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Ferisco al braccio un uomo dalla folta barba rossa. Il suo urlo di dolore si mescola al frastuono della battaglia, un miscuglio di grida, clangori metallici e il sordo tonfo dei corpi che cadono. Lo colpisco dietro alla testa con l'elsa della spada, facendogli perdere i sensi. Mi ritrovo spalla a spalla con Torvi, il suono delle nostre armi che colpiscono gli avversari risuona in un'armonia mortale. Insieme ci sbarazziamo di alcuni nemici, i nostri movimenti sincronizzati come in una danza di sangue e acciaio. Facendo cadere una donna alta il doppio di me, vedo Halfdan finire in ginocchio, il volto contorto dal dolore.
Recupero un'ascia da un cadavere, sentendo il peso familiare dell'arma nella mia mano, e corro ad aiutarlo, liberandomi uno a uno di coloro che cercano di attaccarmi.
Ogni passo è una lotta per la sopravvivenza, il terreno scivoloso di sangue e fango rende ogni movimento più difficile.

Una ragazza dai capelli rossi mi si para davanti. Solleva il braccio e il coltello nella sua mano luccica alla luce del sole. Il suo movimento è così rapido che non la vedo lanciare il coltello. Questo mi colpisce alla spalla, un dolore acuto mi attraversa il corpo e finisco a terra urlando. Afferro il manico del coltello e cerco di sfilarlo, ma il dolore è troppo forte. Sento urlare il mio nome e poco dopo vedo la ragazza cadere al suolo, un'ascia conficcata tra le spalle. Lagertha entra nel mio campo visivo e stringe la mano intorno all'arma. Con uno scatto la tira fuori, il sangue che schizza sul terreno. Mi aiuta a sedermi, chiedendomi se sto bene. Annuisco, cercando di non mostrare quanto sto soffrendo, e strappo un pezzo dalla mia camicia per fasciarmi la ferita alla bell'e meglio.

Lagertha mi osserva con preoccupazione e determinazione nei suoi occhi.
Mi rialzo lentamente, il mondo intorno a me un caos di suoni e movimenti. Osservo ciò che mi circonda: uomini e donne che si affrontano in una danza mortale. Tra loro, una coppia attira la mia attenzione e mi riempie di agitazione.
Hvitserk e Guthrum, il figlio di Torvi, si scambiano colpi e affondi, entrambi con l'intento di uccidere l'altro. Il clangore delle loro armi è assordante, ogni colpo vibrante di odio e disperazione.
<Hvitserk, no!>> grido, attirando l'attenzione della regina e di Torvi, non molto distante da noi. Sia io che Torvi corriamo verso gli sfidanti, liberandoci di coloro che ci bloccano la strada.

Il mio cuore batte all'impazzata, ogni respiro un'impresa. Scaravento un uomo alla mia sinistra, sentendo le sue ossa spezzarsi sotto il mio colpo, appoggio il ginocchio a terra accanto a lui e con l'ascia lo finisco.
Un no lungo e disperato risuona tra di noi. Alzo la testa e vedo Hvitserk impugnare la sua arma ed estrarla dal petto di Guthrum.
Il sangue sgorga copioso, la vita abbandona il corpo di Guthrum in un istante. Con alcuni colpi di scudo, Torvi allontana l'assassino di suo figlio e corre dal cadavere di quest'ultimo. Un grido di rancore e rabbia esce dalla bocca della shieldmaiden e, impugnando nuovamente l'arma, si alza.
Le arrivo davanti, bloccandole la strada. <<Torvi, no. La vendetta non lo riporterà indietro>> la prego, spostandomi continuamente per non farla passare. Il mio cuore è un tamburo nelle orecchie, il dolore alla spalla è straziante.
<<Lui ha ucciso mio figlio. Non ci ha pensato due volte prima di farlo>> grida arrabbiata, il suo volto contorto dalla rabbia e dal dolore. Mi mordo le labbra, il sudore che mi cola sulla fronte si mischia al sangue. <<Torvi, ti prego, non commettere il suo stesso errore>>. Lei distoglie lo sguardo per un secondo, uccide con rapidità una ragazza che correva incontro e torna a guardarmi dritta negli occhi. <<Essere il tuo uomo non lo metterà in salvo>> dice prima di lasciarmi sola nella mischia, il suo sguardo pieno di determinazione e disperazione.

Un corno risuona sopra i suoni della battaglia. Dalla collina davanti a noi scendono centinaia e centinaia di soldati Franchi, le loro armature scintillanti alla luce del sole. Le protezioni sono più resistenti delle nostre, le armi più letali.
<<Bjorn! Bjorn! Ordina la ritirata. Non possiamo vincere, ci uccideranno tutti!>> gli urlo, la mia voce un misto di paura e determinazione, mentre, anche lui come me, è fisso a vedere quella macchia di uomini che corrono verso di noi. Lo scuoto un po' e abbassa gli occhi su di me. Lui urla la ritirata e, prendendomi per mano, mi trascina in una corsa frenetica verso la salvezza. Il rumore dei nostri passi si mescola ai gridi di guerra, mentre la speranza di sopravvivere ci spinge avanti.

