Capitolo nove

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Per il resto della mattinata, Dinah e Camila non fecero altro che parlare della festa a casa di Lucy. La polinesiana era rimasta attonita, vedendo l'amica sfoggiare un abito eccessivamente seducente e sfacciato, ma non poteva dire di essere stata scontenta del cambiamento della cubana, anche se attuato per poche ore.

Camila era già tornata ai suoi vecchi e comodi abiti, ma questo non impediva a Dinah di ricordarle  insistentemente, e con entusiasmo, il momento in cui la cubana aveva fatto il suo ingresso, sbalordendola.

Camila era ancora frastornata dalle petulanti chiacchiere della polinesiana perciò seguire le lezioni le fu difficile e quando la campanella trillò, sancendo l'ora di pranzo, la cubana fu ben felice di sgusciare fuori di classe rapidamente e dirigersi verso la biblioteca.

Sarebbe andato tutto secondo i piani, se solo qualcuno non l'avesse afferrata per il polso nel momento in cui si stava allontanando, sfasciando i suoi propositi.

«Ciao.» Sorrise smagliante la ragazza.

Camila sgranò gli occhi, sinceramente colpita di trovarsi davanti Lucy.

«Ci-ciao.» Le porse il saluto balbettando, stringendo subitamente i lacci dello zaino per somatizzare il nervosismo.

«Sei Camila, giusto?» Domandò, senza togliersi quel sorriso finto dalle labbra.

«S-si... Si, sono io.» Sostenne titubante, sforzandosi di non distogliere lo sguardo da quello di Lucy.

Cavolo, da vicina sembrava ancora più bella. Composta in ogni movenza, libera in ogni parola. Camila si sentiva intimidita dalla sua spontaneità, dalla baldanza che a lei non era mai spettata.

«Sei amica di Lauren, non è vero?» Usò un tono pacato, per niente aggressivo.

Sembrava una semplice domanda a scopo informativo e Camila si limitò ad annuire.

«Bene.» Sorrise di nuovo Lucy, prendendo la cubana a braccetto «Allora puoi unirti al nostro tavolo oggi.»

Oh porco cazzo, porco cazzo, porco cazzo.

Camila farfugliò qualcosa che suonò incomprensibile anche alle sue orecchie e non trovando il modo di esprimersi verbalmente, arrestò il passo, puntellando i piedi al suolo. Lucy venne rallentata e sobbalzando si fermò.

«Io.. io, non... non credo di, di voler pranzare in.. in mensa.» Balbettò Camila, deglutendo a fatica a causa del magone che le otturava la gola e le mozzava il respiro.

Una parte di lei era consapevole che non affrontare le sue paure fosse infantile e un atto di soverchia codardia, però aveva già fatto dei piccoli passi come presentarsi alla festa, indossare un abito diverso, insomma ci stava lavorando. Non poteva permettersi di fare il passo più lungo della gamba, perché se qualcuno le avesse intralciato la strada, allora era sicura che sarebbe tornata indietro non di uno, ma di dieci passi.

«Beh, è l'ora di pranzo. Dove altro vuoi mangiare?» Ridacchiò Lucy, spronandola a muoversi. Camila rimase immobile, tendendo i muscoli per opporsi all'iniziativa della ragazza.

«Oh, andiamo!» Sbuffò infastidita Lucy, evidentemente contrariata che i suoi progetti non stessero andando per il verso sperato «È solo un pranzo, non ti mangerà nessuno.» Forse per il tedio dimostrato da Lucy nel proporre quella frase, o nella velata sfida che le sue parole avevano lanciato al suo orgoglio, Camila ricominciò a camminare, stavolta con le braccia conserte.

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