Prologo

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Sono nata durante uno degli inverni più freddi degli ultimi cinquant'anni, quando non eravamo un unico regno ma tanti piccoli clan sotto diversi Jarl in guerra tra loro. A quel tempo il nostro mondo si fermava alle grandi terre del nord, ignari dei paesi lontani e dei tesori che ci attendevano oltre lo sconosciuto ovest.
  Come mio padre, ho sempre avuto la passione per l'avventura. Mi è stato insegnato a navigare, a conoscere la volta celeste e la natura che ci circonda. Fin dalla più tenera età, nel momento in cui sono riuscita a sollevare spada e arco, ho affinato la mia destrezza con le armi e l'abilità nella caccia. Mi sono addestrata con le migliori shieldmaiden di tutta la Scandinavia, donne combattenti paragonate alle coraggiose valchirie. Ben presto sono diventata anche io come loro, proprio come lo era stata mia madre.
  Gli insegnamenti più importanti mi sono stati trasmessi da mio zio Floki; è stato lui che mi ha insegnato tutto sui nostri Dei. Come rendere loro omaggio, come fare sacrifici in loro onore, come renderli orgogliosi ma anche come rispettarli e temerli. I nostri Dei sanno essere davvero spietati e vendicativi quando subiscono un torto. Possono essere chiari come le acque di un torrente di montagna o difficili da comprendere, come il cielo scuro durante una tempesta.
  Era così che passavo il mio tempo, imparando e migliorando giorno dopo giorno, mentre mio padre viaggiava nel regno Franco e in Britannia con il grande e famoso Ragnar Lothbrok. Una leggenda vivente in tutto il mondo all'epoca conosciuto. Passavo il tempo con i figli di Ragnar, e con Rebeka, l'amica che non mi ha mai abbandonata.
  Quando mia madre morì dando alla luce mio fratello, io avevo solo sette anni. Quella notte non persi solo loro. Io e mio padre lasciammo Kattegat, la nostra città natale, iniziando un viaggio senza destinazione. Voleva cambiare aria e non c'era modo migliore se non quello di visitare le terre del nord e con essa l'ancora misteriosa Britannia ed il regno Franco e, chissà, magari anche luoghi sconosciuti, dove ancora nessuno era mai stato.
  Forse un giorno saremmo tornati. O forse, non avremmo mai più rivisto la nostra terra natia.
  Salutare i figli di Ragnar è stato difficile, ma non potevo non pensare ad Ivar, il mio migliore amico storpio, o a Hvitserk, colui che mi faceva sempre i dispetti e mi faceva ridere come nessun altro. Se gli Dei avessero voluto, ci saremmo incontrati nuovamente. Forse nel Valhalla.

  L'ultima notte che passammo a Kattegat ci fu una grande festa in nostro onore. Ragnar fece sedere me e Ivar sulle sue ginocchia, i suoi figli maggiori sedevano vicino a noi, tutti intorno al fuoco. Lui iniziò a raccontarci una delle tante storie su Heimdallr e sul suo fidato destriero Gulltoppr. Amavo ascoltare le sue storie, in quei momenti i suoi occhi blu parevano in un altro mondo, persi nel tempo e nello spazio. La sua voce calda risuonava nel suo petto come un tamburo di guerra e il suo sorriso scaldava il nostro cuore come il fuoco del grande braciere al centro della casa lunga. Mi perdevo nelle sue parole, mentre le ombre proiettate dal fuoco danzavano sulle scure pareti di legno. In quelle ombre tremolanti vedevo i suoi personaggi prendere vita, cariche di magia e mistero. Il battito del mio cuore si sincronizza con il ritmo della narrazione, e mi stringevo più vicina al nostro Jarl, afferrando con forza la stoffa del suo abito, desiderosa di non perdere nemmeno una parola.

  Quella notte rimasi a dormire nella sua casa. Continuavo a girarmi e rigirarmi nel letto senza riuscire ad addormentarmi. Ivar dormiva tranquillo accanto a me, nello stesso letto, minimamente disturbato dal mio sonno inquieto.
Mi alzai, spostando dal mio corpo le pesanti pellicce e percorsi la poca distanza che mi separava da Hvitserk che dormiva nel letto di fronte accanto a Sigurd. Lo chiamai un paio di volte, sbattendogli la spalla, sussurrando per non svegliare i suoi fratelli addormentati negli altri letti della stessa stanza. Iniziai a sentire freddo visto che indossavo solo la mia sottoveste da notte.
Finalmente lui aprì gli occhi.
<<Martha, che vuoi?>> chiese con la voce assonnata <<Non riesco a dormire, voglio vedere le luci del cielo>> dissi salendo sul suo letto e sdraiandomi sulla sua schiena. Con una spinta mi buttò giù, facendomi finire sul pavimento in legno coperto da pellicce morbide. <<Vai da sola a vederle. Io voglio dormire>> sussurrò nascondendo la faccia tra le braccia.
Mi sdraiai accanto a lui, sul bordo del letto, spostando alcune ciocche bionde dal suo viso <<Per favore>> dissi baciandogli la guancia esponendo il labbro inferiore.
Aprì gli occhi e sorrise. <<Va bene. Ma solo perché è l'ultima volta>> rispose, mettendosi seduto. Ci coprimmo con dei mantelli e, infilando le scarpe, sgattaiolammo fuori dalla Grande sala. Senza farci vedere dagli uomini di guardia raggiungemmo la stalla. Hvitserk mi aiutò a salire su un cavallo e lui, dopo essersi arrampicato sulla staccionata, prese posto alle mie spalle. Guidò il cavallo lungo le stradine battute che serpeggiavano tra le case, portando fuori dalle piccole e rudimentali mura della cittadina sul fiordo.
  Ci sdraiammo sull'erba tenendo gli sguardi fissi al cielo dove un movimento di luci azzurre, rosa, gialle e verdi facevano compagnia alle stelle e alla luna piena. Voltai il viso verso di lui. Hvitserk sembrava triste.
<<Cosa ti turba?>> chiesi stringendogli la mano. <<Andrai via da Kattegat. È tardi per chiederti di restare?>> domandò senza guardarmi mettendosi a sedere. Annuii e girò il viso verso di me <<Tornerai? Prometti che lo farai>> disse accarezzandomi la guancia. <<lo farò Hvitserk. Te lo prometto>> Lo abbracciai, beandomi del calore che mi trasmetteva.
  Eravamo solo due bambini all'epoca. Le promesse tra noi però non erano mai solo parole che si perdevano nel vento gelido.

Come il sole e la luna  //Conclusa E Corretta//Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora