Anita era convinta di aver camminato per almeno un chilometro, lungo il viale alberato al di fuori della L.U.S.I.. Forse era il dolore lancinante sotto alla pianta del piede a farglielo realizzare, o forse era il respiro corto e affannato. Non ce la faceva più a seguire quell'andatura. Non se n'era nemmeno resa conto, ma per la maggior parte del tempo aveva quasi corso, scalfendo i tacchi laccati con il cemento e la polvere e sgualcendo il suo vestito di gran marca. I capelli si erano liberati dall'acconciatura ambiziosa e adesso le solleticavano le spalle, inumiditi dalla brezza notturna.
Non aveva idea di dove stesse andando. Aveva solo mosso le gambe in avanti e se n'era andata da quella festa infernale, la prima del tutto intollerabile. Aveva pianto, coprendosi il volto con le mani per non farsi riconoscere da nessuno, e aveva persino preso a calci un cestino dell'immondizia.
Adesso camminava ansimando, con la borsetta stretta nelle mani, gli occhi gonfi e lo sguardo vuoto.
Chiudendo le palpebre, riusciva ancora a sentire l'eco dello schiaffo che le aveva assestato Nadia in pieno volto. Continuava a sentirlo, come una maledizione destinata a durare per sempre. Di tutte le cattiverie che aveva fatto in vita sua, quella rinfacciata da Nadia non era opera sua. O meglio, non lo era completamente. Doveva essere successo qualcosa, nel mezzo, di cui non era stata avvertita. Ovviamente, quando aveva parlato con Mattia, aveva omesso dalle spiegazioni il nome di Cornelia Silvestre, le sue minacce e i suoi obiettivi, nonostante sapesse alla perfezione chi c'era dietro tutta quella storia.
Quello che non riusciva a capire, però, era come diavolo Mattia avesse ottenuto la sua registrazione, dal momento che era sicura al cento percento di non essere stata lei a inviarla. Cornelia era riuscita comunque a ottenere quello che desiderava, facendo separare il figlio da Nadia, ma lo aveva fatto mettendo in atto delle strategie diverse. L'aveva messa alle strette, conducendola in un vicolo cieco, e poi l'aveva fatta fuori. Come un topo in gabbia.
Ma se non era stata lei, allora chi c'era dietro? E, soprattutto, perché Cornelia avrebbe dovuto arruolare qualche altra inconsapevole persona, quando già aveva lei?
Tutte queste domande la facevano innervosire. Le innescavano quel tipo di rabbia in grado di provocare un continuo prurito su tutta la pelle. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di farla passare. Qualsiasi.
La luce di un'insegna luminosa in fondo alla via destò la sua attenzione, riportandola con i piedi per terra: si era allontanata parecchio dal campus e al solo pensiero di dover rifare tutta la strada al contrario le tremavano le gambe.
Chiuse per un attimo gli occhi e cancellò dalla testa quel pensiero: perché sarebbe dovuta tornare indietro? Forse per continuare a farsi deridere da tutti gli invitati? O magari per ricevere un terzo schiaffo da Nadia? No. Non sarebbe tornata di nuovo lì. Anche vagare da sola per la città era meglio di rimettere piede a quella maledetta festa.
Tirò fuori dalla borsa il cellulare e compose uno dei primi numeri in rubrica. Attese pazientemente, muovendosi avanti e indietro per marciapiedi. Quando dall'altra parte ripose una voce, sorrise e si passò una mano sulla fronte.
«Ehi, Penelope... Ti disturbo?»
L'amica mostrò un attimo di esitazione. «Anita?»
«Ecco, mi chiedevo se fossi libera, adesso. Sai, è stata una serata un po'...»
«Non posso. Ho da fare», replicò Penelope, bloccandola.
Anita si fermò, incredula, e aprì la bocca per modulare il tono di voce. «Che cosa? Non mi hai fatto nemmeno finire di parlare.»
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Tutto quello di cui ho bisogno
RomanceQuando Nadia ha lasciato Roma per tornare al paese natale, si è portata dietro un cuore spezzato e tanta fragilità. Dopo molte difficoltà a integrarsi in una metropoli ostica e dopo una storia d'amore finita male, le sue barriere sono crollate, lasc...