capitolo 38

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Le tempie non le sentivo più. Quello che vedevo mi sembrava senza senso, mi sembrava estraneo. Ero consapevole di essere sul mio letto, nella mia camera, con il peggior post sbronza che avessi mai sperimentato. La testa ancora mi girava, tutto girava. La sensazione era ancora quella di stare sulle giostre mentre un obnubilato vortice mi risucchiava le meningi. 
Ma nonostante il dolore alla testa, nonostante il vortice che mi impediva di mettere bene a fuoco, ero piuttosto sicura che non era quello né il luogo né il letto in cui sarei dovuta risvegliarmi questa mattina.
Di quanto accaduto la scorsa sera avevo ricordi frammentati e frammentari da un certo punto in poi, sprazzi e squarci di luce solitari che si andavano via via a trasformare in un unico enorme buco nero ora che mi stavo sforzando di ripercorre la successione degli eventi. L'ultimo ricordo sufficientemente lucido e vivido che avevo era di quando gli ero venuta in bocca durante l'ultimo obbligo cui l'avevo sottoposta. Comprensibile considerano il momento particolarmente "euforico" che mi aveva fatto vivere. Così come era comprensibile che a furia di dieci secondi con le mie mani a punire il suo corpo e la sua bocca a deliziare il mio sesso, alla fine sarei finita con il raggiungere il mio apice del piacere nonostante il tempo limitato e le varie interruzioni tra un contatto fisico e l'altro.
Anche quello non sarebbe  dovuto succedere, tra parentesi. Avevo imposto io stessa quel limite temporale di "divertimento" proprio per preservarmi per quello che mi ero augurata ci sarebbe stato dopo. Quel dopo che, evidentemente, chiaramente, non c'era neanche stato. Non dal momento che non mi ero risvegliata nemmeno nel suo letto come avrebbe dovuto essere, ma bensì mi ero risvegliata nel mio. Come e perché si era arrivati a quello, poi, non mi era dato saperlo. Come era avvenuto il passaggio indesiderato dalla sua camera alla mia rappresentava un enorme vuoto pregno di confusione.
Da quando avevo iniziato a bere in quel modo, senza controllo, era stata una rapida ascesa verso l'auto distruzione. Praticamente, mi ero rovinata con le mie stesse mani sabotandomi da sola quella che con ogni probabilità era stata una delle mie ultime, preziose occasioni. Quella amara e deprimente consapevolezza stava bastando a farmi prudere le mani. Malgrado mi sentissi ancora mezza intontita, anche se il dolore pulsante alle tempie mi stava già abbondantemente castigando per il modo in cui avevo perso il controllo rovinando tutto, mi sarei presa volentieri a schiaffi da sola in questo preciso istante se solo ne avessi avute le forze.
Mi sentivo a pezzi, oltre alle fitte alla testa anche i muscoli erano particolarmente indolenziti. Era piuttosto ironico considerando che, fino a dove la mia memoria offuscata era riuscita a recuperare i tasselli, se non ricordavo male era stata Lauren quella ad essere stata fisicamente bistrattata per tutta la sera.
La verità era che la sua menzione a quel maledetto momento che avevo fatto tanto per cancellare, quello i cui assoluti protagonisti erano stati lei e Carlos e non io e lei, mi aveva portata a sentire come impellente l'impulso istintivo di voler staccate il cervello per un po e, mi ero detta, quale modo migliore di farlo se non usufruendo della mai tanto provvidenziale presenza di quel whisky. I bicchieri che mi ero trascinata dietro, alla fine, non erano neanche serviti. Io mi ero attaccata ad una bottiglia e Lauren all'altra in un circolo tossico fatto di generose sorsate ripetute che a me, proprio a me, mi avevano condotta dritta dritta verso il baratro dell'incoscienza. Era stata lei che per poco non aveva avuto un quasi attacco di cuore, ma ero stata io quella a non reggere il colpo, quella a perdere il controllo di sé e della situazione. L'unica soddisfazione che mi portavo dietro della nottata trascorsa era il poter dire di avergli fatto pagare con gli interessi quella morsa arrovellata di gelosia tramite i miei obblighi, tramite tutti quegli adorabili segni territoriali che gli avevo lasciato sul corpo.
