Capitolo diciotto

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Cinque minuti erano diventati trenta, poi quarantacinque, poi un'ora... Fino ad addormentarsi in grembo a Camila.

La cubana era rimasta vigile a sorvegliare Lauren che rischiava di ruzzolare penosamente sul pavimento. Non si era mossa di un centimetro, per non destarla, ma dopo ore che il suo corpo manteneva la stessa posizione, gli arti le si erano anchilosati ed era stata costretta a muoversi. Lauren aveva protestato mugolando, ma fortunatamente non si era svegliata. Attorno alle una di notte Morfeo aveva chiuso gli occhi assonnati di Camila che nonostante la preoccupazione per l'amica che stringeva fra le braccia, il sonno aveva prevalso.

A interrompere il loro fievole ronfare fu Sinu, la quale dovendo uscire per recarsi a lavoro aveva visto le due ragazze abbracciate, assopite sul divano in una posizione scomoda, e aveva scosso il braccio della figlia per comunicarle che era arrivata l'ora di alzarsi.

Camila aveva sbattuto più volte le palpebre, non rendendosi conto di dove si trovasse, poi aveva sentito la testa di Lauren pesarle sul grembo, le braccia indolenzite, le gambe formicolanti e si era rammentata della sera prima. Vedendo la corvina addormentata su di lei, la cubana sorrise e, istintivamente, le passò una mano nei capelli, districando le ciocche aggrovigliate. Lauren mugolò contrariata, poi si stropicciò gli occhi ed impiegò qualche secondo per focalizzare la scena.

«Che ore sono?» Domandò con voce dannatamente sexy, perché arrochita maggiormente durante la notte; le sue corde vocali si erano raffreddate come il motore di una macchina che, prima di carburare, produce un suono più greve.

«Siamo in ritardo.» Mormorò, sbadigliando, Camila, la quale si sentiva sempre stanca anche dopo ore di lungo sonno rigenerante.

«In ritardo per cosa?» Aggrottò la fronte Lauren, confusa.

«Per la scuola.» Rispose semplicemente Camila.

La corvina sgranò gli occhi, si alzò di scatto -tenendosi in equilibrio con le braccia tese in avanti perché ancora intontita- e, girando la testa verso Camila, disse «Ma come la scuola? Pensavo fossero passati solo dieci minuti... Cazzo! Mia mamma mi uccide.»

Prese a cercare freneticamente le scarpe che, la sera prima, aveva abbandonato distrattamente lungo il corridoio. Ravvivò i capelli, storcendo le labbra in una smorfia di dolore per le dita che le si incastrarono fra gli innumerevoli nodi. Afferrò la borsetta, premurandosi di masticare un chewing-gum e poi salutò frettolosamente Camila, ringraziandola e promettendole di aspettarla davanti all'entrata di scuola... Come ogni mattina.

Camila si alzò lentamente dal divano. Una fitta dolorosa alla schiena la costrinse a piegare il busto all'indietro. Si massaggiò il punto contuso e arrancò verso la cucina, dove sua madre le aveva preparato una tazza di latte con i cereali accanto. Camila si limitò a bere la tazza senza arricchirla.

«Tu e Lauren siete diventate molto amiche in poco tempo.» Asserì sua madre, appoggiata contro il banco della cucina dove sorseggiava il suo quotidiano caffè.

«Si.» Annuì la cubana, senza divulgare ulteriori informazioni.

«Passate tanto tempo insieme... Ormai vedo più volte Lauren che Dinah.» Rincarò la dose Sinu, esaminando la figlia da dietro il bordo della tazzina con sguardo circospetto.

«Non esagerare.» Rispose Camila, alzando le sopracciglia. Si accinse a riporre la tazza nel lavabo.

Sua madre, anche se con attenta discrezione, stava indagando. C'era qualcosa che non le tornava. Camila era stata sempre molto riluttante alle nuove conoscenze e sua madre, negli ultimi quattro anni di liceo, non aveva visto altro volto se non quello di Dinah. Adesso, di punto in bianco, sbucava Lauren e la cubana cuciva un legame indissolubile con la ragazza come se si fosse sempre dilettata nei rapporti sociali... Qualcosa non le quadrava.

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