Capitolo 2.

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«Il pa-ra-di-so!» Ada sprofondò nel letto con un tonfo, dopo aver preso la rincorsa più o meno dalla porta d'ingresso dell'appartamento.

«Sì, non c'è male.» Nadia si guardò attorno, piacevolmente stupita. L'appartamento era di medie dimensioni, con due camere, una piccola sala con angolo cottura, e un bagno. Trovandosi al quarto piano, dalle finestre si riusciva a vedere tutto il circondario, dal muro di cinta dell'università all'edificio centrale, contornato da alti pini.

Guglielmo e Giordano trascinarono le valige delle figlie nelle loro camere.

«Devo ammettere che è in condizioni migliori di quanto mi aspettassi», commentò il padre di Ada, tastando il materasso del letto.

«È pur sempre un servizio offerto da un'università privata», commentò Guglielmo, circondando con il braccio le spalle di Nadia. «Alcuni privilegi vanno meritati.»

«E noi siamo in gamba», replicò con fierezza Ada.

«Mai messo in dubbio, ragazze mie.» Giordano si avvicinò alla figlia e le diede un bel bacio sulla fronte. «Per questo ci fidiamo a lasciarvi da sole. Be'... forse adesso sarà meglio ripartire, se non vogliamo ritrovarci imbottigliati nel traffico», disse poi, rivolto all'amico.

Guglielmo annuì e strinse la presa sulla figlia. Era preoccupato e teso. «Bocciolo, se hai qualche ripensamento, anche domani stesso, sappi che sarò pronto a ripartire.»

Nadia alzò gli occhi al cielo e rise. «Andiamo, papà. Non vi ho fatto fare tutta questa strada per niente!»

«Per qualsiasi problema vi chiameremo», Le diede man forte l'amica.

«Vedi, Guglielmo? Le nostre bambine ci stanno cacciando.»

Le ragazze risero e si avviarono verso la porta. Era arrivato il momento dei saluti.

Nadia abbracciò il padre, come se non ci fosse un domani. Voleva fissare quell'istante bene nella testa, perché sapeva che in futuro le sarebbe mancato, il suo supporto. «Mi mancherai.»

«Anche tu bocciolo. Mi raccomando, occhi ben-»

«Aperti. Sì, lo hanno capito anche i nostri vicini di casa, Guglielmo», concluse Ada, spingendo i due sulla soglia. Dopo schioccò un bel bacio sulla guancia del padre. «Ora dovete proprio andare, signori. Le due donne mature hanno bisogno del tempo per ambientarsi in questo paradiso terrestre.»

Giordano alzò gli occhi al cielo e si rivolse a Nadia. «Tieni a freno questo diavolo rosso, ti prego.»

«Senza dubbio.»

«Si è fatto davvero tardi.» Tagliò corto Ada, spingengo i due fuori dall'appartamento. «Fate buon viaggio e mandate un messaggio quando siete arrivati a casa!»

«È tutta sua madre. Agitata e pazza», borbottò Giordano, mentre si avviava con l'amico verso l'ascensore.

Guglielmo guardò indietro un'ultima volta, durante l'attesa. Nadia era ancora lì, poggiata al pilastro della porta 124, con uno sguardo malinconico, ma sereno. La salutò con la mano, ed entrò nell'ascensore. Poi le porte si chiusero.

***

«Finalmente sole!» esplose Ada, al settimo cielo. «Accidenti, sono più appiccicosi della resina!»

«Erano nervosi quanto noi. Bisogna essere comprensive.»

«Io non sono nervosa. Sono eccitata», la corresse, richiudendosi la porta alle spalle. «È la prima volta in tutta la mia vita che sento di stare vivendo veramente. Fare esperienze diverse, conoscere persone nuove... A proposito», si bloccò, con una mano ancora sulla maniglia. «Sono curiosa di scoprire chi abita nell'appartamento accanto al nostro. Non credi?»

«Ada, calmati.» Nadia l'allontanò dall'ingresso e la trascinò al tavolo. «Siamo appena arrivate. È tutto nuovo anche per me. Non bruciamo le tappe. E poi, queste valige non disfaranno da sole.»

«Stai minando alla mia felicità, ragazza. Sappilo.»

«Andiamo, giusto il tempo di cambiarci e mettere in ordine le cose. Poi faremo un giretto di ricognizione come vuoi tu», insistette Nadia.

Ada sbuffò e alzò le braccia al cielo. «Va bene! Ma sappi che tra due giorni inizieremo a pieno ritmo con le nostre attività, e io ho intenzione di godermi questi giorni di vacanza a pieno. E ovviamente tu mi seguirai.»

La ragazza scrollò le spalle e le ammiccò di rimando. «E chi ha detto che non voglia divertirmi anche io?»

Dopo due lunghe ore, ogni cosa aveva trovato il proprio posto nell'appartamento: i vestiti nell'armadio, gli effetti personali nel bagno e il cibo nel...

«Dobbiamo risolvere questo problema», borbottò Nadia, facendo avanti e indietro nell'angolo cucina. Aprì di nuovo il frigorifero e lo richiuse subito dopo. «Non abbiamo niente da mangiare, e io sto morendo di fame. Letteralmente.»

«Tesoro, è inutile che continui ad aprire quell'anta», sospirò Ada beffarda, mentre si pettinava con fare annoiato una ciocca rossiccia e riccia. «Il cibo non si materializzerà da solo.»

Nadia si avviò verso il divano e si piazzò di fronte all'amica. «Usciamo a fare spesa, o troviamo un bar aperto. Altrimenti mangerò te. E senza cucinarti.»

«Oh, oh, calma!» Scherzò Ada. «Non mi sono fatta quattro ore di macchina per diventare cibo per cannibali. Che ne dici di andare a chidere aiuto ai nostri vicini di casa? Saranno anche loro studenti del Campus, e sicuro ne sapranno più di noi dell'università.»

Nadia ci rifletté su. «Ada, siamo impresentabili», s'indicò. Aveva i capelli raccolti in una coda disordinata, il volto stanco dal viaggio e dal trasloco e i vestiti che ormai avevano perso ogni piega.

«Allora non hai così tanta fame.» L'amica mise su la faccia tosta e tornò a occuparsi dei suoi effetti personali in camera.

Nadia sospirò abbattuta e raggiunse Ada nella sua stanza. «D'accordo, d'accordo! Andiamo dai vicini. Penseranno che siamo delle poveracce, ma forse così potremo impietosire il loro lato umano.»

«Non partire prevenuta.» Ada la fulminò. Si piazzò di fronte allo specchio e mise in ordine i capelli ricci. «Non siamo poi conciate così male, poi.»

Nadia la guardò titubante, e prima di uscire di casa tirò via l'elastico che le raccoglieva i capelli, lasciandoli scivolare sulla schiena. Passò davanti allo specchio e represse un moto di stizza.

Fantastico, adesso sembrava una barbona sopravvissuta all'uragano Katrina.

Fuori dall'appartamento c'era un piccolo pianerottolo: di fronte a loro era stazionato il moderno, quanto comodo, ascensore, mentre sulla sinistra le due rampe di scale salivano e scendevano verso gli altri piani del dormitorio. Le due ragazze si diressero verso la porta alla loro destra, distante soltanto qualche metro. Era chiusa, ma all'interno si sentivano delle persone parlare.

«Bussiamo?» domandò Nadia, spostando il peso del corpo da una gamba all'altra. Chissà chi abitava nell'appartamento 125. 

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