L'unica soddisfazione, si, perché per il resto era stato un totale disastro.
Ne ero uscita a mani vuote e con una sbornia che mi stava facendo sentire più morta che viva, più ad un passo dalla tomba che uno intento a farmi alzare dal letto.
Quando aveva iniziato a farmi quella sequela di domande stupide e insignificanti avevo capito che aveva capito, avevo capito che non mi avrebbe più dato modo di rigirarmi il gioco per espormi, farla esporre e metterlo su un piano anche emotivo. Mi era stato chiaro che aveva trovato un sistema per scansarmi, per scansare ed evitare me e i sentimenti che avrei voluto continuare a rovesciargli addosso come lava bollente per ricavarne indietro i suoi, o, per meglio dire, quelli che da un po di tempo mi auguravo con il cuore che fossero anche i suoi. Mi era stato chiaro quello e mi era stato chiaro il fatto che avrebbe continuato imperterrita in quel modo anche a costo di risultare una totale idiote considerando quanto erano state prive di senso e vergognosamente evitanti le sue domande successive. Talmente ovvio che, se ci ripensavo adesso a mente semi lucida, mi appariva quasi imbarazzante. allora avevo avuto la lucidità necessaria per intuire il suo meccanismo di evitamento e difesa, ma non avevo avuto quella di controbattergli come avrei dovuto a causa del wishky. La verità era che era stato un meccanismo infantile ma comunque efficace il suo, perché le condizioni in cui io stessa mi ero ridotta gli avevano permesso di renderlo tale. La verità era che si, mi ero davvero fottuta con le mie stesse mani alla fine di tutto.
Per riempire quel vuoto di memoria da un certo punto in poi avrei dato di tutto, il terrore reverenziale di aver aggravato la mia situazione oltre che a non averla migliorata neanche di una virgola si stava prepotentemente svegliando in me. Quel terrore stava andando di pari passo con il recupero effettivo delle mie facoltà mentali ora che il dolore martellante alla testa accennava finalmente ad attenuarsi.
Era un terrore comprensibile il mio, perché potevo perfettamente vedremi cedere totalmente alla mia voglia istintuale e primitiva di lei,  buttarmi da ubriaca marcia addosso a Lauren nel bieco tentativo di fotterla con la forza o in quello ancora più bieco e umiliante di convincere lei a fottere me. Non erano possibilità tanto lontane, anzi, al contrario, erano possibilità che erano molto vicine a quella che poteva essere stata la realtà precedente alla mia perdita di controllo. Dopo tutto, in una certa misura meno consapevole e manifesta erano già accadute entrambe anche da perfettamente sobria.
Tutto quello che desideravo ora era solo sapere quello che era accaduto, ricostruire i passaggi mancanti e arrivare a come io e il mio corpo erano arrivati a terminare la nottata sul mio letto e non nel suo.
Dal cuscino accanto al mio potevo sentire un profumo famigliare, i miei sensi stavamo tornando ad affinarsi e il tipico odore di lei stava iniziando ad inebriarmi le narici. Istintivamente, tanto per essere sicuri e perché avevo improvvisamente il bisogno ossessivo di sentirlo invadermi totalmente, mi ero mossa per fare affondare la mia faccia sulla morbida superficie di quel cuscino. Avevo lasciato che il mio naso vi ci affondasse dentro proprio nel mezzo e che, in seguito, vi ci restasse per qualche secondo di troppo perché si, il mio olfatto non si era sbagliato e non era stato un brutto scherzo giocato dalla mia mente ancora lievemente annebbiata, era davvero il suo odore quello che avevo sentito e che stavo sentendo ancora più forte e chiaro impregnato su quel tessuto.
C'era il suo odore ma non c'era lei, c'era quel cuscino che sapeva di Lauren ma le lenzuola da quella parte del letto erano perfettamente sistemate, senza neanche una piega, una imperfezione, come se nessuno ci avesse mai dormito, come se fosse impossibile che lei ci si fosse anche mai adagiata sopra.
Una combinazione, due combinazioni, che non avevano fatto altro che incrementare sia i miei dubbi sulla notte passata che il mio terrore.

Turbid Obsession (Camren)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora