Capitolo ventinove

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Ciao a tutti.
Allora aggiorno prima del solito, perché mi sono resa conto che sto praticamente scrivendo il finale della storia (😭) però a voi mancano ancora diversi capitoli, quindi oggi, se riesco, volevo aggiungerne due invece che uno! Spero.

Intanto pubblico questo, così chi ha modo può leggere già da adesso. Grazie e buona lettura :)




Lauren si recò in teatro, dove Lucy stava conducendo le prove per un nuovo spettacolo. Rispettava molto quella sua passione sconfinata per l'arte, non solo perché era cresciuta in una famiglia l'aveva svezzata a latte e arte, ma anche perché credeva fermamente che ogni individuo vivesse attraverso una forma d'espressione varia che lo collocava in un mondo di infinite possibilità, regalandogli il dono della sedentarietà. Ognuno brancola senza meta finché non si sente parte di qualcosa, l'arte ci fornisce una dimora.

Lauren non aveva mai fatto irruzione durante le prove, ma dopo il lungo e burrascoso litigo che avevano avuto la notte precedente, non si sentiva di lasciare le cose a metà, in sospeso. Si perché Lucy le aveva attaccato il telefono in faccia, dichiarando che si sarebbe messa a dormire e non avrebbe risposto alla sfilza di messaggi che era sicura Lauren le avrebbe scritto l'attimo successivo. Quindi la corvina aveva preservato la sua dignità, ingoiato tutte le parole che invece avrebbe voluto dire e si era messa a dormire, lasciando che gli innumerevoli pensieri divenissero effimeri con l'abbandono al sonno.

Ma la mattina, quando le sue palpebre erano state investite di luce, quegli stessi pensieri erano ancora presenti, la notte non li aveva portati via con se, anzi era solo riuscita a rinvigorirli. E Lauren non era capace di vivere soggiogata dal pensiero, non si confaceva alla sua natura istintiva. Ci vuole tanta forza per acchiappare un dubbio, chiuderlo dentro un cassetto e perdere la chiave, perché se la nascondi soltanto prima o poi tornerai a frugare in quel cassetto. La chiave bisogna perderla. E ci vuole tanta forza.

Svoltò l'angolo, incrociò lo sguardo di alcuni suoi amici, ma non si fermò a salutare. Proseguì fino alle porte scartavetrate che campeggiavano alla fine del corridoio, spinse la maniglia verde e venne subito inghiottita da molteplici strati di stoffa rossa che dividevano il teatro dal corridoio, la fantasia dalla realtà.

Lucy era sul palco. Stava dirigendo una scena, impostando la postura degli attori, interpretando la mimica facciale dei personaggi che avrebbero animato i ragazzi della compagnia.
Lauren entrò con passi felpati, non per non essere notata, ma bensì perché quando si entra nei sogni degli altri bisogna farlo in punti di piedi.

Si sedette su una fila, sull'ultima sedia in fondo alla corsia. Lucy non si era ancora accorta della sua presenza, perché dava le spalle alla platea, ma i ragazzi che recitavano l'avevano subito individuata e con un gesto fugace si erano premurati di salutarla. Lucy, a detta di Lauren, sapeva a chi erano indirizzati quei saluti, ma non si era voltata lo stesso.

Aspettò con pazienza che finissero le prove, poi quando la sua fidanzata concesse cinque minuti di pausa, si avvicinò frettolosamente al palco. Non salì sopra. Le sembrava quasi di profanare un luogo sacro.

«Ehi. Puoi scendere così parliamo?» Domandò la corvina, attirando l'attenzione di Lucy che stava sistemando gli oggetti di scena.

«E sali tu.» Sospirò annoiata la ragazza, roteando gli occhi al cielo.

«Preferirei se scendessi.» Incalzò Lauren, ancora suggestionata da una strana sensazione.

«Aspetta che aggiusto le ultime cose e ti raggiungo.» Convenne Lucy, spostandosi dietro una colonna di carta pesta che con maniacale precisione traslatò di appena qualche centimetro per permettere al faro posizionato al di dietro di irradiare interamente il palcoscenico senza intralci che smorzassero la traiettoria della luce.

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