Capitolo 28 (terza parte)

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Il resto della serata era passato relativamente tranquillo. In maniera apparentemente pacifica e dal percorso liscio, privo di spigoli, contrattempi o ingombri ad un occhio esterno, per occhi esterni, ma in maniera diametralmente differente per me, per i miei di gusti e per i miei di occhi.
Altalenante, indisponente, contorto, inquietante e sofferta. Con molta probabilità erano proprio questi gli aggettivi migliori con cui mi sentivo di etichettare io quella che era stata la mia maniera di osservare e percepire gli avvenimenti che erano seguiti al mio precario sotto specie di confronto non confronto con Lauren. I migliori, senza ombra di dubbio alcuno e i più adatti e calzanti.

Dopo la scenata sotto forma di ramanzina, la scenata sotto mentite spoglie, il fatidico e ritardatario momento della cena condivisa non era stato altro che un susseguirsi di scosse impietose e altamente mortificanti al mio centro del piacere torturato, evidentemente sotto quella che era diventata un assidua e instancabile tortura, intervallate a scariche ma cariche di adrenalina e rabbia pura. Energiche ventate gelide di possesso e bile in fermento per non poterlo rivendicare come tale quel possesso stesso, quella spietata morsa esclusiva e sconosciuta alla bocca dello stomaco. Una tormenta di ghiaccio che mi aveva dato la netta sensazione che mi imperversava nel cervello, che mi sferzava sulla faccia in via di ibernazione.
Il medesimo bisogno immediato di espellere un copioso fiotto di bile dalla gola che aveva avvertito Lauren nel sentirmi riconoscere da qualcuno e pubblicamente come sua moglie era quasi per certo lo stesso che mi ero ritrovata ad avvertire io nel sentire il proseguo di flirt maliziosi e deliberati tra lei e Carlos tra un bicchiere di pregiato vino rosso e l'altro, nell'assistere impotente al loro amoreggiare ammiccante tra una portata raffinata e l'altra.
Che il vino fosse pregiato lo avevo potuto constatare anche con il mio di palato, oltre che con l'ausilio della mia vista lunga quando mi ero accidentalmente sporta a leggere la fortunata annata scritta sulle bottiglie, che le varie portate fossero di alta qualità e deliziose, degne dei migliori cuochi e delle migliori cucine, lo avevo potuto solo immaginare dal momento che il mio palato in quel caso non aveva potuto saggiarne il gusto e accreditare con certezza la perfetta prima impressione con cui si presentavano. Quella morsa ostica alla bocca dello stomaco non me lo avevo solo stretto, me lo aveva anche irrevocabilmente chiuso per tutta la sera. Per quanto mi fossi sforzata di portarmi alle labbra anche solo un boccone di qualcosa per non fare la figura della maleducata di turno e per non dare adito di poter pensare che il cibo non era di mio gradimento, non c'era stato verso per me di riuscire ad arginare il turbine di intolleranze che mi aveva inquietata nel profondo, non c'era stato verso per me di scacciare quel fiotto insistente di bile o di riuscire a concentrarmi su altro che non fosse il continuo rimbombo di botta e risposta velatamente viziosi tra quei due nel vano tentativo di farmi tornare almeno un minimo di appetito.
Qualunque cosa avessi messo sotto ai denti non sarebbe comunque stata la sola che in quel preciso istante avrei tanto voluto ritrovarmi a masticare con vero piacere: una un pezzo di carne di Lauren piuttosto che un pezzo dell'arrosto ripieno o dello spezzatino speziato. Il piatto che ero certa avrei davvero gradito, che ero certa che i miei denti si sarebbero davvero apprestati con delizia autentica nel masticare: una delle sue dita. Una di quelle che mi avevano fatta dannare di desiderio quando ci aveva succhiato via in quel modo procace, rovinosamente allusivo i residui sdegni della mia saliva da sopra, sotto, intorno, a sinistra e anche a destra in ogni infinitesimale spazio esistente. Ovunque. Ne avrei fatto il mio pasto atto a saziarmi se solo avessi potuto, se solo ne avessi avuto l'invitante possibilità. Gli avrei strappato a morsi l'alluce o l'indice indifferentemente, indipendentemente. Quelle sue due dita mi avevano fatta dannare allora, da sole, di umiliante desiderio siderale e avevano continuato anche dopo, davanti a Carlos, con Carlos presente, a infestarmi e annebbiarmi la mente di pensieri che definire immorali, sessualmente deprecabili e spinti, esenti da qualsivoglia etica morale era poco, era dire poco.
Ogni volta che si avvicinavano anche solo di poco alle sue labbra senzienti per portargli e accompagnargli il calice di vino, ogni volta che quella labbra senzienti si schiudevano per accogliere il liquido alcolico in prossimità di quelle sue dita maledette oltre che poggiarle sul bordo del bicchiere, le immagini nitide e a doppio senso di quello che aveva fatto dopo la mia strigliata di capelli senza esito positivo ritornavano a infestarmi come un treno che deragliava in corsa. Ritornava il ricordo fisicamente spossante di ogni movimento lascivo che avevano compiuto nei meandri più profondi del suo palato, ritornava il ricordo altrettanto difficile da ignorare di ogni movimento che poi aveva invece compiuto la sua vellutata lingua su di loro. Ritornavano quelle visioni passate a rovinarmi il cervello e a farmi tremare di voglia repressa le membra, ritornavo involontariamente ma inevitabilmente io a quel passato recente di appena un paio di ore fa e le scosse palpitanti di cui avevo parlato mi trapassavano fino ad arrivare direttamente alle mie mutande per bagnarmele. Anche quelle, ancora una volta anche quelle di mutande rovinate dallo stesse truce destino che era capitato alle precedenti.

Turbid Obsession (Camren)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora