(FEBBRAIO)
Caro Louis,
ho deciso di iniziare a scrivere nel modo più tradizionale possibile ma non garantisco di riuscire a proseguire in questo modo. Ho sempre odiato scrivere, infatti a scuola quando dovevamo fare i temi prendevo sempre delle brutte insufficienze.
Sono passati almeno cinque minuti dal momento in cui ho voltato il foglio e in questo lasso di tempo sono giunto alla conclusione che sia meglio rivolgermi direttamente a te per due ragioni semplici e fondamentali: mi fa sentire meno stupido e più vicino a te. Parlo della tua morte come se niente fosse solo perché in realtà non sono stato ancora in grado di metabolizzare il tutto e venire a capo della situazione. Nel mio immaginario tu sei ancora in quell'ospedale, indossi sempre quel tuo piccolo sorriso pure se non vuoi, hai addosso quel tuo pigiama nero con le maniche rosse, porti un po' di barba sulle guance con fierezza come se questo possa fare di te un uomo, hai le gote rosse per la vergogna ma nonostante tutto ciò continui a lottare sperando in un futuro migliore. Ti immagino anche con un bel pallone da calcio sottobraccio, pronto a segnare qualche goal.
Cercando di seguire un ordine pressocché cronologico tutto mio, partirei parlando di Mercoledì: il giorno in cui sono partito. Non me ne volere a male ma man mano che scrivo scorro velocemente le pagine tue per aiutarmi a ricordare e per trovare qualche spunto.
E bene, Mercoledì era il 3. Tu hai etichettato questo giorno come " IL PIÙ BRUTTO " e mi trovo costretto a condividere il tuo pensiero.... non te lo saresti aspettato, vero? Quando il medico mi ha comunicato che sarei uscito ero felicissimo, mi pare si suol dire « essere al settimo cielo » ma non vorrei sbagliarmi. Già immaginavo come sarebbe stato tornare alla mia vecchia vita ora che stavo meglio, ora che ero ( perché come puoi immaginare, al momento non lo sono più ) finalmente sereno. Ero tutto eccitato e pensavo sarebbe stato bellissimo varcare la soglia della clinica sapendo che non ci sarei mai più tornato ma non é stato affatto così; anzi, quasi quasi ci sarei pure rimasto là dentro... per te, non per altro. Perciò quella mattina ho trattenuto a stento le lacrime, ci siamo salutati e me ne sono andato. Mentre salivo in macchina ho guardato su, in alto, e ti ho visto che spiavi la scena dalla finestra. Ad essere sincero non ho visto lacrime e non ho percepito neppure in minima parte il tuo dolore ma ho visto i tuoi occhi e questo mi é bastato; erano spenti, il tuo sguardo era freddo, tu non c'eri già. Allora mi chiedo se già stessi macchinando il suicidio perché questo spiegherebbe quello sguardo che non ti apparteneva. E ho pensato a te per tutto il viaggio...
Ripensandoci ora, sapendo quello che so, mi verebbe voglia di tornare indietro a quella mattina; invece di salire in macchina correrei nella tua stanza, ti abbraccerei più forte e ti risussurrei quella frase ma con più sentimento... e ci aggiungerei un bel « amici per la pelle, intesi? » sperando che questo possa cambiare le cose.
É avvilente scrivere questa lettera perché pian piano mi rendo conto di quanto i piccoli dettagli avessero potuto fare la differenza, ed io vorrei tanto averla fatta. Ma lasciamo stare, é andata così ormai...
Faccio un piccolo passino indietro ( tu lo hai fatto in avanti, ed io lo faccio indietro. Non é buffo? No, forse no. Se fossi qui questa battuta cretina ti avrebbe rubato un sorriso... ) e torno a Martedì sera quando abbiamo dato il meglio di noi. Mi sono divertito come non mai, ci puoi credere? Non che di cazzate simili non ne avessi combinate in precedenza, ma in tua compagnia hanno avuto un sapore migliore, più dolce, più succulento. E confesso che quello scotch faceva davvero vomitare, era troppo amaro e alcolico anche per i miei gusti.
So che dovrei soffermarmi un secondo su quello che é accaduto nella notte ma non ho il coraggio. Non saprei cosa dire al riguardo, non saprei come commentare una bella scena che tu hai riportato così bene. Con i miei modi di fare rovinerei quella bellissima immagine che hai dipinto con tanta cura, non credi? Pensando a quella notte mi sento di dire che anche per me é stato fantastico anche se ne ho compresa l'immensità solo leggendo le tue parole. Quella notte ho dormito, scusa.
E ora tocca a Lunedì, il giorno del mio compleanno. Ho compito sedici anni, questa é stata l'unica cosa che non hai appuntato nel tuo Malloppo e ciò mi ha incuriosito. Insomma hai detto proprio tutto tranne questo piccolo particolare, non é strano? Vorrei tanto sapere il perché, eppure lo sapevi quanti anni compivo perché mi hai parlato dei tuoi dicendomi quanto deprimente fosse stato trascorrerli nella clinica.
