Capitolo 11.

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Quella notte aveva riposato malissimo. Il suo sonno era stato albergato da incubi e pensieri, facendola arrivare alla mattina stremata. Vedere Mattia alla festa aveva distrutto Nadia psicologicamente, ma anche a livello fisico: quando se lo era trovato di fronte, era come se il suo petto si fosse squarciato in due parti, lacerandole la pelle come se fosse stata di stoffa. Lì per lì non lo aveva realizzato appieno. Il suo subconscio aveva cercato in tutti i modi di nascondere l'evidenza alla parte razionale di lei. Ma il trucchetto era durato troppo poco, e dopo i primi secondi di blocco mentale era rinsavita. Mattia frequentava la L.U.S.I. E insieme a lui, probabilmente c'erano anche tutte le vecchie glorie del Machiavelli. Ovviamente.

Nadia guardò ancora una volta la sveglia e sospirò. Erano appena le sei del mattino. Era in un anticipo clamoroso. Dopo essersi girata e rigirata tra le coperte, decise di alzarsi. Voleva allontanarsi il prima possibile da quel letto, che durante la notte era diventato una specie di nido di cattivi pensieri.

Sentì sferragliare dalla cucina degli oggetti metallici, poi il rumore dell'anta del frigorifero aprirsi. Ada si era svegliata prima di lei, e stava preparando la colazione. Quello sarebbe stato il suo primo giorno nella clinica e non voleva assolutamente fare tardi. Operare negli ospedali comportava sempre dei ritmi estenuanti, tra cui alzarsi all'alba e rincasare la sera. Ma lei adorava quel genere di lavoro, perciò lo faceva con dedizione.

Nadia stese le gambe fuori dal letto e spostò i capelli aggrovigliati da una parte. Infilò le ciabatte e si trascinò come uno zombie in cucina. Alla sua vista l'amica sussultò, facendo quasi versare l'intero contenuto della scatola di cereali a terra. «Santo cielo, Nadia!» esclamò, portandosi la mano libera sul petto. «Vuoi farmi prendere un colpo?»

Nadia sbadigliò e si stropicciò gli occhi gonfi.

«Sono le sei del mattino, tesoro. Perché sei già in piedi?»

«Non ho dormito bene», spiegò la ragazza, sedendosi sulla seggiola accanto al tavolo. «Sto in uno stato di catalessi.»

Ada la osservò e rise. «Si vede. Vuoi fare colazione con me? Sto scaldando del latte.»

Nadia scosse la testa. Mangiare era l'ultima cosa che desiderava. Era rimasta tutta la domenica a letto e con lo stomaco in subbuglio. Il suo corpo non aveva preso molto bene gli avvenimenti di sabato sera, e aveva cercato di farglielo capire aggrovigliandole le pareti dell'addome con fitti nodi.

«Non puoi fare lo sciopero della fame», la rimproverò Ada. Le mise di fronte una tazza di latte e dei biscotti, prima di sedersi di fronte a lei. «Sono abbastanza in anticipo da uscire di casa solo quando mi sarò assicurata che avrai messo qualcosa sotto i denti.»

Nadia alzò gli occhi al cielo. «Sei peggio di mio padre.»

«Mangia, forza. O vuoi subito venire a farmi visita in ospedale?»

Lo sguardo dell'amica si alleggerì un po', mostrando un esile sorriso. Ada era sempre stata in grado di farle tornare il buon umore. «D'accordo.» Afferrò un biscotto e lo avvicinò alla tazza, rimuginandoci sopra, pensierosa.

Ada sospirò e la fissò con un'espressione sentita. «Non te lo aspettavi, vero?»

Nadia alzò di scatto gli occhi e trasalì. Era così evidente? «Avrei dovuto farlo, è vero. Ma vederlo di fronte a me, senza alcun preavviso, è stato... forte.»

«Dillo a me! Per un attimo ho creduto che avessi visto un fantasma.»

«In parte lo è.»

«Anche lui è rimasto sorpreso nel vederti», rifletté Ada, mentre intanto si rimpinzava di cereali. «Era evidente.»

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