Dopo due lunghe rampe di scale e dopo aver percorso infiniti corridoi disseminati di stanze, una volta raggiunta la sala da pranzo principale non mi sono trovata davanti esattamente il tipo di spettacolo eccessivamente vistoso che mi aspettavo. Un piccolo tavolo tondo di vetro, con un massimo di tre sedie, posizionato in un angolo in disparte, era stato apparecchiato alla perfezione. Considerando le dimensioni del tavolo in mogano da quaranta sedute al centro dell'ampia sala, quello piccolo in vetro sfigurava nettamente in confronto. Non lo avevo mai notato prima, e non fosse stato per come era stato apparecchiato, con un gusto semplice ma elegante, avrei continuato a non notarlo, a non farci caso, a non prestargli la minima attenzione.
Adesso, con un vaso antico di girasoli appena colti posizionato al centro, un pregiato servizio da the in argento e due carrelli ai lati con ogni genere di dolce sopra e due caraffe colme di caffè caldo e spremuta d'arancia appena fatta, quel piccolo tavolo, altrimenti insignificante rispetto alla grandezza di tutto il resto, risaltava agli occhi come un diamante grezzo in mezzo ad un mucchio di spazzatura. Messo in quel modo faceva stranamente passare in secondo piano lo spropositato tavolo principale.Immaginando che questa colazione a due fosse tutta opera solo ed esclusivamente di Elsa, ero stata portata a pensare che avrebbe fatto preparare per l'occasione il tavolo da quaranta sedute. Anche se, molto probabilmente, ad accomodarci saremmo state solo in due. Solo io e Lauren.
Avendo visto quanta premura e impegno aveva inutilmente messo per questo matrimonio, e quanta continuava a mettercene, non mi sarei aspettata niente di diverso.
Una volta tanto potevo ritenermi un minino soddisfatta per aver sbagliato le mie previsioni.
Per qualche motivo mi ero sentita sollevata nel rendermi conto che, in questo caso, la particolare inclinazione per gli eccessi di Elsa e la sua evidente ossessione per il perfetto funzionamento di questa nuova unione coniugale non fossero inaspettatamente subentrate.
Quella donna iniziava a farmi davvero pena. Considerava davvero Lauren come una figlia. Tutto ciò che voleva era solo vederla felice. Lo percepivi, lo potevi quasi respirare con quanta intensità, con quanto amore voleva questo per lei. Indubbiamente lo voleva più di quanto non lo avesse mai voluto Lauren stessa.
Sperava di vederla trovare finalmente quella pace che sembrava non avere mai avuto.
Credeva che avrei potuto essere io quella pace interiore, Quell'equilibrio, quella chiave di volta. Io e questo matrimonio, io e il vincolo stretto che ora comportavo ufficialmente per Lauren.
Di certo Elsa non credeva che in questo modo non stava facendo altro che condannarla la sua adorata figlia acquisita. Non stava facendo altro che aiutare me a spingerla lentamente in un baratro profondo, senza fine. Uno realmente tormentato, uno di cui non poteva avere il controllo. Gli sarebbe sfuggito e gli sarebbe piaciuto, l'avrebbe fatta tremare di continue contraddizioni e sarebbe arrivata a pensare di impazzirne senza recupero. Un baratro realmente nero, un baratro realmente degenerativo.
Così, almeno, accadeva sempre. Così, almeno, era sempre accaduto a tutti quelli che avevo portato a sperimentarlo, a caderci rovinosamente dentro fino al collo.
Lauren era diversa, con Lauren sarebbe stato del tutto diverso.
Ci pensava la sensazione patetica e contorta che in quel dannato baratro, a più riprese, con ogni nuova tacca di odio, con ogni nuova scarica di desiderio primitivo, in realtà mi ci stava trascinando gradualmente lei. Fin dentro le ossa.
Era una sensazione nuova, era triste, era terrificante e incomprensibile.
Non sapevo come gestirla, avrei dovuto imparare a farlo. Per forza, necessariamente. O me, o lei.
Volevo togliergli tutto, volevo togliergli il respiro. Volevo i suoi soldi per Carlos, volevo il suo cuore dilaniato per me. Per tutti i pensieri molesti, sempre più ossessivi, a cui lei aveva espressamente dato la vita dentro di me, io volevo dare una lenta e sofferta morte a tutti i suoi. Volevo spegnerli. Non lo volevo, onestamente. onestamente, lo pretendevo e basta.
Non riuscivo proprio a capacitarmi di come Una donna buona come Elsa fosse arrivata al punto di maturare un tale affetto verso una cagna sadomasochista come Lauren. Complessa, problematica e tossica come Lauren. Più ci riflettevo, meno lo concepivo.
Magari la risposta era semplicemente nel fatto che, a giudicare da come mi aveva apertamente accolta fin dal primo istante e a braccia decisamente aperte, una donna buona e ingenua come lei avrebbe potuto volere bene perfino ad una come me. Un cancro altrettanto nero, altrettanto cancerogeno.
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Turbid Obsession (Camren)
Fanfiction"Non poter fare a meno di qualcosa non significa che la possediamo, ma che ne siamo posseduti."