Quel giorno non siamo stati molto insieme e non posso credere che tu ti sia allontanato da me perché temevi il giudizio della mia famiglia, insomma é stupido ciò che hai fatto! Mia madre mi ha chiesto dove fossi finito e « tesoro, perché non inviti il tuo amico a mangiarne una fetta? » ha detto, « Gemma, lo vai a chiamare tu? » L'ho dovute fermare io altrimenti ti avrebbero assillato. Avevo capito che ci dovesse essere qualcosa sotto ma sinceramente pensavo stessi male, o che non volessi vedere la mia famiglia o che magari ce l'avessi con loro perché mi avrebbero portato via a breve.
Man mano che scrivo e controbatto mi sale la bile in gola, mi gira la testa e mi viene una gran voglia di piangere seppure le lacrime non escono. Vorrei tanto che tu fossi qui, al mio fianco, per chiarirci ma non ci sei. E non ci sarai.
Prima di concludere questa sottospecie di lettera vorrei raccontarti una storia, così, tanto per farti sentire meno solo. Non é una favola quindi mi risparmio il "C'era una volta"... Questa storia parla di un bambino di appena cinque anni che per la festa di carnevale organizzata dall'asilo non voleva indossare la solita tuta da supereroe. Questo bimbo non ha un nome, la storia non ha una data e a conoscerla siamo solo tu ed io. Per comodità però chiamiamo questo bambino Harold, che nome strano e antico penserai, condivido pienamente ma lo voglio chiamare così... e facciamo finta che Harold viva in una città relativamente piccola del Worcestershire.
É giovedì grasso, é mattina e Harold deve andare a scuola mascherato. Sua madre gli ha comprato un bellissimo vestito nuovo da Superman, il suo eroe preferito. Quando il bambino lo vede però, per qualche ragione ignota, non lo vuole indossare. La madre allora, stupita e atterrita, gli chiede come mai non lo voglia ma lui non risponde e se ne va in un altra stanza; qualche istante più tardi Harold torna da loro con un sorriso stampato in faccia e con la coroncina del completo da principessa della sorella sulla testa. I genitori rimangono esterrefatti. É un bambino, pensano, vorrà imitare la sorella maggiore e sarebbe pure plausibile. Ma gli adulti non se la sentono quella mattina di accontentare il piccolo e preferiscono farlo piangere piuttosto che mandarlo a scuola conciato in quel modo. Harold allora é triste e si rifiuta di mettere la tuta blu con il mantello rosso e tutto il resto, lui non li vuole! Il suo pianto però, quei capricci, non vengono presi in considerazione e dopo un lungo pianto ed una lite altrettanto lunga Harold viene mandato a scuola con indosso un paio di jeans ed una t-shirt con lo stemma di Superman, la sua preferita. I bambini a scuola allora iniziano a domandargli come mai non indossi una maschera ma Harold non sa cosa rispondere se non che avrebbe voluto mettere l'abito della sorella. Tutti perciò, e sottolineo il tutti, scoppiano a ridere. Da quel momento in poi, Harold, é « la principessina » per loro.
Harold e la famiglia sono costretti a cambiare scuola e a trasferirsi altrove perché in quella cittadina lui é diventato « la principessina ». L'anno dopo dunque, a carnevale, nella nuova scuola, Harold decide di indossare quella maschera controvoglia ma senza fiatare. E lo fa anche l'anno successivo, e quello che lo segue e quello ancora dopo. Ad Harold inizia a piacere quella maschera, ma non gli appartiene minimamente e mai gli apparterrà. (Fine della storia)
Non so se sia stato il caso di scrivere questa storia oppure no, ma spero ti possa essere servita a qualcosa. Lo avresti mai detto che c'erano altri bambini come te?
Non saprai mai chi é Harold perché lui non esiste più ma perlomeno sai, in senso figurato certamente, che il piccolo Louis degli spogliatoi non era affatto solo.
Non se dove ti trovi puoi anche vedermi ma laddove non potessi ti dico che alla fine le lacrime sono riuscite ad uscire, in parte per merito tuo.
Scusa Lou', se é davvero colpa mia.... scusa. Non sai quanto vorrei averti vicino in questo istante...
Il piccolo Harry.
STAI LEGGENDO
L'ANGELO CADENTE // Larry Stylinson AU (completa)
Fanfic❝Non sospetti niente finché i vostri sguardi si incrociano per la prima volta; é solo allora che tutto acquista senso. Anche l'essere stato chiuso in una clinica psichiatrica per quattro anni.❞ © 2014 by Virginia della Torre. Tutti i diritti ri...