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  Mentre la barca scivola dolcemente sulle onde, l'orizzonte inizia a delinearsi con contorni familiari e il cuore mi batte più forte. Dodici anni sono passati, dodici inverni rigidi e estati ardenti, e ora, finalmente, sto tornando a casa. Il fiordo si apre davanti a me come un abbraccio tanto atteso, le scogliere imponenti si ergono come antichi guardiani che mi accolgono. Ricordo quando ero bambina, seduta sul molo, sognando le avventure che ora sono dietro di me. La bambina di allora è diventata una donna, segnata dalle sfide e dalle scoperte, ma dentro di me sento ancora l'eco di quei giorni spensierati. Ogni onda che si infrange contro la barca sembra sussurrarmi storie di un passato che non ho mai dimenticato.
  Osservo la linea dell'orizzonte, cercando con lo sguardo i contorni della mia vecchia casa sulla scogliera, immaginando le novità che mi attendono. Mi chiedo come siano cambiati i volti cari, se il villaggio ha nuovi racconti da narrare.
Ho imparato tanto durante questi anni lontana, ma c'è una saggezza unica che solo il ritorno a casa può offrire.
  Il mare, che è stato la mia via e il mio compagno fedele, mi guida ora verso il luogo che mi ha vista crescere. Sento l'odore salmastro dell'acqua mischiarsi con il profumo della terra che mi è tanto cara. Mi chiedo se le vecchie querce stanno ancora lì, testimoni silenziose del passare del tempo, se il vento porta ancora lo stesso canto che mi cullava nelle notti d'estate.
  Questa terra, questo mare, sono parte di me quanto io sono parte di loro. E mentre la barca si avvicina sempre di più, un senso di pace mi avvolge. 

  Mi sporgo dal parapetto della nave, lasciando che il vento mi scompigli i lunghi capelli castani. Allungo la mano verso l'acqua facendola scorrere sulla superficie. Per molti anni siamo stati per mare, visitando paesi conosciuti e nuovi. E dopo dodici lunghi anni la via del ritorno sembra quasi un miraggio. Non sono solo le ricchezze da terre lontane che stiamo portando con noi, ma anche conoscenza.
  <<Non sporgenti troppo Martha>> urla mio padre da poppa mentre tiene lo sguardo fisso all'orizzonte. Appoggia la mano al fianco sinistro e il sorriso che prima gli incorniciava il volto viene sostituito da una smorfia di dolore. Mi allontano dal parapetto, sedendomi poi sul ponte leggermente bagnato dagli spruzzi delle onde. Stiro con le mani la gonna dell'abito verde scuro che indosso e incrocio le gambe <<Quella ferita è più grave di quanto sostieni>> dico corrugando la fronte. Afferra meglio il timone scuotendo la testa <<Ho già cauterizzato la ferita>> dice sforzando un sorriso. Annuisco, so che è inutile discutere con lui, ma lo scontro che ha avuto con un tale, in Danimarca, qualche giorno fa gli ha procurato una grave ferita che ancora non è guarita. Oserei dire quasi che sta peggiorando.
  Una luce abbagliante mi arriva negli occhi e guardo verso il cielo. Il sole si sta facendo largo tra le dense nuvole grigie e la brezza sta cambiando, gonfiando la vela bianca della nostra imbarcazione. <<Njord ha deciso di aiutarci finalmente>> afferma e il sorriso torna sul viso di mio padre mentre gli occhi gli si illuminano <<Siamo a casa>>. Mi giro e finalmente la vedo in lontananza. Kattegat.
  Raggiungo la prua barcollando per via del movimento della nave causato dalle onde e, stando attenta a non finire di sotto, mi arrampico sulla polena a forma di serpente marino per avere una visuale migliore. Già da lontano si può capire quanto sia cambiata: il porto è molto più grande e ci sono molte più case e strutture, il tutto difeso da un muro di legno e pietra con tanto di torri. Nelle acque basse sono ormeggiate navi provenienti da ogni parte delle terre del nord. Lo si capisce dalle loro vele e dagli scudi agganciati ai lati.

  Papà attracca la nave al molo più vicino alla spiaggia e scendiamo. Percorro pochi passi col cuore che batte a mille. Voci ci avevano riferito che Kattegat era ora una delle città commerciali più importanti della Scandinavia. ma mai avrei immaginato questo cambiamento. Giro su me stessa, stordita ed emozionata, poi intravedo un viso famigliare nell'acqua. Un ragazzo grande e grosso con una folta barba e lunghi capelli biondi legati in trecce che, a loro volta, sono legati in una coda. Si intravedono i muscoli delle braccia contrarsi e rilassarsi ogni volta che conficca la lancia in acqua.
  <<Ah ora sì che assomigli tanto a tuo padre, Bjorn la corazza>> dico avvicinandomi al bordo del molo. Lui alza la testa e rimane a guardarmi, come se stesse cercando di capire chi io sia. Gli occhi gli si illuminano e si solleva sulla passerella con la sola forza delle braccia, lascia il pesce appena pescato nel secchio con gli altri e mi guarda dalla sua imponente altezza <<Martha? Sei davvero tu?>> chiede appoggiando le mani sulle mie spalle guardandomi da testa a piedi, prima di farle scorrere lungo le braccia e attirarmi a se. Annuisco sorridendo contro la sua spalla <<Ciao Björn>>. Mi stringe in un forte abbraccio e mi solleva da terra <<Guardati. Sei diventata davvero una bella donna>> dice passandomi la mano sulla nuca. Guarda dietro le mie spalle e si avvicina a mio padre, lo abbraccia dandogli una pacca sulla spalla. <<Molte cose sono cambiate>> dice felice afferrando tra le mani una camicia un po' sporca, infilandosela da sopra la testa. Lo seguiamo verso la Grande Sala. Lo osservo, seguendo lui e mio padre. Ormai Bjorn dovrebbe avere introno ai trentacinque anni. Di lui ho appreso grandi gesta in battaglia, dimostrando di essere il degno erede della "regina" delle Shield maiden. E' alto e muscoloso, chiaramente un bell'uomo che ha visto diverse battaglie che sono rimaste segnate in eterno sulla sua pelle ora tatuata in alcuni punti da disegni con inchiostro scuro. Ho un vago ricordo del giovane Bjorn alto e mingherlino, insicuro e spaventato dal mondo oltre la sua porta. Ora è un guerriero con tanto di barba.

  In ogni angolo della città ci sono bancarelle e mercanti che arrivano da chissà quali terre, ma come sempre i bambini giocano per le strade mentre le madri parlano o esaminano la merce esposta dai mercanti. Alcune vecchie case sono rimaste, ma molte altre sono state costruite nei dintorni del mercato. Quando me ne sono andata, tutto questo non c'era ancora. Sembrano passati molto più di dodici anni. Le strade sono più spaziose e affollate. Diverse lingue si alzano le une sulle altre mischiandosi ai profumi del cibo e delle spezie. Ho memoria di alcune cose, ma per il resto mi sembra di non aver ancora fatto davvero ritorno. 

  Quando Björn apre le enormi porte della Grande Sala, una folata di aria calda mi investe facendomi rabbrividire. Anche qui è tutto diverso: alle pareti e al soffitto sono stati appesi stendardi rossi e verdi, un grande tavolo percorre l'estremità sinistra della sala mentre al centro di essa si erge un grande braciere di pietra, un imponente lampadario di ferro battuto illumina la stanza pendendo dal centro del soffitto. Infondo alla sala, dov'è sempre stato, si trova il rialzo ricoperto di pellicce su cui ergono i troni del conte e di sua moglie. È proprio su uno di questi che una bella donna siede composta, con il lungo abito grigio che le modella le curve, gli innumerevoli bracciali e collane che le adornano il lungo collo e le esili braccia, i lunghi capelli rossi legati con arte. È Lei, non c'è dubbio, sembra quasi che il tempo non abbia interferito sul suo volto.
  <<Aslaug, guarda chi è tornato>> dice Björn indicandoci con un braccio. La donna appoggia il bicchiere sul bracciolo della sedia e passa gli occhi da me a mio padre e sorride raggiante <<Aren e Martha Halvorsen. Sono anni che non vi vediamo più. Ben tornati. Com'è andato il vostro viaggio?>> chiede alzandosi e venendoci incontro, mentre ci abbraccia a turno. Mio padre racconta ogni particolare alla regina di Kattegat e io mi guardo intorno finché una ragazza bionda con una veste da serva mi passa accanto con degli stracci. La osservo per un po', provando sensazioni contrastanti verso di lei, mentre uno strano rumore come di qualcosa che viene trascinato sul pavimento di legno non attira la mia attenzione. Mi volto verso la porta d'ingresso e il mio respiro si blocca. Davanti a me ci sono quattro ragazzi, tre in piedi e uno a terra. Anche le loro facce sono stupite. Il mio sguardo passa da uno all'altro e mi fermo sul ragazzo a terra. Gli sorrido dolcemente. L'ultima volta che l'ho visto aveva solo <<Ciao Ivar>> lo saluto mordicchiandomi il labbro. Lui strizza gli occhi color del ghiaccio, scrutandomi prima di ricambiare il sorriso. <<Martha>> sussurra strisciandomi incontro. Si ferma poco distante da me, osservandomi dal basso. Mi afferra la mano e mi tira verso di se. Mi guarda negli occhi e mi stringe tra le braccia, aggrappandosi a me per non cadere. <<Sei tornata. Hai mantenuto la tua promessa>> mi sussurra all'orecchio. Appoggio il viso sulla sua spalla e guardo i suoi fratelli, ancora in piedi dov'erano prima.
Mi sciolgo dall'abbraccio con il minore dei figli di Ragnar e mi alzo per salutare gli altri. Il primo ad avvicinarsi ha i capelli lunghi e biondi e tiene un'ascia nella cintura. Il suo occhio con il serpente lo riconoscerei ovunque. <<Sei più alto di me ora Sigurd>> dico e lui annuisce prendendomi la mano trascinandomi tra le sue braccia. Io ed il principe abbiamo solo tre mesi di differenza, ma, pur essendo più piccola, sono sempre stata più alta.
Gli sorrido e guardo il più alto dei figli della regina <<Ubbe. Sei diventato anche tu molto alto e.. grosso>> dico facendolo ridacchiare, mi accarezza il braccio baciandomi sulla fronte come faceva sempre anche da ragazzino e guardo l'ultimo che deve per forza essere Hvitserk. <<Ciao Martha>> mi sorride lievemente e rimane a distanza. Spero che non si veda che ci sono rimasta un po' male. Da quando ho saputo che avremmo fatto ritorno ho sognato giorno e notte questo momento, ripensato solo a mantenere la mia promessa. Che non sia felice di rivedermi? Forse le promesse dei bambini, in fin dei conti, sono solo per i bambini.

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