Credevo fermamente che niente, da quel preciso momento in poi, avrebbe mai potuto rivelarsi significativamente peggio di entrare in quella chiesa con il velo bianco ad annichilirmi la testa, una fede al dito socialmente distruttiva a schiacciarmi il dito solo venti minuti dopo, indubbiamente i più tristi venti minuti della mia vita, o, almeno, quelli che mi erano sembrati i più tristi e struggenti, e con tanto di crisi esistenziale precoci e perennemente deprimenti ad infestarmi la vita dopo che tutto, veloce come era iniziato si era poi magicamente concluso con un bel giuramento eterno a morte, Mama Elsa che piangeva lacrime sincere di gioia e io che piangevo lacrime sincere di disperazione e malcontento internamente. Si, definitivamente avevo fermamente creduto che niente avrebbe potuto superare in termini di panico logorante quel supplizio cerimonioso chiamato matrimonio, e si, definitivamente mi ero totalmente sbagliata ad averlo creduto.
Il taglio della torta nuziale era stato, se possibile, ancora peggio. Non lo era per la frivola ipocrisia che dilagava e mi girava intorno come un fumogeno, non lo era stato per la mia ennesima decapitazione sociale e visiva a diretto beneficio degli occhi voraci di ogni singolo schizzinoso detrattore presente e di ogni singola amante, o probabile futura amante, presente. Non lo era stato per il panico stordente che mi aveva colpito nel dover legare la mia vita e le infrangibili barriere in cemento solidificato della mia indipendenza e libertà emotiva ad un processo continuo di irritanti e indesiderate obbligazioni e ritorsioni. No, non lo era stato per quello. O, non per quel tipo di panico, almeno.
Il panico che mi aveva scosso le viscere quando la mia mano si era unita per il tempo necessario a quella di Linda durante il taglio della torta, assomigliava nettamente di più alla degradante corrente elettrica che mi attraversava, vertiginosa, la schiena ogni fottutta volta che una parte del mio corpo entrava in contatto con una del suo. Volontariamente o involontariamente che fosse. Quel panico elettrico aveva avuto il medesimo sapore e la stessa brutale percezione di brividi caldi e di una eccitazione istantanea di quando, in precedenza e per la breve durata di appena cinque secondi, una sua mano affusolata si era poggiata su una mia spalla nuda davanti alla faccia interdetta di Mama Elsa. Andando a ritroso, non sapevo davvero dire se era stato più terrificante questo, il tacito panico da rifiuto totale di quell'ennesima e proverbiale scossa, o se invece lo era stata la perdizione malata di quel prolungato contatto esclusivamente visivo in cui mi era caldamente sembrato che le nostre anime tormente volessero ossessivamente risucchiassi e specchiarsi a vicenda.
La mia rabbia e la mia indignazione verso quella donna psico labile e verso me stessa per permettergli, involontariamente ma puntualmente, di attraversare le mura rigide del mio controllo emotivo cresceva di pari passo con il numero di volte che quelle sensazioni inquietanti riuscivano a sporcarmi il cervello e ad entrarmi nelle vene. Un numero di volte superiore a quello che credevo, evidentemente. Le mie mura, nonostante gli anni in cui erano sempre risultate semplicemente invalicabili, a giudicare dagli ultimi disdicevoli, intollerabili avvenimenti recenti avevano decisamente bisogno di una doppia fortificazione in extremis.
E sicuramente questo non equivaleva ad evitare, ma ad attaccare, sedurre e divorare.Durante gli applausi imbarazzanti e tutte le felicitazioni, altrettanto imbarazzanti e deprimenti del caso, mi era stato impossibile non notare gli occhi bassi e di un grigio spento e sofferente di Samantah che, dalla sua posizione defilata, dietro tutte le altre cameriere, non era riuscita palesemente a mantenere e patire il peso dell'intera scena davanti a lei. In molte, ospiti e personale di sesso femminile, avevano assistito al degradante e inevitabile taglio della torta con una vivida contrarietà e gelosia ad animargli le facce indispettite. Ma quella di Samantah, di faccia, non era solo indispettita, non appariva solo gelosa o stizzita. Appariva davvero e sinceramente annientata. Era stato talmente evidente che il buon Alfredo, con la consueta galanteria e nonostante le circostanze contrarie, non aveva potuto trattenersi dall'avvicinarsi a quegli occhi grigi, vuoti e vacui per poggiare con premura una sua curata mano guantata sulla spalla della giovane cameriera, nel chiaro intento di trasmettergli almeno un minimo di consolazione desolata e conforto umano.
Mi faceva pena vederla in quello stato, mi lanciava in uno strano vortice di compassione per quello che aveva da sempre dimostrato di provare, per quello che aveva da sempre e quotidianamente dovuto sopportare.
Niente che qualche orgasmo di indubbia qualità non avesse potuto risolvere, ovviamente. Con Samantah era sempre così, la tristezza e la gelosia succube che gli aleggiava nello sguardo quando, per puro caso, mi intravedeva in dolce compagnia di qualcun'altra, svaniva come un fulmine a ciel sereno e lasciava posto, poi, ad un aperto sorriso malizioso e lascivo non appena richiedevo successivamente le sue di dolci attenzioni. Quel sorriso glie lo avrei restituito anche questa notte stessa se non fosse che, per questa notte, erano decisamente altri i nuovi e invitanti progetti che avevo in serbo per me stessa. Per me stessa e non solo.
L'attraente mora che mi aveva amabilmente provocata in precedenza, offrendomi praticamente su un piatto d'argento le sue accattivanti grazie, non si era certo lasciata sfuggire l'occasione di tornare prontamente alla carica per rinnovare ancora di più, se possibile, il suo passato e già palese invito. Nonostante il momento del famigerato taglio della torta nuziale, nonostante la presenza di Linda di fianco a me e quella dei suoi nobili genitori accanto a lei, ogni qual volta che il suo sguardo languido aveva incontrato "casualmente" il mio, la ragazza evidentemente amante del rischio non si era posta il minimo problema a lanciarmi dei chiari e inconfondibili segnali e messaggi subliminali di ogni sorta.
Ancora più del pericolo stesso, adoravo intensamente chi quel pericolo se lo andava a cercare e rincorre almeno quanto me.
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Turbid Obsession (Camren)
Fanfiction"Non poter fare a meno di qualcosa non significa che la possediamo, ma che ne siamo posseduti."