****

Finalmente siamo tornati a Kattegat, ma sappiamo che non potremo rimanere qui per molto. Ivar arriverà da un momento all'altro per godersi la sua vittoria.
Scaldo la lama del pugnale sul fuoco del braciere, osservando il metallo che si arroventa nel chiarore arancione. Il calore avvolge il mio viso, mentre la lama fumante emette un debole sibilo. Afferro i capelli e li sposto sulla spalla ferita, preparandomi mentalmente per ciò che devo fare. Avvicino il pugnale alla ferita, ma le immagini della tortura inflitta a Nils mi assalgono di nuovo.
La sua risata sadica, il dolore fisico e mentale che ha causato. Chiudo gli occhi, cercando di respingere i ricordi amari, e rimetto il pugnale sul fuoco. Il metallo arroventato emette un odore pungente che si mescola al fumo del braciere.

La porta cigola aprendosi, e Ubbe entra. Si inginocchia accanto a me, il suo volto preoccupato sotto la luce incerta della stanza. <<Ha un brutto aspetto. Se non fai qualcosa, si infetterà>> osserva con voce calma, ma con urgenza. Guarda la ferita ancora sanguinante, i bordi irregolari ormai coperti da terra e sangue secco. Io e i miei fratelli abbiamo passato così tante volte attraverso questo rituale di guarigione che ormai è diventato quasi routine.
Ubbe prende una ciotola d'acqua e un pezzo di stoffa, inizia a pulirmi la ferita con delicatezza ma fermezza, mentre il dolore acuto mi attraversa come un fulmine. Gemiti di dolore sfuggono dalle mie labbra serrate mentre la stoffa assorbe il sangue e lo sporco, rendendo la ferita pulita e scoperta. Poi, prende il coltello dal braciere. L'aria intorno a noi sembra diventare più densa mentre mi preparo al prossimo passo.Il coltello caldo tocca la mia pelle e il dolore è lancinante, mi fa rabbrividire. <<Vaffanculo>> riesco a mormorare tra i denti, cercando di non gridare più di tanto.
Ubbe ride leggermente, un suono nervoso misto a un senso di consapevolezza della situazione. <<Dobbiamo andarcene. Sono venuto per prenderti>> continua, con una determinazione che mi rassicura nonostante tutto.Ci muoviamo rapidamente, raccogliendo le mie cose e mettendole in una sacca. Gli oggetti scricchiolano mentre li sistemiamo, un suono familiare che mi ricorda i giorni di fuga e di battaglie passate. Metto al cavallo il resto delle armi nascoste sotto il pavimento, ad eccezione di una spada. "Lasci quella?" chiede Ubbe, guardandomi con occhi scrutatori mentre termino di chiudere le assi del pavimento.
<<Sì. Era di mia madre. L'ho regalata a Hvitserk. Se viene qui, la prenderà>> dico con voce ferma, il cuore pesante di ricordi e speranze perdute. Ubbe annuisce comprensivo, capendo il peso delle mie parole. Verso un secchio d'acqua nel braciere per spegnere il fuoco, un gesto che chiude un capitolo della mia vita con un po' di tristezza e nostalgia.
Spengo anche le candele, lasciando che l'oscurità della stanza ci avvolga.

Ubbe mi prende per mano e insieme usciamo di casa, avvolti nei nostri mantelli per mimetizzarci con la notte. Il vento freddo accarezza il viso mentre ci allontaniamo silenziosamente dalle strade illuminate di Kattegat. Ogni passo è un passo verso l'ignoto, lontano dai pericoli che ora minacciano la nostra sicurezza qui.
Guardo di sfuggita il posto che ho chiamato casa per così tanto tempo, le sue pareti di legno ora quasi invisibili nell'oscurità crescente.
Le luci delle altre case si affievoliscono lentamente, mentre ci addentriamo nel cuore della notte.
Non c'è tempo per rimpianti, solo la necessità di continuare, di trovare un luogo sicuro dove poter pianificare il prossimo passo.
Ubbe cammina al mio fianco, silenzioso ma vigile, e so di potermi fidare di lui come sempre. Il suo sostegno è una costante che mi dà forza, anche nei momenti più bui. Continuiamo a camminare, determinati, lasciando alle spalle tutto ciò che una volta conoscevamo.
Ci troveremo al porto, pronti per salire sulle navi e lasciare la Norvegia.
Il bambino comincia a scalciare e cerco di calmarlo.



To be continued....






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