petto, sposto le braccia lungo i fianchi e poi le mani su di essi.
Mi guarda dritto negli occhi e annuisce sicuro.
<< Non posso crederci. >> dico infastidita.
<< Sei contenta? >> chiede.
Inarco un sopracciglio non sapendo che pensare di quest'uomo che mi sta davanti, di cui pensandoci bene, non conosco nemmeno il nome. Ma cosa vuoi che mi importi del nome dell'uomo che ha abbandonato me e mia madre lasciandoci alla nostra sorte...
<< Contenta? Mi chiedi se sono contenta? Fai sul serio? >>
Mi guarda allibito. Come se avessi detto che il cane della nostra vicina di casa ieri mi ha parlato della sua vacanza al mare in compagnia dei suoi cugini.
<< No! Non lo sono. L'unica cosa che voglio è che tu risponda alla mia domanda e te ne vada per non tornare mai più! >> la mia voce è stridula. Non mi riconosco.
<< I tuoi fratelli sono emozionati all'idea di avere una sorella. >> dice.
<< Se le circostanze fossero state diverse, forse... Forse si. Ma così no. >>
<< Capisco, ma lascia solo... >>
<< Perché solo adesso? Perché mi hai cercata solo adesso. Rispondi. >> lo interrompo. Sto perdendo la pazienza. Insiste e io non sopporto quando insistono con me. La mia decisione è una: non lo perdonerò mai per quello che ha fatto a me e alla mamma.
<< Perché?! >> quasi mi fa male la gola per quanto sto urlando.
Mia nonna bussa alla porta aprendola leggermente e chiedendomi se va tutto bene. Le sorrido e le chiedo se può lasciarci soli. Lei capisce che non voglio essere disturbata, annuisce e se ne va richiudendo la porta.
<< Ti voglio davvero bene. >>
Torno a posare gli occhi sull'uomo che se ne sta di fronte a me e ha ripreso a parlare.
<< Non cambiare argomento. Voglio una risposta. >>
Le braccia che teneva incrociate al petto, le lascia cadere penzoloni lungo i fianchi. Curva le spalle e mi guarda con occhi tristi, ma io non ci casco. Non mi interessa se sia pentito o meno; non lo perdono. Adesso voglio sentire cosa ha da dirmi, poi deve andarsene per non tornare mai più.
Resto in silenzio in attesa che cominci con il suo racconto - sperando che non siano menzogne - mentre lui vaga con la mente, probabilmente in qualche lontano ricordo.
<< Come ti ho detto, quando tua madre mi ha detto di aspettare te, sono andato nel panico. Ero... Eravamo troppo giovani per un bambino. >> fa una pausa e in quel breve tempo in cui non parla, mi guarda attentamente, gli occhi lucidi.
<< Io le proposi l'aborto. >>
Mi porto le mani alla bocca e spalanco gli occhi. Questo me lo fa vedere ancora in modo più orribile ai miei occhi.
Adesso anche io ho gli occhi lucidi.
<< Tu avresti davvero permesso che lo facesse? >> chiedo.
Annuisce lievemente, pieno di vergogna.
<< Sei... >>
<< Tua madre non l'ha fatto. Non ha voluto. Ti amava già con tutto il cuore. Non lo avrebbe mai fatto. >> mi interrompe.
Mia madre. L'unica che davvero mi amava adesso non c'è più.
<< Scommetto che per te ero un peso, vero? >>
Annuisce. << Lo ammeto. Ma cerca di capire. Ero un ragazzo; troppo giovane per un figlio. Io volevo solo tua madre, non te. >>
Quest'ultima frase mi spezza il cuore.
<< Ce l'hai un cuore? >> dico.
<< Temo proprio di sì. >>
<< Vuoi bene ai tuoi figli? Hai mai voluto che tua moglie abortisse? >>
Scuote la testa: << No! Mai! >>
<< Perché io si? >>
Fa spallucce: << Te l'ho spiegato. >>
<< Non mi basta. >>
<< Alexa... >>
<< Vai avanti. >> Lo interrompo. 
Voglio che mi spieghi quello che voglio essere spiegata e poi voglio che sparisca per sempre dalla mia vita.
<< Quando mi ha detto che non l'avrebbe mai fatto, che non avrebbe mai abortito, le ho detto che non volevo avere più nulla a che fare con lei, e che non volevo sapere nulla di te. >>
È senza speranza. Come può credere che gli perdoni tutto questo? Come?
