Capitolo trentotto

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Dinah aveva accompagnato Camila al centro commerciale, dove la cubana aveva acquistato il suo pigiama nuovo. Lo guardava come se fosse un oggetto caduto dal cielo, con lo stesso stupore e la medesima diffidenza. Poi lo ripiegò dentro la scatola e lo fece scivolare nella busta di plastica, pencolante al polso.

La polinesiana era contenta che Camila si fosse fatta un'amica in classe, ma aveva i suoi lugubri dubbi a riguardo. Naturalmente, dopo anni che la cubana era stata bistratta e derisa, era difficile credere a primo impatto nelle buone intenzioni di qualcuno. Però si avvide che fosse molto meglio tenere per se quelle considerazioni. Camila si stava lasciando andare, permetteva a qualcuno di avere un pezzo della sua pizza -così quantificava la fiducia Dinah, a spicchi di mozzarella e pomodoro-, e non era cosa da poco.

Si sederono al bar. Dinah ordinò una brioche farcita di marmellata alla pesca, irritando la sensibilità di Camila riguardo alla regola "solo cioccolata". Ovviamente la cubana la seguì alla lettera e scelse un budino al cioccolato.

«Non cambi mai, eh?» Domandò la polinesiana, sorpresa dalla testardaggine di Camila, ma anche affascinata da essa.

«Vige ancora la regola.» Alzò un dito con fare solenne, associandolo ad un'aria ieratica smorzata solamente dal tiepido sorriso.

«Mila, l'abbiamo decretata a sette anni.» Rivelò Dinah, constatando la faccia spaesata che l'attimo dopo si impossessò di Camila.

È già passato così tanto tempo?

«Beh, beh è uguale! Il cioccolato, rimane cioccolato.» Sottolineò enfatica, battendo il pugno sul tavolo come fosse il martelletto del giudice.

Il cameriere portò le loro ordinazioni, servite su due piatti di ceramica bianca, con un fazzoletto verde che penzolava.

Mentre la polinesiana addentava la sua brioche, gustandola con frugalità, Camila sbranava letteralmente il suo budino, sporcandosi più di una volta le labbra di cioccolato perché, quando portava il cucchiaino alle labbra, lo rovesciava dalla parte opposta, prendendo con la lingua il boccone e lasciando che la parte arcuata dell'alluminio le sfregasse il labbro.

«Sai, Mila, crescendo si possono cambiare i gusti... e anche i modi.» Notificò bonaria Dinah, volendo solamente solleticare una risata in lei.

«Ah si? Allora non voglio crescere.» Rispose risoluta Camila, leccando il dietro del cucchiaino per non perdere nemmeno una goccia di budino.

«Si, già..» Ridacchiò Dinah, scuotendo leggermente la testa «Penso sia un po' tardi.»

Dopo la breve sosta, la polinesiana riaccompagnò Camila a casa. Non si dilungò in prediche angoscianti, le disse soltanto di indossare il pigiama nuovo e non toglierlo mai.

La cubana preparò il necessario in uno zainetto, cose indispensabili: i vestiti di ricambio per la mattina dopo, spazzolino e dentifricio, collutorio, deodorante, un libro da leggere in caso non si addormentasse subito e via dicendo. Inizialmente aveva preso anche il filo interdentale, ma poi decise di lasciarlo a casa.

Sua madre volle sapere da chi andava a dormire, il nome, il cognome, l'indirizzo, la motivazione... A momenti Camila credeva che avrebbe preteso anche il codice fiscale. Dopo aver superato il terzo grado, fu libera di andare, ma con la promessa di chiamarla in caso di bisogno e di contattarla attorno alle undici di sera. Erano tutte imposizioni alle quali doveva soccombere, altrimenti sua madre avrebbe spedito una volante a cercarla e appeso i manifesti con la sua foto per tutto il paese. Conosceva bene la sua smodata apprensione e infondo, ciò che le chiedeva, non era uno sforzo enorme.

Salutò Sofia, perché pure andarsene per una notte senza considerare la sorella era classificato un reato minore. Dopo fu davvero libera di andare.

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