<< Poi? >> incrocio le braccia al petto e comincio a camminare avanti e indietro per la camera mentre lui se ne sta fermo con le spalle al muro.
<< Mesi dopo, quando seppi della tua nascita e della sua morte, mi sono pentito di tutto. Avevo commesso un enorme errore, e non potevo tornare più indietro. Era tardi ormai. >> dice con voce strozzata.
<< Forse per la mamma era tardi. Forse a lei sarebbe andata così anche se ci fossi stato tu con lei, ma potevi prendere me con te. E non l'hai
fatto. >>
Scuote la testa e si guarda ancora una volta le mani, << Sapevo perfettamente che i tuoi nonni non mi avrebbero permesso di avvicinarmi. Così ho evitato. Sono comunque un codardo, lo so. Avrei potuto tentare, lo so. È stata la mia codardia a bloccarmi. Mi dispiace. >> dice alla fine.
<< Ora cosa ti ha spinto a fare quel passo che non sei riuscito a fare anni fa? >>
<< I miei figli. Un giorno li osservavo mentre giocavano. Erano così felici. Mi sei venuta in mente tu. Ho pensato che magari sarebbe stato bello avere tutti i miei figli insieme. >>
<< Non sono tua figlia. >> ribatto.
Lui scatta. Alza la testa e mi guarda come a dire: "cosa stai dicendo?"
<< I figli sono di chi li cresci. Tu non ci sei mai stato. Non hai assistito ai miei primi passi, non sai qual'è stata la prima parola che ho detto. Non mi hai accompagnato al mio primo giorno di scuola, alle recite scolastiche, non mi hai mai aiutato con i compiti, non mi hai mai consolato perché magari avevo litigato con la mia migliore amica e ci stavo da cani. Non mi sei stato vicino quando ho cominciato a frequentare brutti giri che mi hanno portato sulla cattiva strada. Non eri con me per spiegarmi che non era quella la vita che dovevo desiderare per me. Non eri con me quando sono stata costretta ad andare in una clinica per alcolizzati per sei mesi. Non eri con me quando la notte piangevo nel piccolo scomodo letto di quella stupida stanza che tanto odiavo; odiavo quella stanza e piano ho cominciato ad odiare anche me stessa per ciò che avevo fatto. Non eri con me quando sono uscita di lì mentre tremavo come una foglia perché mi faceva paura tutto. Ormai tutto quello che era al di fuori di quelle mura mi faceva paura. Ho vissuto i primi giorni con il terrore di ricadere nei miei brutti vizi, anche se fingevo che tutto andasse bene. Non eri con me quando sono ritornata a scuola e tutti mi voltavano le spalle perché sapevano cosa avevo fatto. Non c'eri. Nei miei giorni tristi e nei miei giorni felici tu, non c'eri. Non ci sei mai stato. Pensi che possa perdonare la tua infinta assenza? >>
Ha la testa bassa, poi alza il viso e trovo i suoi occhi lucidi, le guance rigate da infinite lacrime.
Scuote leggermente la testa: << So benissimo che non potrai mai farlo. Credimi, lo so. Nemmeno io lo farei. Non mi perdono nemmeno io per quello che ho fatto. >>
<< Non puoi venire qui e chiedermi di entrare a far parte della tua famiglia, della tua vita come se niente fosse. >>
Abbassa di nuovo la testa: << Okay. >>
Sospiro. Lui sempre a testa bassa si conta e cammina verso la porta.
<< Quanti anni hanno? >> chiedo.
Lui si ferma e piano si volta: << dodici e tredici. >> dice decisamente sorpreso dalla mia improvvisa domanda.
<< Si chiamano Berry e Logan. >>
Annuisco.
Restiamo qualche secondo in silenzio a guardarci: << Mi sarebbe davvero piaciuto che vi conosceste. Ma a quanto ho capito, tu non vuoi avere niente a che fare con me e con tutto ciò che mi riguarda. >>
Annuisco e lui si volta amareggiato.
Esce chiudendo la porta alle sue spalle, e quando resto sola, mi lascio cadere sul letto. Respiro profondamente.
Non posso credere. Anni di silenzio, e ora conosco tutto. So tutto quello che ha passato mia madre per quel bastardo di mio padre. Ha dovuto provare dispiacere per la sua proposta di aborto, il suo abbandono, per poi morire.
<< Eri in gamba mamma. Adesso lo so. Eri davvero una donna in gamba. >> dico guardando il soffitto della mia camera distesa a pancia in su sul letto.

Sei l'errore che rifarei{COMPLETA}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora